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Attività commerciale ente non profit: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25416/2024, ha rigettato il ricorso di un circolo ricreativo, confermando la natura di attività commerciale ente non profit del suo servizio di bar e ristorazione. La Corte ha stabilito che la somministrazione di alimenti e bevande a fronte di corrispettivi, specialmente se accessibile anche a non soci e a prezzi di poco inferiori a quelli di mercato, qualifica l’intera attività come commerciale ai fini fiscali (IVA e imposte sui redditi), indipendentemente dalla finalità istituzionale dell’ente. L’onere di provare l’esclusività del servizio ai soli soci ricade sull’associazione.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Attività Commerciale Ente Non Profit: Quando Bar e Ristorante Pagano le Tasse

Un’associazione senza scopo di lucro che gestisce un bar o un ristorante può vedersi contestare la natura commerciale di tale servizio, con conseguente obbligo di pagare IVA e imposte sui redditi. Questa è la problematica al centro della recente ordinanza della Corte di Cassazione, che ha fornito chiarimenti cruciali sulla qualificazione fiscale dell’attività commerciale di un ente non profit. La pronuncia sottolinea come l’apertura, anche di fatto, a soggetti non soci sia un elemento determinante per la perdita dei benefici fiscali.

I Fatti del Caso

Un circolo ricreativo si è visto notificare dall’Amministrazione finanziaria degli avvisi di accertamento per IVA evasa e irregolarità fiscali relative agli anni 1999 e 2000. La contestazione nasceva dalla riqualificazione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, svolta dal circolo, da istituzionale a commerciale. Secondo l’Ufficio, il servizio di bar e ristorazione non era riservato esclusivamente ai soci ma era accessibile anche a terzi. Inoltre, l’attività era promossa all’esterno con l’esposizione di menù e prezzi, seppur di poco inferiori a quelli di mercato, configurando così una vera e propria concorrenza con le imprese commerciali tradizionali.

Il caso, dopo un lungo iter giudiziario che aveva già visto un precedente intervento della Cassazione, è giunto nuovamente all’attenzione della Suprema Corte a seguito del ricorso del circolo contro la decisione della Commissione tributaria regionale, la quale aveva confermato la legittimità degli accertamenti fiscali.

La Decisione della Corte sulla Natura dell’Attività Commerciale Ente Non Profit

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del circolo, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: l’attività di bar e ristorante svolta da un ente associativo perde la sua natura non commerciale quando non è strettamente funzionale al raggiungimento degli scopi istituzionali e, soprattutto, quando viene offerta non solo ai soci ma anche a terzi.

La Corte ha ritenuto irrilevanti le argomentazioni del circolo, secondo cui l’accesso non era diretto dalla pubblica via ma mediato da un campanello. Ciò che conta è l’assenza di prove concrete che dimostrino un’effettiva e rigorosa esclusione dei non soci dalla fruizione dei servizi. In mancanza di tale prova, l’attività viene presunta commerciale nella sua interezza.

Le Motivazioni della Sentenza

La decisione della Corte si fonda su diversi pilastri argomentativi che chiariscono i confini tra attività istituzionale e commerciale per gli enti del terzo settore.

1. Il Principio della Commercialità: La somministrazione di cibi e bevande verso corrispettivo specifico è, per sua natura, un’attività commerciale. Per essere esclusa da tassazione, deve soddisfare due requisiti stringenti e concorrenti:
– Essere strumentale ai fini istituzionali dell’ente (culturali, ricreativi, sportivi, ecc.).
– Essere svolta esclusivamente in favore degli associati.

2. L’Onere della Prova: È l’ente non profit, in qualità di contribuente che invoca un regime fiscale agevolato, a dover dimostrare la sussistenza di tali requisiti. Nel caso di specie, il circolo non è riuscito a provare che il servizio di bar fosse riservato unicamente ai propri soci. La semplice affermazione non è sufficiente; sono necessarie prove concrete, come verbali di accesso, controlli all’ingresso o altre misure idonee a garantire l’esclusività.

3. L’Irrilevanza della Frequenza: La Corte ha chiarito che la presenza anche solo occasionale e numericamente limitata di non soci è sufficiente a qualificare l’intera attività come commerciale. Non è necessario un “afflusso incontrollato” di pubblico; basta che l’accesso a terzi non sia precluso. L’apertura al mercato, anche se minima, fa scattare la presunzione di commercialità.

4. Criteri Fattuali: I giudici hanno dato peso agli elementi fattuali riscontrati durante la verifica fiscale, come l’esposizione di cartelli esterni con il “Menu del giorno” e i relativi prezzi. Questi elementi sono stati considerati indicatori di un’attività rivolta a un pubblico generico e gestita con modalità imprenditoriali.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutti gli enti non profit che gestiscono attività di somministrazione. La linea di demarcazione tra attività istituzionale e commerciale è sottile e richiede una gestione rigorosa. Per evitare contestazioni fiscali, le associazioni devono adottare misure efficaci per garantire che i servizi a pagamento siano offerti esclusivamente ai propri membri.

In pratica, questo significa implementare sistemi di controllo degli accessi, verificare lo status di socio di chi usufruisce dei servizi e astenersi da qualsiasi forma di pubblicità o promozione rivolta all’esterno che possa suggerire un’apertura al pubblico. La mancata osservanza di queste cautele espone l’ente al rischio di vedersi riqualificare l’attività come commerciale, con la conseguente applicazione di IVA e imposte sui redditi sull’intero volume d’affari generato, e non solo sulla parte relativa ai non soci.

Quando l’attività di un bar gestito da un’associazione non profit è considerata commerciale ai fini fiscali?
L’attività di bar è considerata commerciale quando è svolta verso il pagamento di corrispettivi specifici e non è riservata esclusivamente ai soci dell’associazione. Anche se i prezzi sono inferiori a quelli di mercato e l’attività è marginale rispetto a quella istituzionale, l’apertura a soggetti terzi la qualifica come commerciale.

A chi spetta l’onere di provare che l’accesso al bar dell’associazione è riservato solo ai soci?
Secondo la Corte, l’onere della prova spetta all’associazione stessa. L’ente che intende beneficiare del regime fiscale agevolato deve dimostrare in modo concreto e inequivocabile che i servizi di somministrazione sono erogati esclusivamente ai propri associati.

La presenza occasionale di non soci all’interno del bar di un’associazione è sufficiente a qualificare l’attività come commerciale?
Sì. La sentenza chiarisce che non è necessario un afflusso massiccio o continuo di pubblico esterno. La semplice possibilità per i non soci di accedere e fruire dei servizi, anche se avviene in modo sporadico o per un numero limitato di persone, è sufficiente a far perdere all’attività la sua natura istituzionale e a qualificarla come commerciale ai fini fiscali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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