Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25416 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25416 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 21169/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso per cassazione, dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo difensore, in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO .
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del PIEMONTE n. 35/18, depositata in data 8 gennaio 2018, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, giusta sentenza n. 5154 del 16 marzo 2016, ha rigettato i ricorsi, riuniti, proposti dal RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto gli accertamenti notificati per Iva evasa e per le irregolarità commesse negli anni di imposta 1999 e 2000, a seguito della qualificazione come commerciale dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande da parte del RAGIONE_SOCIALE.
La Commissione tributaria regionale ha affermato che:
-) l’adesione all’RAGIONE_SOCIALE era irrilevante poiché l’attività di somministrazione a pagamento di cibo e bevande non avveniva a titolo solidaristico e gratuito, ma era, invece, praticata a prezzi di poco inferiori a quelli di mercato, con la conseguenza che non poteva essere ritenuta attività rientrante nelle attività assistenziali perseguite dall’RAGIONE_SOCIALE e, come aveva rilevato la Suprema Corte, la semplice attività di somministrazione non era prevista nell’oggetto RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE ed avveniva a prezzi di poco inferiori a quello di mercato sia in favore dei soci, che in favori dei non soci;
-) la legge n. 383 del 2008, come rilevato dalla Corte di Cassazione, non disponeva retroattivamente e non poteva applicarsi alle annualità 1999 e 2000, annualità in cui non vi era alcuna agevolazione, e l’estensione retroattiva del regime di favore non poteva trovare copertura finanziaria non essendo prevista dalle leggi di previsione di copertura per tale annualità;
-) il RAGIONE_SOCIALE svolgeva attività di vendita di cibo e bevande anche ai non soci e dal PVC emergeva che i cartelli recanti la dicitura «Menù del
giorno» erano esposti all’esterno con l’indicazione dei piatti e dei relativi prezzi, di poco inferiori a quelli praticati da altri gestori , che i luoghi adibiti alla somministrazione non erano ubicati all’interno della struttura adibita a sede del RAGIONE_SOCIALE e sull’ingresso all’esterno della struttura non vi dovevano essere insegne ed indicazioni che pubblicizzano la somministrazione;
-) il RAGIONE_SOCIALE non aveva mai provato che la somministrazione dei cibi e RAGIONE_SOCIALE bevande fosse esclusivamente riservata agli associati ed era irrilevante che l’accesso al bar non avvenisse direttamente dalla pubblica via, da dove non era visibile, ma attraverso un corridoio che lo ricollegava all’altro locale, al quale si accedeva da un ingresso chiuso, aperto solo dopo aver suonato il campanello, in quanto era evidente che né il corridoio, né il campanello impedivano l’accesso ad estranei che in tal modo fruivano dei servizi del bar (mai negati), trasformandone in commerciale l’attività;
-) le restanti censure del RAGIONE_SOCIALE circa il fatto che le riprese impositive erano state determinate da elementi rinvenuti successivamente e non percentualmente rilevanti ai fini della determinazione del reddito erano inconferenti perché l’Ufficio ne aveva contestato l’ammissibilità in quanto non proposte nel ricorso introduttivo e, comunque, erano infondate, dovendosi ribadire che era onere del RAGIONE_SOCIALE di provare adeguatamente che l’accesso era riservato esclusivamente ai soci, circostanza peraltro del tutto smentita nei fatti;
-) privo di pregio era l’assunto del RAGIONE_SOCIALE che ai fini della qualificazione dell’attività come commerciale doveva aversi riguardo alle finalità istituzionali dei fruitori RAGIONE_SOCIALE somministrazioni, tra cui la cooperativa RAGIONE_SOCIALE; la Suprema Corte aveva rilevato la terzietà della cooperativa, e, quindi, come anche nei confronti di essa dovesse valere il principio per cui l’attività commerciale non rientrante nelle finalità istituzionali e resa anche nei confronti di soggetti non soci qualificava come commerciale l’intera attività degli enti; era, peraltro, corretta
l’osservazione erariale che la cooperativa RAGIONE_SOCIALE non avesse mai fatto parte del RAGIONE_SOCIALE, né era indicata nello Statuto;
-) l’esclusione del regime agevolato era motivato oltre, che sulla base del riscontro di carattere commerciale della somministrazione di alimenti e bevande da parte del RAGIONE_SOCIALE anche per il mancato rispetto dei requisiti statutari, non ritenendo provata la sussistenza dei requisiti per beneficiare della legge n. 398 del 1991.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE si è costituita al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370, primo comma, cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 143, 148, 149 del d.P.R. n. 917 del 1986 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.). Doveva ritenersi erroneo e non fondato, ove formulato in termini assoluti come nella sentenza impugnata, l’assunto secondo cui le cessioni di beni e le prestazioni di servizi da parte degli enti associativi, tipiche dell’attività di bar-ristoro, costituivano sempre ed in ogni caso esercizio di attività commerciale ove rese a fronte di corrispettivi specifici, con tutte le conseguenze sul piano fiscale, anche se svolte esclusivamente nei confronti degli associati. L’Associazione aveva legittimamente operato nell’escludere i corrispettivi dei soci per l’attività del punto-mescita (bar RAGIONE_SOCIALE) dalla concorrenza al reddito ed alla base imponibile Iva, trattandosi di attività complementare a quella svolta in attuazione degli scopi istituzionali. Non aveva, poi, ragion d’essere, per addivenire ad opposte conclusioni, il richiamo ad una presunta «irretroattività» della normativa di cui alla legge n. 383 del 2000, sull’RAGIONE_SOCIALE, la quale, secondo la sentenza impugnata, avrebbe
consentito a tali enti di operare anche nei confronti di terzi soltanto a far data dall’anno 2001, in quanto la disciplina in questione operava esclusivamente sul piano civilistico e non affrontava profili relativi al trattamento fiscale e tributario dell’attività svolta.
2. Il secondo mezzo deduce l’omesso e/o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.). La sentenza impugnata aveva sostenuto che il RAGIONE_SOCIALE ricorrente non aveva dimostrato la sussistenza dei presupposti dell’invocata esenzione dal trattamento commerciale dell’attività svolta, in quanto non risultava provata sia l’assenza dell’accesso ai locali dalla pubblica via, sia l’esclusione dell’accesso incontrollato del pubblico, quando, invece, la prova della circostanza che l’associazione aveva somministrato al pubblico indifferenziato, e che, quindi, non potesse applicarsi al caso l’art. 148, comma 5, TUIR, doveva essere fornita dall’amministrazione tributaria. La decisione impugnata aveva omesso di esaminare e di motivare in ordine alla contestazione sollevata dal RAGIONE_SOCIALE ricorrente (da ultimo in sede di ricorso in riassunzione) circa l’effettiva presenza di sette non soci al momento dell’accesso da parte dei militari operanti, dato che, pure contestato nei vari gradi del giudizio, non integrava il quadro probatorio di un «afflusso incontrollato», in quanto assolutamente occasionale sul piano temporale, e marginale su quello quantitativo. Vi era, dunque, ampia dimostrazione, contrariamente a quanto assunto nella sentenza impugnata, che la somministrazione avvenisse nei confronti dei soci, invero assai numerosi e reali come risultava dalla documentazione consegnata. Inoltre, la totale carenza probatoria in ordine all’esistenza di attività di somministrazione in favore del pubblico indiscriminato discendeva dalla circostanza, anch’essa non adeguatamente affrontata nella sentenza impugnata, che l’occasionale e circoscritta presenza di presunti non soci nell’anno 2007 durante il quale si era svolto l’accertamento, non poteva in ogni caso giustificare una diversa
ricostruzione della materia imponibile negli anni 1999 e 2000. Parimenti, la sentenza impugnata aveva omesso di esaminare e motivare in ordine alla dedotta e controversa circostanza secondo cui la presenza occasionale di non soci, in quanto riferita dagli organi dell’amministrazione finanziaria alla «consumazione di pasti caldi» e quindi alla fruizione del «servizio mensa», non costituiva presupposto coerente ai fini dell’emanazione di atti di accertamento per la ripresa a tassazione di incassi riferiti al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
3. Il terzo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 149 TUIR. Costituiva oggetto di censura il punto della sentenza di rinvio in cui si affermava che « la Suprema Corte ha infatti affermato che quando l’attività di somministrazione non rientra nelle finalità istituzionali dell’associazione ed è resa nei confronti di soggetti non associati, peraltro, a prezzi di mercato, tale attività deve essere ritenuta commerciale e tale carattere si estende qualifica l’intera attività nei confronti di chiunque sia resa ». Era emerso dalla verifica condotta che i proventi dell’attività del bar RAGIONE_SOCIALE si ponevano, rispetto a quelli derivanti dalla mensa, in un rapporto di circa 20 a 1 (cfr. tabella a pag. 15 del p.v.c.) e, quanto all’attività di spaccio, che non era stata mai svolta dal RAGIONE_SOCIALE (come la tabella in menzione confermava), ma l’Ufficio aveva ricavato, con evidente travisamento dei fatti, la motivazione di prevalenza dell’attività commerciale, ponendola a fondamento dell’ingente pretesa tributaria e l’erroneità di siffatto ragionamento ea stata ampiamente dedotta negli scritti difensivi (a partire dai ricorsi di primo grado), ma per nulla esaminata dal giudice del rinvio.
3.1 I motivi devono essere trattati unitariamente perchè inammissibili per la stessa ragione, in quanto si tratta di doglianze (tutte già proposte nei precedenti gradi di giudizio come ripetutamente affermato dal RAGIONE_SOCIALE ricorrente) dirette, con evidenza, a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla
contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie di causa, che non costituiscono vizio di violazione di legge (Cass., 19 agosto 2020, n. 17313).
3.2 In proposito, questa Corte ha affermato il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987) e che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
3.3 Ed invero, nel caso di specie, non viene in rilievo la violazione RAGIONE_SOCIALE regole di diritto che il RAGIONE_SOCIALE ricorrente assume essere state violate e le doglianze mirano a contestare l’accertamento in fatto operato dalla Commissione tributaria regionale, insindacabile in questa sede, stante che la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento
discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass., 19 luglio 2021, n. 20553).
3.4 I motivi, tuttavia, sono pure infondati, laddove prescindono integralmente dai principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 5154 del 16 marzo 2016, che regolano la fattispecie in esame e che sono stati correttamente applicati dal giudice del rinvio, così riproponendo nuovamente tutte le censure esaminati dal giudice di legittimità e ritenute infondate.
3.5 E’ sufficiente evidenziare che la Corte, nell a sentenza richiamata (la n. 5154 del 2016) ha, innanzi tutto, precisato che l’oggetto del ricorso dell’RAGIONE_SOCIALE era rappresentato dalla qualificazione, a fini fiscali, dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande all’interno del RAGIONE_SOCIALE nel sistema vigente anteriormente all’art. 4 della legge n. 383 del 2000, che aveva consentito ai circoli di finanziarsi con attività commerciali consistenti nella cessione di beni e servizi ai soci e a terzi e, successivamente, nell’esaminare congiuntamente i cinque motivi di ricorso per cassazione, ha rilevato che il giudice d’appello era incorso in errori giuridici poiché si era discostato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità alla quale il Collegio riteneva di adeguarsi.
3.6 Di poi, i giudici di legittimità hanno affermato che, tanto per le imposte sui redditi, quanto per l’imposizione sul valore aggiunto, nel sistema vigente anteriormente all’art. 4 della legge n. 383 del 2000, l’attività di bar e ristorante con somministrazione di bevande e alimenti verso pagamento di corrispettivi specifici, svolta da un RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE, anche se effettuata ai propri associati, non rientrava in alcun modo tra le finalità istituzionali del RAGIONE_SOCIALE stesso, e che, d unque, l’attività doveva ritenersi, ai fini del trattamento tributario, di natura commerciale, con il conseguente corollario che l’unica deroga al trattamento fiscale come attività commerciale della
somministrazione di alimenti e bevande era data per quella svolta nelle mense aziendali e negli spacci annessi ai circoli cooperativi e degli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali erano riconosciute dal Ministero dell’interno; si trattava di principi generali che, pur dettati in tema d’imposizione sui redditi, non erano derogati dalle disposizioni dettate per l’imposizione sul valore aggiunto dall’art. 4, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 che considerava fatte nell’esercizi o di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso il pagamento di corrispettivi specifici o di contributi supplementari, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazione politiche, sindacali e di categoria, religiose, culturali sportive dilettantistiche, di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di formazione extrascolastica della persona (cfr. pagine 4 e 5 della sentenza n. 5154 del 2016).
3.7 Non è superfluo ricordare che, in tema di imposte sui redditi, nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 4 della legge 7 dicembre 2000, n. 383, questa Corte ha affermato che:
-) l’esclusione dalla base imponibile dei corrispettivi riscossi in relazione all’attività di gestione di un bar, con somministrazione di bevande ed alimenti, all’interno dei locali di un RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 4, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, presuppone che la prestazione del servizio abbia luogo soltanto in favore dei soci e degli associati; tali prestazioni, infatti, in quanto attinenti all’attività di ristorazione, tradizionalmente esercitata da privati esposti al rischio d’impresa, non possono ritenersi interamente sottratte al trattamento tributario previsto per gli imprenditori privati, se rese da enti pubblici o da enti non commerciali, senza che tale esonero si traduca in una forma di agevolazione irragionevole ed idonea a determinare squilibri ingiustificati sul piano della concorrenza (Cass. 13 gennaio 2006, n. 611; Cass., 4 novembre 2008, n. 26469).
-) l’esclusione dalla base imponibile dei corrispettivi riscossi in relazione all’attività di gestione di un bar, con somministrazione di bevande ed alimenti, all’interno dei locali di un RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 111 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, presuppone che la prestazione del servizio, oltre ad aver luogo soltanto in favore degli associati o dei partecipanti ed in conformità alle finalità istituzionali dell’ente, senza una specifica organizzazione e verso un corrispettivo che non eccede il costo di diretta imputazione, non sia riconducibile all’art. 2195 cod. civ., non sussistendo valide ragioni per riservare un trattamento tributario di favore ad un’attività commerciale, per il solo fatto che essa venga svolta da un ente non commerciale (Cass., 13 gennaio 2006, n. 606);
-) l’attività di bar con somministrazione di bevande verso pagamento di corrispettivi specifici svolta da un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE, anche se effettuata ai propri associati, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali del RAGIONE_SOCIALE stesso, e deve quindi ritenersi, ai fini del trattamento tributario, attività di natura commerciale (Cass., 30 giugno 2006, n. 15191).
3.8 La Corte, inoltre, nella sentenza n. 5154 del 2016, ha pure sottolineato che la validità dell’impostazione evidenziata trovava riscontro normativo nell’art. 4, comma 4, lett. f), della legge n. 383 del 2000, entrata in vigore l’11 gennaio 2001 («le RAGIONE_SOCIALE traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento RAGIONE_SOCIALE loro attività da proventi RAGIONE_SOCIALE cessioni di beni e servizi agli associati e a terzi, anche attraverso lo svolgimento di attività economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzate al raggiungimento degli obiettivi istituzionali»), e che proprio la correlazione logica tra le diverse previsioni induceva (condivisibilmente) a ritenere che non andavano considerate come
effettuate nell’esercizio di attività commerciale e che, quindi, non erano imponibili, unicamente quelle prestazioni e quei servizi che realizzavano le finalità istituzionali senza alcuna specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedevano i costi di diretta imputazione, e, quindi, non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti doveva ritenersi rientrare nel regime impositivo (cfr. pag. 6 della sentenza n. 5154 del 2016).
3.9 Così è stato affermato che sono effettuate nell’esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati, ove rese verso il pagamento di un corrispettivo o di un specifico contributo supplementare e che è esclusa (in via eccezionale) la qualificazione di prestazione fatta nell’esercizio di attività commerciale, RAGIONE_SOCIALE cessioni di beni e RAGIONE_SOCIALE prestazioni di servizi a condizione che siano effettuate in conformità alle finalità istituzionali da RAGIONE_SOCIALE politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali e sportive; dunque, la possibilità di usufruire dell’agevolazione di cui agli artt. 4 d.P.R. n. 633 del 1972 e 111 TUIR, anche a seguito della riforma introdotta dall’art. 4 della legge n. 383 del 2000, deriva dal concorso di due circostanze: a) dall’esclusione della qualificazione dell’attività svolta come attività commerciale, in ragione dell’affinità e strumentalità della stessa con i fini istituzionali; b) dallo svolgimento dell’attività unicamente in favore dei soci (Cass., 15 giugno 2018, n. 15865, in motivazione).
3.10 Questa Corte ha pure precisato che « l’attività di gestione di un bar-ristoro da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come non commerciale, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e di quella sui redditi solo se la suddetta attività sia strumentale rispetto ai fini istituzionali dell’ente e sia svolta esclusivamente in favore degli associati. L’esenzione d’imposta prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 148, in favore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non lucrative, dipende non solo
dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al RAGIONE_SOCIALE, essendo invece rilevante che le RAGIONE_SOCIALE interessate si conformino alle clausole relative al rapporto associativo, che devono essere inserite nell’atto costitutivo o nello statuto » (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3746). Ed ancora « L’attività di gestione di un bar ristoro da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come non commerciale, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (art. 4, D.P.R. n. 633 del 1972) e di quella sui redditi (art. 148, D.P.R. n. 917 del 1986 vigente), soltanto se la suddetta attività sia strumentale rispetto ai fini istituzionali dell’ente e sia svolta solo in favore degli associati. Di talché non rientra tra le finalità istituzionali del circolo e deve, dunque, ritenersi, ai fini del trattamento tributario, attività di natura commerciale, l’attività di bar con somministrazione di bevande verso pagamento di corrispettivi specifici, svolta da un circolo RAGIONE_SOCIALE, anche se effettuata ai propri associati » (Cass., 15 giugno 2018, n. 15865, citata).
3.11 Essendo questo il quadro di riferimento, deve ricavarsi che solo le prestazioni ed i servizi che realizzano le finalità istituzionali, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, non vadano considerate come compiute nell’esercizio di attività commerciale e, quindi, come non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti si reputa rientrare nel regime impositivo.
3.12 La Corte di Cassazione, applicando i principi suesposti alla vicenda in esame, ha precisato che i verbalizzanti avevano riferito di « insegne sociali idonee ad attrarre l’ingresso di un pubblico generico » e di « esercizio … sulla pubblica via » e che, a fronte dell’accesso diretto dei locali sulla pubblica via rilevato dai verbalizzanti, era il RAGIONE_SOCIALE a dovere allegare e provare se e come l’accesso escludesse i terzi,
rammentandosi che l’accertata presenza di terzi al momento del sopralluogo dei verbalizzanti, anche se posteriore all’anno d’imposta controverso, costituiva elemento di sfondo, peraltro, neppure adeguatamente contestato in appello (cfr. pagine 6 e 7 della sentenza n. 5154 del 2016).
3.13 Inoltre, sulla questione dei rapporti con la RAGIONE_SOCIALE e più in RAGIONE_SOCIALE riguardo al rinvenimento di fatture emesse per la somministrazione di pasti e bevande a terzi e imprese dell ‘attività di spaccio (nuovamente riproposta in questa sede), già questa Corte, nella sentenza n. 5154 del 2016, richiamando l’art. 111, comma 4, TUIR e l’art. 4, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972 (che fanno espresso riferimento alle prestazioni effettuate nell’attività di gestione di spacci aziendali e di mense) ha ribadito che le ipotesi elencate da queste norme avevano sempre natura commerciale, sia ai fini dell’Irpeg, che dell’Iva e che i servizi forniti in un bar si collocavano nello stesso ambito della vendita di prodotti che si trovavano in uno spaccio aziendale (si pensi alle bevande) e, in ogni caso, in un concetto ampio di ristorazione, concludendo che il termine «spaccio» doveva essere correttamente inquadrato sul piano sistematico in un contesto più ampio nel quale il legislatore dell’Iva e RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi aveva unitariamente ribadito la natura commerciale per una serie di attività che coprivano sicuramente il settore della ristorazione, oltre che della ricettività alberghiera (cfr. pagine 7 e 8 della sentenza n. 5154 del 2016).
3.14 In conclusione, la Commissione tributaria regionale, nella sentenza oggetto di impugnazione, si è uniformata ai principi di diritto enunciati dalla Corte (peraltro espressamente richiamati) e, con un accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, ha ritenuto che, nel caso specifico, l’attività di somministrazione a pagamento di cibo e bevande non avveniva a titolo solidaristico e gratuito, ma era,
invece, praticata a prezzi di poco inferiori a quelli di mercato, con la conseguenza che non poteva essere ritenuta attività rientrante nelle attività assistenziali perseguite dall’RAGIONE_SOCIALE; che la semplice attività di somministrazione non era prevista nell’oggetto RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE e che l’attività poteva non assumere rilevanza fiscale solo se svolta e resa nei confronti degli associati, mentre se svolta nei confronti di non soci (come era risultato dalla verifica) andava sempre considerata commerciale e ciò quale che fosse il numero o la frequenza degli episodi; che dal PVC era emerso che i cartelli recanti la dicitura «Menu del giorno» erano esposti all’esterno con l’indicazione dei piatti e dei relativi prezzi e che era irrilevante la circostanza che l’accesso al bar non avveniva direttamente dalla pubblica via, ma attraverso un corridoio e dopo avere suonato il campanello, poiché né il corridoio, né il campanello impedivano l’accesso ad estranei; i giudici di secondo grado hanno, dunque, ritenuto la natura commerciale dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitata dal RAGIONE_SOCIALE, in quanto effettuata anche nei confronti di soggetti terzi, tenuto conto inoltre che il RAGIONE_SOCIALE, a fronte degli elementi di fatto riscontrati, non aveva mai provato che la somministrazione dei cibi e RAGIONE_SOCIALE bevande fosse esclusivamente riservata agli associati.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato.
4.1 Nessuna statuizione va assunta sulle spese processuali, in quanto l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del RAGIONE_SOCIALE ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 12 settembre 2024.