Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 637 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 637 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22763 -201 7 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore e legale rappresentante, dott. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL) e dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, domicilia;
– controricorrente –
Tributi –
Oggetto:
SANZIONI
avverso la sentenza n. 1004/15/2017 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata in data 02/03/2017; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21 novembre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In controversia avente ad oggetto un atto di contestazione della violazione di cui all’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997, con irrogazione di una sanzione pari a 2.402.000,00 euro, emessa dall’Agenzia delle entrate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per non aver proceduto a regolarizzare mediante autofatturazione l’operazione di un acquisto di un complesso immobiliare dalla venditrice RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo, per quanto ancora di interesse nel presente giudizio di legittimità, che la mancata emissione della fattura nei termini di legge risultava dal processo verbale di constatazione del 28 ottobre 2010 e doveva ritenersi irrilevante la produzione in giudizio, a distanza di anni, di una fattura la cui precedente esistenza non era attestata da alcuna registrazione contabile od esibizione all’autorità, sicché tale documento, seppur recante la data dell’atto di compravendita immobiliare, non era idonea a provare la sua tempestiva emissione. Riteneva, inoltre, non accoglibile la doglianza formulata dalla società contribuente in ordine alla misura della sanzione applicabile alla fattispecie, «mancando la puntuale indicazione della ipotesi normativa che avrebbe giustificato l’applicazione dell’I VA in misura diversa da quella ordinaria e non essendo possibile quindi neanche una verifica circa i relativi presupposti di fatto» (sentenza, pag. 4).
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui l’intimata ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla produzione di motivi nuovi in grado di appello» e, quindi, in violazione dell’art . 57 del d.lgs. n. 546 del 1992.
1.1. La ricorrente sostiene che la decisione impugnata aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate sul presupposto che la società contribuente non avesse prodotto la fattura all’atto di verifica della Guardia di Finanza seppure tale censura fosse stata articolata solo in grado di appello benché la fattura fosse stata prodotta già nel primo grado di giudizio. Sostiene che i giudici di primo grado avevano accolto il ricorso proprio a fonte della produzione dell’atto notarile e della fattura e che solo in grado di appello l’amministrazione finanziaria aveva eccepito la mancata esibizione della fattura all’atto della verifica. Trattandosi di contestazione nuova «in relazione alle posizioni assunte dalle parti nel giudizio di primo grado, la non utilizzabilità del documento (fattura) legata a semplici presunzioni da parte dei Giudici della CTR non supportate da solidi elementi probatori, talché fanno presumere con quasi assoluta certezza che la decisione sia stata assunta esclusivamente in base alla contestata mancata esibizione in sede di verifica» (ricorso, pag. 6).
Il motivo è inammissibile ed infondato.
2.1. Diversamente da quanto sostenuto dalla società ricorrente, la CTR ha fondato la decisione non tanto sull’inutilizzabilità della fattura perché esibita solo in giudizio e non in sede di verifica fiscale quanto sulla mancata dimostrazione della
sua emissione nei termini di legge e, quindi, dell’esistenza della stessa all’epoca dell’operazione commerciale di compravendita immobiliare; circostanza, questa, che la CTR ha espressamente affermato che «non era attestata da alcuna registrazione contabile od esibizione all’autorità» (sentenza, pag. 2), mancando in tal modo la prova della sua tempestiva emissione, così dimostrando che, ove fosse stata provata tale circostanza, il documento, ancorché non esibito in sede di ispezione, avrebbe acquisito rilev anza decisiva e fatto venir meno i presupposti per l’applicazione della sanzione di cui all’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997 che, nella versione applicabile ratione temporis al caso in esame (anno 2007) -stabiliva che: « Il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta, con un minimo di lire cinquecentomila, sempreché non provveda a regolarizzare l’operazione con le seguenti modalità: a) se non ha ricevuto la fattura, entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, presentando all’ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino le indicazioni prescritte dall’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alla fatturazione delle operazioni; b) se ha ricevuto una fattura irregolare, presentando all’ufficio indicato nella lettera a), entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggior imposta eventualmente dovuta ».
2.2. Pertanto, non coglie nel segno la censura di violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche per la ovvia considerazione che la contestazione del rilievo probatorio della fattura prodotta in giudizio dalla società contribuente non comporta l’allegazione, da parte dell’amministrazione finanziaria, di alcun ulteriore elemento costitutivo o diverso motivo su cui fondare l’atto impositivo di natura sanzionatoria. Non viene, infatti, introdotto, in via aggiuntiva, un ulteriore motivo tale da integrare un (diverso) fatto costitutivo dell’esercizio del potere impositivo, ma viene, piuttosto contestata la rilevanza probatoria di un documento (fattura) prodotto dalla controparte e volto a provare il fatto (emissione della fattura) la cui mancanza ha costituito il fondamento dell’atto di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’amministrazione finanziaria.
Con il secondo motivo si deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’entità della sanzione che l’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997 prevede nella misura del 100% dell’imposta evasa. Sostiene la ricorrente che n ella specie l’amministrazione aveva irrogato la sanzione parametrandola all’imposta del 20% del prezzo di compravendita del bene immobile (euro 2.402.000,00 sul prezzo di 12.010.000,00 euro), mentre nel caso di specie l’imposta e la conseguente sanzione era dovuta nella misura del 10% del prezzo trattandosi di cessione di complesso immobiliare per il quale la parte cedente si era avvalsa del regime di non esenzione ai fini dell’IVA di cui all’art. 10, comma 1, n 8 -ter, del d.P.R. n. 633 del 1972.
3.1. Il motivo è inammissibile sotto più profili. La parte ricorrente non colma le lacune in punto di allegazione della fattispecie normativa giustificativa della minor imposizione a titolo di IVA pari al 10%. Il motivo difetta, inoltre, di specificità per la
mancata trascrizione della parte dell’atto di compravendita in cui sarebbe indicata l’opzione per il regime di imponibilità dell’imposta sul valore aggiunto. Ciò non consente di individuare quale sia l’ipotesi di aliquota che, secondo la parte ricorrente, dovrebbe essere applicata al 10%. Inoltre, il motivo è infondato perché la disposizione contenuta nell’art. 10, comma 1, n. 8 -ter , d.P.R. n. 633 del 1972 indica le eccezioni all’ipotesi di esenzione costituita dalle cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali insuscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni.
In estrema sintesi, il ricorso va integralmente rigettato con condanna della ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 18.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2024.