Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34537 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34537 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10156/2022 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in CATANIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PER LA SICILIA – SEZ.DIST. CATANIA n. 8913/2021 depositata il 11/10/2021.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10/07/2024 dal Co: NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero nella persona del sost. Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi per le parti l’Avv. NOME COGNOME e l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il contribuente, esercente la professione notarile, impugnava il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate in relazione all’istanza di rimborso (datata 31.03.2008) nella misura del 90% di quanto pagato a titolo di Irpef ed altro per il triennio 1990-1992, ex articolo 9, comma 17, legge 27 dicembre 2002, n. 289. L’istanza di rimborso scaturiva dalla residenza del contribuente in uno dei comuni colpiti dal sisma Sicilia del 1990: il contribuente, segnatamente, riteneva possibile la definizione degli anni pregressi, con il pagamento forfettario del 10%, tanto per i contribuenti ancora debitori dell’Erario, quanto per quelli che avevano già pagato tutte le somme dovute nel triennio.
La CTP di Catania accoglieva le ragioni del contribuente, condannando l’Ufficio alla restituzione del 90% dei tributi versati, oltre interessi dalla domanda al soddisfo.
Sul gravame dell’Amministrazione finanziaria, il collegio d’appello riformava la sentenza di prime cure, donde insorge il contribuente affidandosi a cinque mezzi di ricorso, cui replica il patrono erariale con controricorso.
L’affare era chiamato in trattazione alla camera di consiglio del 11 ottobre 2023 ed in prossimità dell’adunanza entrambe le parti hanno depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni, il pubblico
patrono chiedendo altresì la remissione in pubblica udienza, dove la causa è stata rinviata con ordinanza interlocutoria n. 32348/2023.
In prossimità della pubblica udienza, il Pubblico Ministero, in persona del sost. Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria in forma di memoria, concludendo per il rigetto del ricorso, mentre la parte privata ha depositato ulteriore memoria a sostegno delle proprie ragioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vengono proposti cinque motivi di ricorso.
.I. Con il primo motivo, sollevando censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 107 del TFUE, 1 l. n. 89/1913 e 2 della direttiva 2006/123/CE, parte ricorrente censura l’operato del secondo collegio nella parte in cui ha ritenuto applicabili al caso di specie le disposizioni comunitarie sulla libera circolazione dei servizi all’interno del mercato europeo, ritenendo così la concessione di aiuti al ricorrente contraria all’art. 107 TFUE, potendo questa minacciare la concorrenza nel mercato interno.
Con il secondo motivo di ricorso, sollevando censura ex art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 132 c.p.c., 36 d.lgs. n. 546/92 e 2697 c.c., 6 del regolamento UE 1407/2013, 46 l. 234/2012 e 47 d.p.r. 445/2000, parte ricorrente censura la pronuncia di seconde cure per aver dubitato dell’efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva prodotta dal contribuente, non considerando che l’Agenzia non ha formulato alcuna specifica contestazione sui fatti ivi dichiarati.
Con il terzo motivo di ricorso, sollevando censura ex art. 360 n. 4 c.p.c. per motivazione contraddittoria, parte ricorrente censura la pronuncia per aver indistintamente verificato la compatibilità del rimborso richiesto con la normativa comunitaria sul de minimis facendo contemporaneo riferimento sia al Regolamento CE n. 69/01 (che prevede il massimale di € 100.000,00) che al Regolamento UE n. 1407/13 (che prevede il massimale di € 200.000,00) senza, però,
individuare quello effettivamente applicabile alla fattispecie. Inoltre, per aver effettuato tale controllo facendo contraddittoriamente riferimento ad archi temporali differenti a seconda del richiamo al Regolamento CE n. 69/01 (per il quale il giudice ha considerato i dati dichiarati nella autocertificazione del contribuente riguardanti l’arco temporale 1990-1992) od al Regolamento UE n. 1407/13 (per il quale il giudice ha invece ritenuto di fare riferimento ad un diverso arco temporale comprendente l’annualità 2003 di entrata in vigore della L. 289/02).
Con il quarto motivo di ricorso, sollevando censura ex art. 360, n. 3 c.p.c. per violazione della decisione della commissione UE C-(2015) 5549 (art. 2), dei regolamenti CE n. 69/01 (artt. 2 e 3) e n. 1407/13 (artt. 3, 5 e 6), degli artt. 107 e 108 del TFUE, degli artt. 9, comma 17, l. 289/2002, 3-quater d.l. 300/2006, 36-bis d.l. 248/2007, 1, comma 665, l. 190/2014, 12 l. 241/1990 e 97 Cost., parte ricorrente censura l’operato dei giudici in quanto con riferimento all’agevolazione fiscale in questione deve essere applicato il Regolamento UE n. 1407/13 sul de minimis che prevede la soglia di € 200.000,00 quale importo massimo di aiuti de minimis fruibili da verificare facendo riferimento proprio al triennio 1990-1992.
Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, sollevando censura ex art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., per violazione degli artt. 1, 7 e 32 d.lgs. n. 546/92, 112 e 115 c.p.c., 1 e ss. decisione della commissione UE C(2015) 5549, 6 regolamento UE 1407/2013 e 6 l. 212/2000, parte ricorrente censura la sentenza della C.t.r. non aver considerato che il contribuente, nella propria memoria di replica del II grado, aveva dichiarato di non avere fruito di aiuti anche nell’arco temporale 20012005, senza alcuna contestazione di controparte, per cui tale fatto doveva essere posto alla base della decisione riconoscendo il rimborso richiesto.
.II. Il primo motivo censura l’equiparazione di una professione liberale, nella specie il ruolo di notaio, alle attività produttive di
mercato, rette dal principio eurounitario della concorrenza. Il contribuente nega, quindi, che possa a lui ascriversi qualsivoglia limite di rimborso o disciplina per gli aiuti di Stato che possono, al più, avere rilievo per attività che operano in regime di mercato concorrenziale, non certo per le professioni intellettuali e, in ispecie, quelle regolate dallo Stato con funzioni di pubblico ufficiale con accesso a numero programmato.
.II.1. Questa Corte ha sul tema da tempo affermato (Cass. VI-5 n. 29905/2017; n. 3070/2018; Cass. V, n. 30373/2019) che «la nozione euro-unitaria d’impresa include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia: 23/04/1991, COGNOME & COGNOME; 16/11 /1995, Federation française des societes d’assurances ; 11/12/1997 Job centre; 16/06/1987, Commissione vs. Italia; 01/07/2008, Motoe; 26/03/2009, RAGIONE_SOCIALE»; che ciò «si raccorda sia con la normativa fiscale europea, laddove si stabilisce che è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” (art. 9, par. 9, Direttiva L L n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva LT: n. 77/388/CE), sia con la normativa europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori c/o opere, prodotti e 1 servizi” (art. 1 par., 8, Direttiva VE, n. 2004/18/CE)»; che tale nozione è stata recepita dalla decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 Final, par. 134, della Commissione VE laddove si afferma che i “soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese”»; e che
«ciò significa che non importa neppure che l’attività economica possa essere una libera professione regolamentata e che le prestazioni possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (v. Commissione VE 30/01/1995, n. 95/188/CE; conf. Corte giustizia, 23/04/1991, COGNOME e 18/06/1998, Commissione vs. Italia)».
.II.2. Specificamente, è dato ormai acquisito che in considerazione dell’incompatibilità col mercato interno delle misure di aiuto di Stato, l’art. 9, comma 17, della l. n. 289 del 2002, recante benefici fiscali in favore delle vittime del sisma del 13 e 16 dicembre 1990 in Sicilia, secondo l’interpretazione offerta dalla Commissione UE con la decisione del 14 agosto 2015, C 2015/5549, non spetta a chi svolge attività di impresa, nell’accezione eurounitaria di entità che, indipendentemente dal suo “status” giuridico e dalle modalità di finanziamento, esercita attività economica, consistente nell’offrire sul mercato beni e servizi, e dunque neppure ai contribuenti libero professionisti, anche se svolgenti attività “protette” (nella specie, è stata esaminata la professione notarile), salvo che si tratti di benefici individuali conformi al regolamento “de minimis” applicabile o concessi in base ad un regime di aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale, purché il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita al momento dell’evento e sia evitata la sovracompensazione rispetto ai danni subiti, spettando al contribuente l’onere della relativa prova. (Cass. V, n. 30373/2018). Il primo motivo non può dunque essere accolto. Ed il contribuente, per poter beneficiare del rimborso, deve soggiacere ai vincoli della disciplina de minimis ed al suo regime probatorio.
Si possono allora trattare congiuntamente i restanti motivi, da due a cinque, tutti imperniati sulla dimostrazione di non aver superato il regime de minimis.
.III. Risulta dirimente l’esame del secondo motivo, in ordine alla portata dell’autocertificazione quale prova idonea ad attestare il rispetto della soglia de minimis negli aiuti di Stato in cui si sostanzia
(anche) il rimborso per gli eventi calamitosi che hanno dato scaturigine alla controversia in esame.
Come già indicato sopra, il secondo motivo attiene all’efficacia dell’autodichiarazione della parte contribuente per provare di non aver avuto nel triennio altri benefici che possano integrare il superamento della soglia de minimis , oltre la quale un aiuto di Stato è considerato distorsivo della concorrenza ed in contrasto con i principi eurounitari.
Con ordinanza interlocutoria n. 32348/2023 l’affare è stato rimesso alla pubblica udienza in ragione del contrasto giurisprudenziale in ordine alla portata dell’autodichiarazione di parte contribuente di non superare il tetto del de minimis nel triennio di riferimento in cui si beneficia del rimborso.
.IV. L’inquadramento corretto della questione si impernia sulla circostanza che l’istituto è frutto di ius superveniens statale e, poi, eurounitario, cui è seguito ulteriore intervento nazionale. Un tanto ha richiesto al contribuente diverse modifiche o integrazioni dell’originaria domanda di rimborso, donde sul punto è intervenuta questa Corte già affermando che in tema di agevolazioni tributarie erogate ad un’impresa per calamità naturali, il giudice nazionale è tenuto a verificare se il beneficio individuale sia compatibile con il regolamento “de minimis” applicabile ovvero se ricorrano le condizioni che rendono l’aiuto compatibile con il mercato interno (ai sensi dell’art. 107, § 2, lett. b), TFUE) in quanto destinato a compensare i danni causati da calamità naturali, con la conseguenza che il contribuente che vuole fruire del beneficio deve fornire la prova, per il rispetto del limite del “de minimis”, che l’ammontare totale degli aiuti ottenuti nel periodo di tre anni, decorrente dal momento dell’ottenimento del primo aiuto, non supera la soglia prevista nel regolamento, ovvero, per l’applicazione dell’ipotesi prevista dall’art. 107, § 2. lett. b) TFUE, di avere la sede operativa nell’area colpita dalla calamità al momento dell’evento ed anche
l’assenza di una sovracompensazione dei danni subiti, scorporando dal pregiudizio accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o derivanti da altre forme di aiuto). Ai fini di detta prova, per effetto dello “ius superveniens” costituito dalla decisione della Commissione (UE) 2015/5549 del 14 agosto 2015 e della sua immediata applicabilità, è consentita alle parti l’esibizione di documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di fatti che non erano in precedenza indispensabili (Cass. L., 13458/2016; VI-5, n. 10450/2018; V, n. 2208/2019; VI-5 n. 17199/2019; T. n. 4932/2023).
.V. Un tanto premesso, va rammentato che il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno (Cass. V, n. 15026/2014). Si è inoltre rilevato che il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore – contribuente, che abbia articolato istanza di rimborso di un tributo, allorché il convenuto abbia negato l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’ an debeatur , poiché il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda (Cass V, n. 34707/2022).
Occorre ricordare che, in linea di massima, l’efficacia probatoria dell’autodichiarazione del contribuente è esclusa dal principio
secondo cui l’autocertificazione ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo invece priva di efficacia in sede giurisdizionale, e ciò tanto più nel contenzioso tributario, nel quale l’efficacia dell’autodichiarazione del contribuente trova uno specifico ed insuperabile ostacolo nell’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto finirebbe per introdurre in esso – eludendo il divieto di giuramento – un mezzo di prova non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (Cass. V. n. 18374/2019; n. 32568/2019; n. 33052/2019; Cass. T., n. 26314/2023, ma già Cass. III, n. 4556/2014, ove si è affermato che ‘la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria solo nei rapporti con la P.A. e non in sede giurisdizionale’).
.VI. Tale linea argomentativa non può essere superata facendo riferimento a pur comprensibili esigenze equitative in ragione di chi ha visto mutare il quadro normativo di riferimento nel corso del giudizio e non abbia altro mezzo per provare il fatto negativo, peraltro risalente oltre il dovere di conservazione delle scritture contabili.
Non di meno, la prova per autocertificazione in materia di aiuti di Stato è espressamente prevista dall’art. 6.§2 del regolamento UE/1407/13, seppure come rimedio temporaneo in attesa dell’istituzione del registro nazionale per gli aiuti di Stato, operativo dal maggio 2017, donde può essere ammessa l’autodichiarazione di parte contribuente, in deroga al regime istruttorio generale nel processo tributario.
Più precisamente, l’art. 10 del d.m. 31/05/2017 n. 115, recante la disciplina di funzionamento del Registro nazionale aiuti di Stato, istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi dell’art. 52 della l. 234/2012, prevede che la particolare procedura di registrazione degli aiuti di Stato ‘si applica a tutti gli aiuti individuali
di cui al comma 1 i cui presupposti per la fruizione si verificano a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento e, relativamente agli aiuti fiscali, a quelli i cui presupposti per la fruizione si verificano dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017′.
Ne consegue che nel periodo precedente all’entrata in funzione del Registro nazionale per gli aiuti di Stato, l’autodichiarazione è forma probatoria consentita per dimostrare un fatto negativo, cioè non aver superato i limiti quantitativi e temporali degli aiuti di Stato purché siano indifferenti alla concorrenza, cioè restino appunto de minimis . In assenza di specifiche formalità indicate dal prefato regolamento comunitario, tale dichiarazione -impegnando il regime fiscale del contribuente- può essere resa anche in momento successivo alla domanda di rimborso con le forme del d.P.R. n. 445/2000, sotto la propria responsabilità penale per dichiarazioni mendaci rese alla Pubblica amministrazione e può trovare ingresso nel processo tributario. Ed infatti, nel caso di specie, questa deroga al regime probatorio avviene in forza di norma speciale di derivazione comunitari, successiva alla norma generale (d.lgs. n. 546/1992) che vieta l’ingresso dell’autocertificazione nel processo tributario, come peraltro avvenuto già in altri casi, proprio in attuazione di disposizioni puntuali e specifiche: si pensi alla convenzione Italia Giappone sulle doppie imposizioni (resa esecutiva con l. n. 855/1972), laddove la norma speciale precedente non è stata scalfita dalla generale successiva, secondo la disposizione di cui all’art. 14 delle disp. prel. cod. civ.; più precisamente, infatti, si è stabilito che in tema di autocertificazione, l’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 445 del 2000 consente l’utilizzazione delle dichiarazioni sostitutive di cui agli art. 46 e 47 anche a soggetti estranei a Paesi dell’Unione nei casi in cui la produzione avvenga in applicazione di convenzioni fra l’Italia e il Paese di provenienza del dichiarante, sicché tali autocertificazioni, allegate a domande di rimborso in applicazione di Convenzioni con il
nostro Paese (nella specie, Convenzione contro le doppie imposizioni Italia – Giappone del 20 marzo 1969, ratificata e resa esecutiva con l. n. 855 del 1972), hanno attitudine certificativa e probatoria (cfr. Cass. VI-5, n. 3244/2016, conforme Cass. V, n. 24287/2019).
Altresì, giova ricordare che a presidio di indebiti vantaggi mediante dichiarazioni false o mendaci si erge il disposto dell’art. 316 ter del codice penale, laddove integra e completa la disciplina di cui all’art. 640 bis dello stesso codice, dedicato alla truffa ai danni dello Stato o dell’Unione Europea, estendendo la copertura penale ben oltre la falsa dichiarazione, punendo il conseguimento di indebiti vantaggi da erogazioni pubbliche. Tutto questo distingue sufficientemente l’autocertificazione di cui qui si tratta dalla prova scritta di provenienza del contribuente (assimilabile al giuramento) vietata dal più volte citato articolo 7, comma quarto, del d.lgs. n. 546/1992 e dimostra la sua coerenza con il sistema eurounitario.
Infine, deve considerarsi che l’autocertificazione con assunzione di responsabilità penale è modalità e disposizione di chiusura del sistema, poiché diversamente opinando non vi sarebbe altra possibilità per provare il fatto negativo di non aver superato -nel triennio di competenza- il limite de minimis degli aiuti di Stato, specie quando sia richiesto in un momento successivo al termine di conservazione delle scritture contabili, com’è il caso in esame.
.VII. Una volta ammessa -comunque per il limitato periodo temporale precitato e con riguardo al settore specifico ove l’autodichiarazione è normativamente prevista- occorre esaminare quale sia il triennio in cui debba essere autocertificato il rispetto del limite de minimis .
Questa Corte (Cass. T. n. 29081/2023; n. 25150/2023; n. 22562/2023; n. 9375/2023 in motivazione; analogamente Cass. V, n. 17199/2019) ha espressamente precisato che il periodo di tre anni, rispetto ai quali verificare che il contribuente intenzionato a fruire delle agevolazioni tributarie riconosciute a fronte di una
calamità naturale non abbia superato, con l’importo complessivo degli aiuti ottenuti, la soglia dei regolamenti de minimis , decorre dal momento dell’ottenimento del primo aiuto e che, dunque, si deve considerare il triennio 2001-2003 (per effetto dell’entrata in vigore in tale ultimo anno, in data 1/01/2003, della l. n. 289/2002, che riconosce il beneficio per cui è causa), in linea con quanto chiarito nei regolamenti de minimis per cui ‘Gli aiuti de minimis sono considerati concessi nel momento in cui all’impresa è accordato, a norma del regime giuridico nazionale applicabile, il diritto di ricevere gli aiuti, indipendentemente dalla data di erogazione (cfr. l’art. 3, § 4, di entrambi i Reg (UE) nn. 1407/2013 e 717/2014). Occorre altresì precisare che ‘Il periodo di tre anni da prendere in considerazione ai fini del presente regolamento deve essere valutato su base mobile, nel senso che, in caso di nuova concessione di un aiuto de minimis , si deve tener conto dell’importo complessivo degli aiuti concessi nell’esercizio finanziario in questione e nei due esercizi finanziari precedenti’ (cfr. il considerando nn. 10 del Reg. (UE) n. 1407/2013 e 13 del Reg. (UE) n. 717/2014). Analogamente il ‘considerando’ n. 5 del regolamento UE n. 69/2001 prevede che ‘L’aiuto de minimis si deve considerare erogato nel momento in cui sorge per il beneficiario il diritto a ricevere l’aiuto stesso’, donde ‘Il periodo di riferimento di tre anni deve avere carattere mobile, nel senso che, in caso di nuova concessione di un aiuto de minimis , l’importo complessivo degli aiuti de minimis concessi nei tre anni precedenti deve essere ricalcolato’. .VIII. Possono quindi essere espressi i seguenti principi di diritto.
-‘In tema di rimborso di imposta previsto dalla disciplina speciale connessa al Sima Sicilia 1990, con riguardo al limite degli aiuti di Stato, fino alla piena funzionalità del registro centrale degli aiuti di Stato di cui all’art. 6.§2 del regolamento UE/1407/13 e dell’art. 52 l. n 234/2012, da individuarsi al 31 maggio 2017, momento di entrata in vigore del regolamento sul funzionamento del prefato registro, (d.m. 31/05/2017, n. 115), in deroga alle disposizioni
processuali nazionali, è ammessa la prova del rispetto della disciplina de minimis mediante autodichiarazione del contribuente.’
-‘In tema di rimborso di imposta previsto dalla disciplina speciale connessa al Sisma Sicilia 1990, l’autodichiarazione eccezionalmente ammessa per il periodo antecedente al 31 maggio 2017, momento di entrata in funzione del registro centrale degli aiuti di Stato di cui all’art 6.§2 del regolamento UE/1407/13 e dell’art. 52 l. n. 234/2012, deve riguardare il momento in cui è beneficio è stato accordato, a prescindere da quando sia stato percepito, cioè l’anno di imposta 2003 (poiché il 1° gennaio 2003 è entrata in vigore la l. n. 289/2002 che all’art. 9, comma 17, regolava nel 10% il regime di imposta dovuto per gli anni 1990-1992) e i due esercizi precedenti donde il triennio di riferimento per l’autocertificazione va individuato nel 2001-2003’.
-‘In tema di rimborso di imposta previsto dalla disciplina speciale connessa al Sisma Sicilia 1990, l’autodichiarazione eccezionalmente ammessa per il periodo antecedente al 31 maggio 2017, momento di entrata in funzione del registro centrale degli aiuti di Stato di cui all’art 6.§2 del regolamento UE/1407/13 e dell’art. 52 l. n. 234/2012, può essere resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000; una volta presentata, può trovare accesso in sede di giudizio tributario di merito’.
Nel caso di specie è incontroverso che una prima dichiarazione sia stata, relativamente agli anni 1990-1992, tuttavia per le ragioni esposte, essa è irrilevante. Altresì una dichiarazione è stata resa in sede di memoria, da parte del difensore, con offerta di renderla nelle forme sacramentali, previo rinvio.
Correttamente la sentenza in esame non ha ritenuto efficace la dichiarazione in memoria, né ha inteso accordare un termine per una dichiarazione che poteva già essere stata resa con le forme appropriate. Altresì, proprio per le ragioni soprasvolte in tema di assunzione di responsabilità del contribuente per le dichiarazioni
mendaci rese alla Pubblica amministrazione in ordine al regime straordinario della prova di fatti negativi, non può valere -in questa materia- il principio di non contestazione erariale per assolvere il contribuente dal suo onere probatorio quale attore in senso sostanziale.
In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €.settemilatrecento/00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di co ntributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 10/07/2024.