Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 595 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 595 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
IMPUGNAZ ATTO AUTOTUTELA
D’IMPRESA
SENTENZA
sui ricorsi iscritti ai nn. RG 1724/2015 e 1726/2015, riuniti, proposti da:
RAGIONE_SOCIALE con riferimento al ricorso n. RG 1726/2015 quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE, corrente in Milano, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in base alla procura in calce all’atto di costituzione di nuovo difensore, unitamente all’avv. NOME COGNOME questo in base alla procura a margine del ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 2851/2014 e 2850/2014, depositate il 27/05/2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 dicembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto il rigetto integrale dei ricorsi.
Il difensore della contribuente ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
Rilevato che:
A seguito di attività di verifica svoltasi nei confronti di due controllate della ricorrente (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che unitamente alle altre del gruppo hanno esercitato l’opzione per il regime consolidato nazionale, con riferimento all’anno d’imposta 2005 il 4 maggio 2010 veniva notificato a RAGIONE_SOCIALE avviso di accertamento, al quale la stessa prestava acquiescenza, che prevedeva il recupero a tassazione dell’importo delle riserve in sospensione d’imposta iscritte a bilancio, con altresì l’incremento delle imposte sostitutive pari ad € 868.848. L’importo delle riserve veniva così ripreso a tassazione per € 5.614.680, inclusa l’anzidetta somma versata a titolo di imposta sostitutiva, riassuntivamente ipotizzando che la RAGIONE_SOCIALE con operazioni elusive avesse voluto distribuire le riserve di rivalutazione senza tassarle, utilizzando le perdite di altre società del gruppo.
La maggior imposta, atteso il regime di consolidato, non veniva liquidata, se non con l’atto di accertamento di secondo livello notificato il 4 novembre 2010 alla ricorrente RAGIONE_SOCIALE in qualità di consolidante.
Avverso tale atto RAGIONE_SOCIALE quale consolidante, proponeva istanza di autotutela, allegando appunto il mancato scomputo delle imposte sostitutive già versate dalla consolidata (i già ricordati € 868.848), e frattanto versando l’importo liquidato, però al netto delle imposte suddette, in data 22 dicembre 2010, versamento effettuato ai sensi della definizione di cui all’art. 15,
d.lgs. n. 218/97 (l’importo era individuato in € 1.254.855,78 oltre interessi da parte dell’Agenzia, scomputando l’imposta sostitutiva già ricordata).
In esito all’istanza di autotutela, l’Agenzia, con relativo provvedimento, accoglieva parzialmente la stessa, riconoscendo lo scomputo di soli € 572.169, poiché in data 1° luglio 2005 la RAGIONE_SOCIALE, società anch’essa del gruppo RAGIONE_SOCIALE, dopo la cessione della partecipazione da parte della RAGIONE_SOCIALE, aveva proceduto alla distribuzione delle riserve a due soci, trasferendo ad essi un credito d’imposta per € 296.679, che dunque non poteva essere oggetto di scomputo. Venivano quindi notificate alle due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE separate cartelle di pagamento per l’importo risultante dall’atto di autotutela, in sede di versamento non avendo la RAGIONE_SOCIALE pagato un minore importo come visto sopra.
La contribuente COGNOME proponeva quindi separati ricorsi davanti alla CTP avverso l’atto di accertamento di secondo livello, nonché avverso la relativa cartella di pagamento per il recupero della differenza e l’atto di autotutela. La consolidata IVELA invece proponeva ricorso solo avverso la cartella. La CTP riuniva i ricorsi e respingeva gli stessi con la sentenza n. 156/12/12.
Entrambe le società, quindi, proponevano separati gravami davanti alla CTR, che decideva anch’essa separatamente.
In particolare, va sottolineato come la sentenza n. 2850/2014 (oggetto del ricorso RG n. 1726/15, originariamente inerente alla IVELA) aveva ad oggetto solo la cartella; laddove la stessa ed unica sentenza della CTP era oggetto anche di separata impugnazione decisa con altra sentenza della CTR (la n. 2851/2014, oggetto del ricorso in cassazione n. RG n. 1724/15, inerente alla DEGAS), avente ad oggetto avviso, cartelle e atto di autotutela.
Entrambe le sentenze d’appello impugnate confermavano peraltro la decisione di primo grado.
Propongono le due società, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, due distinti ricorsi in cassazione, rubricati rispettivamente RG 1724 e 1726 del 2015, affidati entrambi a cinque motivi. L’Agenzia resiste ad entrambe le impugnative con appositi controricorsi.
Le società, frattanto la RAGIONE_SOCIALE essendo stata incorporata nella RAGIONE_SOCIALE, hanno successivamente depositato memorie illustrative, e con apposita istanza hanno altresì insistito per la riunione dei procedimenti.
Con ordinanze interlocutorie del 24 ottobre 2022 entrambe le cause venivano rinviate a nuovo ruolo per l’acquisizione dei fascicoli del merito e in seguito, datosi atto dell’indisponibilità degli stessi, il Presidente ordinava con decreto 2 dicembre 2022 l’acquisizione di copia dei ricorsi introduttivi di primo grado, a tener luogo degli originali ai sensi dell’art. 112, cod. proc. pen.
Con apposito atto venivano depositati dalla ricorrente gli atti medesimi.
Considerato che:
Anzitutto i ricorsi debbono essere riuniti, il più nuovo dovendo essere riunito al più antico, considerata la connessione oggettiva e soggettiva, ponendosi in evidenza come le controversie decise dalle due sentenze d’appello riguardavano l’impugnazione di un’unica sentenza di primo grado, come sopra specificato, avente ad oggetto la vicenda scaturita da un unico avviso di accertamento.
Principiando con i motivi del ricorso relativo al procedimento rubricato RG 1724/2015, con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546 e dell’art. 2 -quater d.l. 30 settembre 1995, n. 564 e del d.m. 11 febbraio 1997, n.37, in relazione all’art. 360 , primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Osserva la contribuente che erroneamente i giudici d’appello avrebbero ritenuto la non impugnabilità dell’atto di autotutela parziale. Nella specie, infatti, ad avviso della contribuente, poiché
l’atto in esame introduceva una motivazione del tutto assente negli avvisi di accertamento, che infatti non contenevano alcuna contestazione in ordine allo scomputo delle imposte sostitutive già versate dalla consolidata, l’atto medesimo assumeva valenza di sostanziale atto impositivo, dunque autonomamente impugnabile. In altri termini l’aver dedotto dall’intera imposta sostitutiva la porzione del credito asseritamente ceduta da RAGIONE_SOCIALE, pari ad € 296.679,00, costituirebbe questione nuova e mai trattata dall’originario atto impositivo, e ciò faceva rivestire all’atto di autotutela, a sua volta, natura di atto impositivo.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 276 e 279, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art.360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
Eccepisce in proposito la contribuente come, avendo la CTR ritenuto inammissibile l’impugnazione avverso un atto di autotutela, ed essendo così definito il giudizio, le considerazioni di merito, su cui pure si basa la decisione, sarebbero ultronee ed irrilevanti, rimanendo irrimediabilmente fuori dalla decisione, provenendo da un giudice che si è già spogliato della potestas iudicandi (viene richiamata sul punto Cass. Sez. U., 20/02/2007, n. 3840).
Con il terzo motivo -spiegato in via subordinata per il caso di mancato accoglimento del secondo – si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, cod. proc. civ., dell’art.36, d.lgs. n.546/1992 e dell’art. 111, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
In proposito la contribuente rileva come la sentenza di secondo grado sia priva di motivazione, limitandosi ad aderire alle ‘illustrazioni’ rese dal giudice di primo grado.
Con il quarto motivo -anch’esso spiegato in via subordinata per il caso di mancato accoglimento del secondo – si denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
Infatti, avendo i giudici di secondo grado aderito alla pronuncia di primo grado, gli stessi hanno ripetuto l’errore di questi ultimi nell’utilizzare, al fine di sostenere la legittimità dell’atto impugnato, argomenti da quest’ultimo non trattati, ed in particolare sostenendo che la scissione della RAGIONE_SOCIALE e la successiva cessione della società beneficiaria, RAGIONE_SOCIALE sarebbero prive di valenza economica col risultato di pervenire alla distribuzione di riserve in favore di RAGIONE_SOCIALE e dunque di assicurare evasione della normativa fiscale, con conseguente necessario disconoscimento dell’importo di € 296.679,00 come da atto di autotutela.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.14, d.P.R. 29 settembre 1973, n.602, in relazione all’art.360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Nella specie viene censurata la decisione laddove la stessa ha stabilito che l’accertamento dal quale derivano le iscrizioni a ruolo era di carattere definitivo, per cui ben poteva procedersi all’iscrizione per tutti gli importi accertati, trascurando però, ad avviso della contribuente, come l’iscrizione a ruolo fosse stata fatta in realtà ai sensi dell’art.11 del d.P.R. n.602/1973, dal momento che la maggiore imposta iscritta a ruolo, per € 296.679, derivava dall’atto di autotutela, e del resto a pag.2 delle cartelle si legge che l’iscrizione a ruolo sarebbe avvenuta a titolo straordinario, ai sensi appunto dell’art.11 cit., quindi per pericolo per la riscossione, non per definitività dell’accertamento.
Venendo ora ai motivi relativi al ricorso rubricato RG n. 1726/2015, con gli stessi, anch’essi in numero di cinque, si denunciano i medesimi profili che sono stati oggetto dei motivi relativi all’altro ricorso, da intendersi qui per ritrascritti. Gli stessi saranno dunque esaminati congiuntamente, salvo quanto di specifico occorresse rilevare con riferimento ai diversi oggetti.
Il secondo motivo (di entrambi i ricorsi), da esaminarsi prioritariamente, predicandosi l’assenza di potestas iudicandi in capo al giudice d’appello, è inammissibile quanto al ricorso RG n. 1726/2014, introdotto dall’allora IVELA, dal momento che nel ricorso oggetto della sentenza n. 2850/2014 l’atto di autotutela (infatti instato dalla DEGAS) non era impugnato (essendolo invece nell’altro giudizio, pur qui oggi riunito). Quanto invece al ricorso RG n. 1724/2014, introdotto dalla DEGAS quale consolidante, lo stesso è infondato, dal momento che la sentenza n. 2851/2014 basa la propria complessiva ratio sulla natura definitiva del debito fiscale in quanto oggetto di definizione agevolata, e dunque di impegno a non proporre ricorso in relazione a quel dato accertamento, solo successivamente occupandosi partitamente dell’atto di autotutela.
Deve a questo punto preliminarmente darsi atto del fatto che, effettuando il pagamento in data 22 dicembre 2010, la contribuente consolidante Degas si è avvalsa della definizione ai sensi dell’art. 15, d.lgs. 15 dicembre 1997, n.218, con pagamento dei tributi e delle sanzioni in misura ridotta (che poi non abbia pagato l’intero ciò risulta irrilevante) e conseguente rinuncia alla proposizione del ricorso, circostanza che emerge dalla sentenza impugnata e che non risulta contestata. Per effetto di ciò la CTR confermava, in ordine all’impugnazione dell’avviso di accertamento, la sentenza di primo grado.
10 . Venendo quindi ai motivi di ricorso, quelli inerenti all’atto di autotutela, primo, secondo (questo per la sola DEGAS, e per la parte inerente all’autotutela), terzo e quarto, anche alla luce di quanto appena osservato, vanno trattati congiuntamente e definiti in base a quanto sopra.
Anzitutto deve escludersi la fondatezza del terzo motivo di entrambi i ricorsi, poiché il giudice d’appello non s’è limitato a un acritico richiamo della motivazione del giudice di primo grado, ma ha svolto una effettiva valutazione propria dei motivi, appunto
richiamando la disciplina di cui al citato art. 15 d.lgs. n. 218/1997 e perciò direttamente confrontandosi con la disciplina rilevante, senza peraltro che il punto su cui s’incentra la sentenza di primo grado e che ha visto l’adesione del giudice d’appello, sia stato oggetto di particolare esame da parte dei motivi d’appello, come si ricava dalla stessa ricostruzione della parte ricorrente nel corpo dei propri ricorsi in cassazione (pagg. 47-53).
Nel merito deve osservarsi che in effetti il debito fiscale, attraverso un atto che in ogni caso determinava la rinuncia al ricorso, indipendentemente dal contenuto eventualmente impositivo dell’autotutela, non era più oggetto di contestazione. In altri termini, pur residuando in capo all’amministrazione finanziaria la potestà discrezionale di rivedere il debito a seguito dell’istanza di autotutela, l’avvenuta definizione di cui sopra, con la conseguente prevista rinuncia alla tutela giurisdizionale che consegue al pagamento in misura ridotta, privava la contribuente della possibilità di contestare alcunché circa quanto già accertato.
In effetti la disposizione prevede che
‘ Le sanzioni irrogate per le violazioni indicate nell’articolo 2, comma 5, del presente decreto, nell’articolo 71 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.131, e nell’articolo 50 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1990, n. 346, sono ridotte a un quarto se il contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso di accertamento o di liquidazione e a formulare istanza di accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme ccomplessivamente dovute, tenuto conto della predetta riduzione ‘ .
Il fatto che non sia stato pagato l’intero, ma solo la somma dedotte le imposte sostitutive (come del resto richiesto dall’amministrazione a seguito del provvedimento all. 4), non impediva alla scelta per la definizione di cui all’art.15 d.lgs. n.218/1997 di produrre il proprio effetto per quel debito. Il quale così non può più essere posto in discussione neppure se, in thesi, risultasse corretta l’impostazione della contribuente, per cui l’atto di autotutela conterrebbe una diversa prospettazione, a giustificazione del mancato scomputo dalla somma pretesa, di parte dell’imposta sostitutiva pagata.
In ogni caso deve osservarsi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’autotutela parziale, risolvendosi in un accoglimento parziale delle doglianze del contribuente, e dunque costituendo una parziale revoca dell’atto impositivo, non sarebbe comunque impugnabile ( ex plurimis Cass. 07/09/2020, n.18625; Cass. 30/10/2018, n. 27543; Cass. 08/06/2016, n. 11699). Orbene deve osservarsi che nel caso di specie non può condividersi il ragionamento per cui l’atto di autotutela parziale costituisca in parte atto impositivo, il che presuppone infatti il fondamento del credito erariale sull’esistenza di una diversa (rispetto all’atto originario) obbligazione tributaria, ma semplicemente l’atto medesimo prende in esame il fatto che parte delle somme che dovrebbero essere riconosciute alla contribuente sono state in realtà già oggetto di cessione a terzi del relativo credito d’imposta (precisamente cessione di un credito d’imposta per € 296.679 da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avvenuto in data 1° luglio 2005 a titolo di distribuzione delle riserve ai soci), che dunque non può più essere oggetto di scomputo.
In base alle osservazioni che precedono, anche il quinto motivo di ricorso risulta infondato. Infatti, come s’è osservato, il debito fiscale relativo all’avviso di accertamento di secondo livello, essendo stato oggetto di definizione ai sensi dell’art.15 d.lgs.
n.218/1997, è per l’effetto divenuto definitivo, il che giustifica l’emissione della cartella di pagamento per la differenza tra quanto versato e quanto effettivamente dovuto, peraltro ridotto rispetto al debito originario appunto a mezzo dell’atto di autotutela.
12 . Quanto precede determina l’integrale reiezione del ricorso, con aggravio di spese in capo alla contribuente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 5.500,00 per ognuna delle due controversie per onorario, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2023