LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Attività non commerciale: la prova spetta all’ente

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un’associazione contro un avviso di accertamento. Si è stabilito che l’onere di provare la natura dell’attività non commerciale, ai fini delle agevolazioni fiscali, spetta all’ente stesso. Nel caso specifico, le operazioni con i soci sono state considerate un mero espediente contabile, poiché i pagamenti per i beni venivano effettuati direttamente dai soci ai fornitori, rendendo illegittima la detrazione dell’IVA da parte dell’associazione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Attività non commerciale: l’onere della prova grava sull’associazione

La distinzione tra attività istituzionale e attività commerciale è un pilastro fondamentale del diritto tributario per gli enti non profit. Comprendere quando un’operazione rientra nell’ambito dell’attività non commerciale è cruciale per poter beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio chiave: spetta all’associazione dimostrare la natura non commerciale delle proprie operazioni, specialmente quando la sostanza economica diverge dalla forma contabile. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso

Una associazione di categoria, operante nel settore agricolo, ha impugnato un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2008. L’amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione alcune somme, contestando la detrazione di imposte ritenute indebite. Il Fisco sosteneva che l’attività di cessione di beni e servizi ai soci, considerata dall’ente come istituzionale, avesse in realtà natura commerciale.

Il caso ha attraversato due gradi di giudizio con esiti opposti. La Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente dato ragione all’associazione, ma la Commissione Tributaria Regionale ha successivamente accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di secondo grado hanno rilevato che le operazioni contestate costituivano un mero “escamotage contabile”: i soci, infatti, pagavano direttamente i fornitori per l’acquisto di mezzi tecnici e l’associazione si limitava a emettere fatture per giustificare formalmente il passaggio dei beni, senza ricevere alcun corrispettivo specifico. Questa modalità operativa, secondo la corte regionale, dimostrava che l’attività non poteva essere considerata commerciale.

L’associazione ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali: la presunta carenza di motivazione della sentenza d’appello e la violazione di un precedente giudicato formatosi in suo favore.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’associazione, confermando la validità dell’accertamento fiscale. La decisione si fonda su un’attenta analisi di entrambi i motivi di doglianza, offrendo chiarimenti importanti sui doveri probatori degli enti associativi e sui limiti del giudicato in materia tributaria.

Analisi del primo motivo di ricorso: la motivazione della sentenza

L’associazione lamentava che la sentenza d’appello non fosse adeguatamente motivata, non specificando le prove su cui si basava la decisione. La Cassazione ha respinto questa censura, ritenendo la motivazione dei giudici regionali chiara e sufficiente. La sentenza impugnata aveva infatti evidenziato il percorso logico-giuridico seguito: era stato accertato che i soci pagavano direttamente i fornitori e che l’associazione non incassava alcun corrispettivo, elementi sufficienti a qualificare le fatture emesse come un mero artificio contabile. Di conseguenza, l’attività non era commerciale e le relative detrazioni IVA erano indebite.

Analisi del secondo motivo: il giudicato esterno e la natura dell’attività non commerciale

Il secondo motivo, relativo alla violazione di un presunto giudicato esterno, è stato dichiarato inammissibile e infondato. L’associazione sosteneva che una precedente sentenza, passata in giudicato, avesse già definito la sua natura giuridica e quella delle sue attività. La Corte ha innanzitutto rilevato l’inammissibilità per carenza di autosufficienza, poiché l’associazione non aveva riprodotto nel ricorso il testo integrale della sentenza richiamata.

Nel merito, la Cassazione ha chiarito che l’efficacia di un giudicato relativo a un determinato anno d’imposta non si estende automaticamente agli anni successivi, se non per elementi fattuali e giuridici permanenti. La natura commerciale o meno di un’attività, tuttavia, non è un dato immutabile, ma dipende dalle concrete modalità di svolgimento che possono variare di anno in anno. Il giudicato precedente riguardava gli anni 1986-1990, mentre il caso in esame concerneva il 2008, sulla base di una verifica fiscale del 2011. I fatti erano, quindi, diversi e non coperti dalla precedente decisione.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha colto l’occasione per ribadire principi consolidati in materia di enti associativi. Per beneficiare delle agevolazioni fiscali, come quelle previste dall’art. 148 del TUIR, l’associazione ha l’onere di dimostrare concretamente di aver svolto un’attività non commerciale, in diretta attuazione degli scopi istituzionali e a favore dei propri soci. La semplice allegazione dello statuto non è sufficiente.

Nel caso di specie, l’associazione non solo non ha fornito tale prova, ma gli elementi emersi dalla verifica fiscale dimostravano il contrario. Le operazioni di acquisto di mezzi agricoli, sebbene previste dallo statuto, erano state realizzate con modalità che ne snaturavano il carattere commerciale. La mancanza di un effettivo corrispettivo pagato all’associazione e il pagamento diretto dal socio al fornitore hanno rappresentato la prova decisiva che l’intervento dell’ente era puramente formale, un espediente per consentire detrazioni fiscali altrimenti non spettanti.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un monito importante per tutte le associazioni e gli enti non profit: la forma deve sempre corrispondere alla sostanza. Per poter legittimamente qualificare un’operazione come attività non commerciale e godere dei relativi benefici fiscali, non è sufficiente una previsione statutaria. È indispensabile che le modalità concrete di svolgimento dell’attività siano coerenti con la finalità istituzionale e non commerciale. L’onere di provare tale coerenza ricade interamente sull’ente, che deve essere in grado di dimostrare, in caso di verifica, la reale natura delle sue operazioni, al di là di ogni possibile “escamotage contabile”.

A chi spetta dimostrare la natura non commerciale dell’attività di un’associazione per ottenere agevolazioni fiscali?
La responsabilità di dimostrare che un’attività è di natura non commerciale, e quindi idonea a beneficiare di agevolazioni fiscali, spetta interamente all’associazione stessa. Non è sufficiente invocare le previsioni dello statuto.

Una precedente sentenza che qualifica la natura di un’associazione vale anche per gli anni d’imposta futuri?
No, non necessariamente. L’efficacia di un giudicato tributario per un determinato anno d’imposta si estende ai periodi successivi solo per elementi giuridici e fattuali stabili nel tempo. La natura commerciale o meno di un’attività può cambiare di anno in anno e deve essere valutata sulla base delle circostanze specifiche di quel periodo.

Cosa succede se i soci di un’associazione pagano direttamente un fornitore per beni che poi vengono fatturati dall’associazione stessa?
Secondo la Corte di Cassazione, questa pratica può essere considerata un “escamotage contabile”. Dimostra che l’associazione non svolge una vera attività commerciale, in quanto non incassa un corrispettivo reale. Di conseguenza, l’operazione viene considerata non commerciale e l’associazione non ha diritto a detrarre l’IVA sugli acquisti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati