Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17951 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17951 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3305/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo n. 620/2019, depositata il 21/06/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
A seguito di accertamenti sulla natura commerciale dell’attività in concreto esercitata dall’azienda agricola NOME COGNOME, veniva redatto PVC il 10/03/2015. E’ stato conseguentemente emesso l’avviso di accertamento con cui sono stati rideterminati i redditi di esercizio per l’anno 2014, rilevando che l’attività commerciale era stata prevalente, avendo la contribuente commercializzato prodotti agricoli acquistati da terzi ed operato il lavaggio di prodotti ortofrutticoli (carote) all’interno di un capannone concessole in comodato, a tal fine, da una diversa società. L’avviso di accertamento n. TA301020111/2017, emesso per l’anno d’imposta 2014, ha conseguentemente distinto fra ricavi rinvenienti dall’attività agricola e ricavi ottenuti attraverso detta attività di impresa, provvedendo al recupero a tassazione sui redditi non dichiarati.
La contribuente presentava istanza di accertamento con adesione, quindi, ha impugnato l’avviso di accertamento ritenendo insussistenti le ragioni per disattendere le scritture contabili; tale ricorso è stato accolto dalla CTP de L’Aquila con la sentenza n. 336/2018, che ha ritenuto la prevalenza dell’attività agricola esercitata dalla COGNOME e puramente connessa l’attività di lavaggio delle carote.
L’appello dell’ufficio è stato respinto con sent. n. 620/2019 della CTR Abruzzo, la quale ha ritenuto non dimostrato l’acquisto ‘in nero’ di 9.700 kg di carote, ritenendo invece provata la prevalenza dell’attività agricola.
Ha quindi proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta di un solo motivo.
La contribuente resiste con controricorso.
E’ stata fissata udienza in camera di consiglio per il successivo 1° aprile 2025.
CONSIDERATO CHE
L’unico motivo di ricorso proposto dall’ufficio può riassumersi come segue:
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2135, 2697 e 2700 c.c., degli artt. 32, 34, 55 TUIR e del d.m. 19/03/2004 in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.
Ai fini della valutazione di detto motivo occorre premettere che, secondo l’orientamento costante di questa S.C., le attività agricole vanno qualificate come “connesse” quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 2135 c.c., ovvero quando i prodotti conseguenti ricadono tra quelli individuati dal decreto ministeriale emesso con cadenza periodica ai sensi dell’art. 32, comma 2, lett. c, del d.P.R. n. 917 del 1986, per cui, qualora l’attività oggetto di verifica fiscale ed i relativi prodotti non siano sussumibili nell’ambito applicativo dell’art. 2135 c.c. o, alla luce del decreto ministeriale vigente “ratione temporis”, dell’art. 32 del d.P.R. n. 917 del 1986, è esclusa anche l’operatività del regime fiscale forfettario di cui all’art. 56 bis, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986 e si applica quello ordinario (cfr. Cass. n. 8128 del 22/04/2016, nonché Cass. n. 27535/2022 non mass.).
L’onere di dimostrare il diritto al regime agevolato, in caso di contestazioni, spetta al contribuente, come ritenuto in tema di allevamento del bestiame da Sez. 5, sent. n. 3487 del 14/02/2014, secondo cui in tema di imposte sui redditi, l’attività di allevamento del bestiame non può essere ricondotta alla previsione dell’art. 29,
comma 2, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e va considerata industriale o commerciale, qualora l’allevamento non sia effettuato con mangimi ottenuti, almeno per un quarto di quelli necessari per l’alimentazione del bestiame, dai terreni dell’azienda; ne consegue che, in tal caso, ai sensi dell’art. 78 del d.P.R. n. 917 cit., il reddito eccedente ha natura di reddito d’impresa e l’imprenditore ha l’obbligo -la cui inottemperanza determina l’inattendibilità della contabilità aziendale e pone a carico del contribuente l’onere di provare i fatti impeditivi o estintivi dell’accertamento effettuato dall’Ufficio – di tenere il registro di carico e scarico degli animali allevati, distintamente per specie e ciclo di allevamento, con l’indicazione degli incrementi e decrementi verificatisi per qualsiasi carico nel periodo d’imposta.
Ciò del resto corrisponde ad un più generale principio di vicinanza della prova, che anche in materia concorsuale si è ritenuto operante, laddove si è statuito che l’esenzione dal fallimento dell’imprenditore agricolo, che eserciti anche attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, postula la dimostrazione della sussistenza delle condizioni per ricondurre tale attività nell’ambito di quelle connesse, di cui all’art. 2135, comma 3, c.c. e, in particolare, che essa abbia come oggetto prevalente prodotti propri e non ceduti o coltivati da terzi; l’onere della prova di tali condizioni va posto a carico di chi le invochi, in ossequio all’art. 2697, comma 2, c.c. (Sez. 1, ord. n. 3647 del 07/02/2023).
Ora, se pure è vero che il reddito delle attività agricole viene disciplinato dall’art. 32 TUIR prevedendo un regime forfettario su base catastale, anziché con le regole tipiche dei redditi d’impresa (il metodo analitico ‘costi e ricavi’, che considera i guadagni ottenuti meno le spese necessarie per produrli), è pur vero che la semplice commercializzazione di prodotti agricoli altrui non rientra nel reddito agrario, in quanto «è del tutto priva di ogni legame di
strumentalità e complementarità con l’attività di coltivazione del fondo o di allevamento» (cfr. Agenzia Entrate, Circ. n. 44/E/2004).
A fronte delle contestazioni operate dall’ufficio , era pertanto onere del contribuente dimostrare la natura connessa dell’attività di acquisto, lavaggio e rivendita di prodotti agricoli di terzi.
Pur se al riguardo non viene in rilievo un presunto valore probatorio fidefaciente dei verbali redatti dagli agenti accertatori (come eccepito dalla ricorrente), resta il dato che gli stessi appaiono specifici e puntuali: ‘Anche per l’anno 2014, deve rilevarsi che la ditta verificata non risulta aver effettuato attività di coltivazione diretta sui campi, avendo effettuato soltanto la commercializzazione dei prodotti in realtà coltivati dall’azienda del padre… Per completezza di informazione, si precisa che l’attività agricola ha riguardato il 40 % del fatturato aziendale, mentre quella di lavorazione, ha riguardato il 60 % del fatturato. Si rileva inoltre che anche nell’anno in esame, gli acquisti hanno superato la produzione riconducibile ai terreni aziendali’.
Al contrario, la sentenza impugnata ha impropriamente posto a carico dell’ufficio l’onere della prova in materia di attività connesse e regime fiscale agevolato. Afferma infatti la sentenza della CTR dell’Abruzzo che ‘Infatti, analizzando il pvc della guardia di finanza, si rileva che non vi è prova sufficiente che in realtà vi si stato un acquisto in nero da parte della ditta della contribuente, per cui la conclusione debba essere nel senso di una attività prevalente di lavorazione dell’acquistato, e non invece di ciò che veniva direttamente prodotto. Infatti, i 97.103 kg di carote che la guardia di finanza ritiene acquistati, e non prodotti, di talché l’acquistato nel suo totale supererebbe il direttamente prodotto, deriva da presunzioni e calcoli fatti in via indiretta. Non vi è quindi prova di tali acquisti in nero, per cui le argomentazioni contenute nella pronuncia di primo grado secondo le quali non può affamarsi che vi sia stato tale acquisto in nero, in luogo di una maggiore
produttività, per l’anno in esame dei terreni in questione, non possono essere superate da elementi in senso contrario. Per cui, preso atto della impossibilità di ricondurre ad un acquisto in nero i 9700 kg circa di carote di cui si è parlato, appare non negabile il requisito della prevalenza della attività in proprio di produzione e successiva commercializzazione rispetto alla attività di mero acquisto e rivendita da parte della contribuente ‘.
Tale affermazione appare, peraltro, una mera petizione di principio, posto che il dato dell’acquisto di prodotti agricoli di terzi (carote), così come il loro trattamento (lavaggio) e successiva rivendita appaiono circostanze in realtà incontestate.
Nel caso di specie, infatti, la motivazione della decisione impugnata appare ‘qualitativamente’ insufficiente ed è tale da incorrere in un vero e proprio vizio di sussunzione. Con tale espressione si indica non tanto l’accertamento dei fatti da parte del giudice che certamente appartiene alla potestà giudicante meritale -quanto la valorizzazione di elementi di fatto che appaiono inidonei a trarre le conseguenze giuridiche che vengono affermate dalla decisione di merito. Vero e proprio crocevia fra giudizio di fatto e giudizio di diritto, il difetto di sussunzione rileva nel giudizio di legittimità come vizio della sentenza impugnata che ne consente la critica sotto il profilo della violazione e, più in particolare, della falsa applicazione di legge, sub art. 360 n. 3 c.p.c.
La sentenza impugnata, ponendo l’onere di dimostrare gli acquisti ‘in nero’ di carote a carico dell’ufficio e ritenendo che la mancata prova di essi dimostri ex se la prevalenza dell’attività connessa, pone in essere una violazione sia degli oneri probatori al riguardo applicabili che una falsa applicazione dell’art. 2135, comma 3, c.c. e dell’art. 32 comma 2, lett. c, del TUIR, dimenticando che a fronte del dato certo dell’acquisto di prodotti agricoli altrui e della loro lavorazione e rivendita sul mercato -grazie anche alla disponibilità di un capannone non di proprietà ma ottenuto in comodato -era
onere della contribuente dimostrare la ‘prevalenza’ dell’attività agricola esercitata per connessione e non il contrario, laddove la stessa -nel proprio ricorso introduttivo -non aveva neppure invocato, a ben vedere, i presupposti per l’integrazione di tale situazione di prevalenza, limitandosi a contestare la gravità indiziaria dei rilievi effettuati dagli agenti accertatori ai fini della correttezza della rettifica reddituale operata ex art. 39 dpr 600/1973, così come scritto anche a p. 2 del controricorso.
Il motivo di ricorso deve pertanto essere accolto. La pronuncia impugnata va quindi cassata con rinvio alla CTR dell’Abruzzo (nel frattempo divenuta Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado) affinché, in diversa composizione, proceda ad una nuova valutazione del caso attenendosi ai principi enunciati.
Il giudice del rinvio provvederà altresì alla regolamentazione delle spese, anche per il presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata; rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione, per un nuovo esame ed al fine di provvedere alla regolamentazione delle spese, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1°aprile 2025