Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31948 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31948 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3213/2017 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE
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ricorrente-
CONTRO
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE RAGIONE_SOCIALE CHIETI, in persona del Direttore pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
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contro
ricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. PESCARA n. 572/2016 depositata il 09/06/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della C.T.R. dell’Abruzzo, sez. stac. di Pescara, che ha rigettato l’appello proposto contro la sentenza della C.T.P. di Chieti, con la quale era stato rigettato il ricorso del medesimo contribuente per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2010, che riportava a tassazione, ai fini dell’imposizione diretta e dell’I.V.A., il c.d. ‘autoconsumo esterno’, relativamente all’omessa autofatturazione di un immobile, in corso di costruzione, per passaggio dalla sfera dell’impresa a quella personale, in occasione della cessazione dell’attività d’impresa.
La sentenza della C.T.R. chiarisce che la vicenda trae origine da un controllo della Agenzia delle Entrate, intervenuto in occasione della cessazione di attività dell’impresa di costruzione di edifici residenziali, di cui il contribuente era titolare. Era, infatti, emerso che un fabbricato ancora in costruzione, al momento della cessazione, era regolarmente transitato in contabilità, ma non destinato all’uso o al consumo personale e familiare dopo la cessazione. Rigettata l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per difetto di valida sottoscrizione, la C.T.R. ritiene infondato l’appello, rilevando che, ai sensi dell’art. 65 T.U.I.R., l’immobile attribuito all’imprenditore all’atto della cessazione dell’attività di impresa rimane fiscalmente soggetto
alle imposizioni del reddito di impresa, in quanto indicato nella sua contabilità, restando irrilevante il difetto dell’obbligo di iscrizione nell’inventario, per appartenenza dell’impresa alle categorie dispensate dalla sua tenuta (contabilità semplificata). Essendo, inoltre, il trasferimento dell’immobile assimilato ad una cessione di beni, il calcolo dell’imposta dovuta implica l’assunzione del valore venale del bene, quale valore di riferimento -detratto il costo di produzione- sicché, secondo la C.T.R., appare corretta l’assunzione a base di calcolo del valore indicato dalla perizia fatta eseguire dal contribuente. Né vale ad escludere l’obbligo tributario in relazione all’I.V.A. la dedotta circostanza dell’impossibilità del consumo personale e familiare, trattandosi di un immobile allo stato grezzo, posto che, ai fini dell’imponibilità non rileva l’immediatezza dell’uso o del godimento, ma solo il cambio di destinazione, assimilato dall’art. 2 d.P.R. 633/1972 ad una cessione di beni.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Con memoria in data 8 ottobre 2024, parte ricorrente, replicando al controricorso, ribadisce le conclusioni assunte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente formula due motivi di impugnazione.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. 600/1973, per avere la C.T.R. rigettato l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento, nonostante dalla sua lettura emergesse, da un lato, che il valore dell’atto era pari ad euro 34.575,43, dall’altro, che il funzionario sottoscrittore rivestiva la qualifica di ‘Capo -Area Accertamento Imprese’, al quale non è consentito, come emergerebbe proprio dalla documentazione
offerta dall’Ufficio, sottoscrivere autonomamente atti di importi superiori ad euro 25.000,00.
Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 9, 57 e 85 TUIR e dell’art. 54 d.P.R. 633/1972, nonché del d. lgs. 446/1997. Sostiene che -erroneamente- la sentenza impugnata qualifica il bene immobile oggetto dell’avviso di accertamento fra quelli considerati dall’art. 65 T.U.I.R., come ‘beni relativi all’impresa’, da annotare nel registro dei beni ammortizzabili, anziché fra i ‘beni merce’ da iscriversi nell’inventario annuale, dalla cui tenuta il ricorrente era esonerato, avendo adottato il regime di contabilità semplificata. Osserva che competeva all’Agenzia delle Entrate, al fine di giustificare l’obbligo di autofatturazione, indicare in quale modo il ricorrente avrebbe potuto trarre frutti da un immobile allo stato grezzo e non accatastato, che, pertanto, non poteva essere oggetto di godimento né diretto, né indiretto. Assume che sostenere -quanto meno ipoteticamente- che il ricorrente avrebbe potuto rivendere l’immobile equivarrebbe ad applicare una vietata duplicazione d’imposta, avuto riguardo al fatto che il corrispettivo avrebbe costituito intera plusvalenza (dovendosi tassare la vendita quale cessione di area fabbricabile), senza abbattimento dei costi di produzione, peraltro già azzerati dall’autofatturazione. Nessun maggior ricavo ai fini IRPEF ed IRAP avrebbe potuto emergere dalla mancata fatturazione se si fosse fatta applicazione all’immobile del suo valore ‘normale’ ovverosia quello contabilizzato dall’impresa (pari ad euro 203.560,00) per la cui determinazione rilevano le caratteristiche del bene, come emergenti stante l’assenza di accastamento -dai costi contabilizzati in contabilità, anziché di quello ‘venale’ pari ad euro 230.982,00, emergente dalla perizia. Parimenti a fini IVA non potendosi sostenere che l’immobile allo stato grezzo
avrebbe potuto essere destinato a finalità diverse da quelle dell’impresa, la C.T.R. avrebbe dovuto riconoscere: l’esclusione dell’operatività delle disposizioni di cui all’art. 2 d.P.R. 633/1972; l’obbligatoria applicazione del meccanismo di esenzione dell’IVA per il caso in cui il cessionario dell’immobile fosse stato soggetto esercente l’attività di impresa, che poteva detrarre l’IVA.
Il primo motivo è infondato.
Per dare soluzione alla questione dedotta con la prima doglianza, va, preliminarmente ricordato che ‘L’avviso di accertamento relativo ad imposte sui redditi e sul valore aggiunto, sottoscritto da parte di un funzionario delegato dal capo dell’ufficio, è nullo, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi richiama implicitamente il citato art. 42, se il contenuto della delega di firma emessa dal capo dell’ufficio in via generale non è stato rispettato dal sottoscrittore nel caso concreto’ (da ultimo: Sez. 5, Ordinanza n. 32386 del 03/11/2022).
5.1 Ora, dalla consultazione degli atti allegati al ricorso, ed in particolare dall’Ordine di Servizio n. 14/2012 del 2 ottobre 2012 (pag. 143 e segg. del fascicolo prodotto dal ricorrente), emerge con chiarezza che le deleghe rilasciate dal Direttore dirigente della Direzione Provinciale di Chieti alla sottoscrizione degli avvisi di accertamento ai funzionari, in relazioni alle rispettive qualifiche (Capo Area, Capo Ufficio, Capo Team) riguardano non il valore del reddito recuperato ad imposta, ma il valore delle rispettive imposte. Ciò si desume dalla elencazione delle imposte ‘II.DD., IVA, IRAP, SOSTITUTI DI IMPOSTA’ precedute dal segno di ‘>>’ (maggiore)’ di cui alla prima casella relativa agli Avvisi di accertamento ed alle Rettifiche, e dalla limitazione ‘Sino a’ apposta in relazione a ciascuna qualificazione
del funzionario delegato. Sicché il valore dell’imposta, per cui ciascun funzionario può sottoscrivere l’atto, è stabilita come segue: per il Capo Team fino a euro 7.500,00; per il capo Area, da euro 7.500,01 sino ad euro 25,000; per il capo Ufficio da euro 25.000,01 ad euro 50.000; per il Direttore Provinciale oltre euro 50.000,01.
Ne consegue che il Capo Area (dott. COGNOME ha legittimamente sottoscritto l’avviso di accertamento, posto che il valore dell’imposta accertata è pari ad euro 15.883,00, come correttamente sostenuto dalla C.T.R..
Il secondo motivo è infondato.
6.1 La prima questione posta riguarda la qualificazione dell’immobile -in costruzione ed allo stato grezzoquale ‘bene relativo all’impresa’ o ‘bene merce’, avuto riguardo al fatto che, secondo il ricorrente, solo per i primi potrebbe applicarsi l’art. 65 TUIR, con obbligo di assoggettare a tassazione il relativo valore, per effetto della cessazione dell’attività dell’impresa individuale, con acquisizione al consumo personale o familiare, laddove, invece, per il ‘bene merce’ siffatto obbligo non è previsto, con conseguente insussistenza degli adempimenti fiscali pretesi.
6.2 L’art. 65 TUIR al primo comma stabilisce che ‘ Per le imprese individuali, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano relativi all’impresa, oltre ai beni indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 85, a quelli strumentali per l’esercizio dell’impresa stessa ed ai crediti acquisiti nell’esercizio dell’impresa stessa, i beni appartenenti all’imprenditore che siano indicati tra le attività relative all’impresa nell’inventario tenuto a norma dell’articolo 2217 del codice civile. Gli immobili di cui al comma 2 dell’articolo 43 si considerano relativi all’impresa solo se indicati nell’inventario; per i soggetti indicati nell’articolo 66, tale indicazione può essere effettuata nel
registro dei beni ammortizzabili ovvero secondo le modalità di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435, e dell’articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 695’.
La disposizione individua, dunque, alcuni criteri oggettivi per l’attribuzione dei beni all’impresa individuale, per distinguerli da quelli personali dell’imprenditore individuale: tra essi rientrano i ‘beni merce’ (mobili o immobili) di cui alle lettere a) e b) dell’art. 85 comma 1 TUIR , ovverosia quelli la cui vendita genera ricavi; i ‘beni strumentali’, ex art. 43, comma 2, d.P.R. n. 917/1986, ovverosia quelli destinati all’esercizio dell’attività dell’impresa stessa, alla produzione propria o di terzi; gli immobili di cui al medesimo art. 42, comma 2, se iscritti nell’inventario; i crediti acquisiti nell’esercizio dell’impresa; i beni (mobili ed immobili) appartenenti all’imprenditore che siano indicati tra le attività relative all’impresa nell’inventario tenuto a norma dell’articolo 2217 Codice Civile.
Gli immobili, dunque, rivestono la qualità di beni merce, quando siano destinati al mercato della compravendita e caratterizzati dall’essere quelli al cui scambio o produzione è diretta l’attività di impresa (Sez. 5 – , Ordinanza n. 11631 del 04/05/2023, in motivazione; cfr. inoltre: Sez. 5 – , Ordinanza n. 39817 del 14/12/2021; Sez. 5 – , Sentenza n. 4417 del 20/02/2020).
6.3 Essendo pacifico che l’impresa individuale del contribuente fosse finalizzata alla costruzione e vendita di edifici residenziali (fatto incontestato), ciò che occorre comprendere è se, al momento della cessazione dell’attività, permanendo in contabilità un edificio in costruzione, esso dovesse essere oggetto di auto-fatturazione, confluendo nel patrimonio personale dell’imprenditore.
6.4 Ora, l’art. 2, comma 2, n. 5) d.P.R. 633/1972 stabilisce che debbano considerarsi cessioni di beni: ‘la destinazione di beni all’uso o al consumo personale o familiare dell’imprenditore o di coloro i quali esercitano un’arte o una professione o ad altre finalità estranee alla impresa o all’esercizio dell’arte o della professione, anche se determinata da cessazione dell’attività, con esclusione di quei beni per i quali non è stata operata, all’atto dell’acquisto la detrazione dell’imposta di cui all’articolo 19 si considera destinato a finalità estranee all’impresa o all’esercizio dell’arte o della professione l’impiego di beni per l’effettuazione di operazioni diverse da quelle imponibili ovvero non imponibili ai sensi degli articoli 8, 8 bis e 9, di operazioni escluse dal campo di applicazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 7 e dell’articolo 74, commi primo, quinto e sesto, nonché delle operazioni di cui al terzo comma del presente articolo e all’articolo 3, quarto comma’.
6.5 E’ chiaro, che, essendo cessata l’impresa i beni relativi all’impresa, non diversamente liquidati, passano al patrimonio personale dell’imprenditore, L’imprenditore individuale, infatti, non fruisce di autonomia patrimoniale -e la liquidazione è un puro fatto interno all’organizzazione amministrativa dell’impresa -con la conseguenza che i beni non venduti continueranno ad essere nella titolarità giuridica dello stesso soggetto. D’altro canto, dal punto di vista tributario l’impresa assume rilevanza in quanto esercizio concreto, per professione abituale, di una attività commerciale, senza che sia di per sé significativo l’apparato organizzativo, come si rileva dagli artt. 4 d.P.R. 633/1972 e 55 TUIR, sicché è irrilevante che la cessazione dell’impresa individuale avvenga senza previa liquidazione dei beni.
6.6 Nel caso di specie, non si dubita che l’impresa individuale del contribuente sia cessata (perché altrimenti
occorrerebbe soffermarsi sulla definizione del momento conclusivo della vita dell’impresa).
Ne deriva che i beni immobili, ancorché costituenti beni merce -come correttamente sostenuto dal ricorrenteall’atto della cessazione dell’attività di impresa, non essendo stati liquidati, non potevano che essere destinati all’uso o al consumo personale o familiare dell’imprenditore o ad altre finalità estranee alla impresa, con conseguente obbligo di autofatturazione, non essendo prevista alcuna altra ipotesi dalle norme tributarie. La cessazione dell’attività dell’impresa individuale, infatti, determina l’uscita dal regime fiscale di impresa di tutti i beni aziendali non liquidati. E la destinazione ad autoconsumo (personale o familiare) o a finalità estranee, determinata dalla cessazione dell’impresa individuale, rappresenta una fattispecie realizzativa sia dell’IVA, in quanto operazione imponibile ai sensi dell’art. 2, comma 2 n. 5) d.P.R. 633/1972, che delle imposte sui redditi, facendo emergere ricavi o plusvalenze, a seconda della tipologia dei beni, ex artt. 85 e 86, TUIR. La destinazione ad autoconsumo o a finalità estranee di tali beni costituisce dunque l’ultimo momento di produzione di imponibile di impresa, con obbligo di fatturazione IVA e di dichiarazione dell’eventuale reddito ai sensi dell’art. 182 TUIR.
6.7 Né può sostenersi, come fa il contribuente, che sia presupposto dell’assoggettamento ad auto -fatturazione della cessione del bene la possibilità di ricavare dal medesimo ‘frutti’ -circostanza ritenuta impossibile dal ricorrente, per essere l’immobile allo stato grezzo – posto che manca una simile previsione. Mentre anche un immobile in costruzione costituisce certamente un ‘bene’ ai sensi dell’art. 2 cit..
Ma, allo stesso modo, l’uscita dal regime fiscale di impresa dei beni non oggetto di liquidazione comporta che gli atti successivi di alienazione, compiuti dal soggetto al quale sono
stati destinati, in quanto realizzati da soggetto non imprenditore, saranno assoggettati al regime di tassazione delle persone fisiche. Non può, dunque, affermarsi che in caso di vendita del bene da parte del contribuente-persona fisica si concretizzerebbe una vietata duplicazione di imposta, posto che i presupposti applicativi sono differenti e nulla hanno a che vedere con la convenienza dell’operazione. Il fatto che i costi di costruzione fossero stati detratti dall’impresa e – come sostiene il ricorrente’azzerati dall’autofatturazione’ è, invero, irrilevante, stante il diverso regime fiscale al quale sono soggette le operazioni dell’imprenditore e quelle della persona fisica.
Ancora, del tutto fuorviante appare la considerazione introdotta con il ricorso, in ordine all’applicazione del meccanismo di esenzione dell’IVA, ritenuto applicabile anche in caso di autofatturazione. In realtà il contribuente non precisa a quale esenzione fa riferimento, ma deve ritenersi che si tratti di quelle previste dall’art. 10, commi 8 -bis e ter d.P.R. 633/1973. Ebbene, rispetto a siffatte disposizioni va rilevato che l’art. 10, comma 8bis, esclude proprio dall’esenzione la cessione ad opera delle imprese costruttrici. Sono infatti operazioni esenti, a mente della norma ‘ le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli di cui al numero 8-ter), escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi’ o dalle imprese che vi hanno eseguito interventi. Parimenti, ai sensi del comma 8 ter sono ammesse all’esazione: ‘le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli di cui al numero 8-bis), escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi’ o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, interventi’
Posto che, nel caso di specie, il bene ceduto in autoconsumo è un bene costruito dall’impresa cedente, non può pacificamente applicarsi l’esazione IVA invocata.
Con l’ultimo profilo di censura, relativo al valore del bene, tenuto in considerazione al fine di determinare l’IVA dovuta, il ricorrente lamenta che l’Ufficio abbia ritenuto equipollenti il valore ‘venale’ ed il valore ‘normale’, pur non essendoci corrispondenza, laddove se si fosse attenuto al valore ‘normale’ per il quale rilevano la caratteristiche del bene e l’assenza di accatastamento -nessun maggior ricavo ‘poteva emergere dalla mancata autofatturazione’, posto che il valore normale equivaleva ad euro 203.560, mentre quello periziato era pari ad euro 230.982.
8.1 Sulla questione la sentenza impugnata rileva che ‘Quanto alle modalità di calcolo non convince il richiamo al valore normale. Dal momento che l’immobile è destinato alla sfera patrimoniale dell’imprenditore, il trasferimento è assimilato ad una cessione di beni, che nel caso dei beni immobili comporta fiscalmente l’assunzione del valore venale del bene, detratto il costo di produzione. Sull’entità del valore l’Ufficio ha preso a base l’importo stabilito da una perizia giurata fatta eseguire dall’appellante, sicché non sembra potersi contestare una sostanziale accettazione dell’importo, atteso, tra l’altro che è stato lo stesso contribuente a produrla, in sede di presentazione della documentazione richiesta dall’Ufficio’.
8.2 Ora, come emerge dalla lettura della decisione appena riportata, è evidente che il ricorrente non coglie l’essenza della ratio decidendi , che va rinvenuta non tanto nella scelta fra l’adozione del criterio del valore venale o del valore normale del bene, ma nella sostanziale accettazione da parte del contribuente della stima del valore del bene sulla base della perizia giurata da lui prodotta, ai fini dell’imposizione fiscale. Per contrastare siffatta decisione, dunque, il ricorrente avrebbe dovuto spiegare perché la produzione della perizia giurata non equivaleva alla non contestazione del valore colà indicato, dando
conto delle diverse ragioni per le quali era stata prodotta e delle precisazioni formulate al riguardo, non tenute in considerazione dalla C.T.R., giunta al fraintendimento sul punto.
8.3 Anche siffatto profilo di censura deve essere, pertanto, respinto.
Alla reiezione del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 2300,00, oltre a spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità da liquidarsi in euro 2.300,00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024