Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4935 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4935 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
Oggetto:
Tributi –
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26756/2022 R.G. proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso (PEC: EMAIL;
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1854/06/2022, depositata il 26.04.2022.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 15.01.2025;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale, riportandosi alle sue conclusioni scritte, ha chiesto il rigetto del ricorso; Sentito per l ‘ Agenzia delle entrate, l’avvocato dello Stato NOME
Garofoli.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR del Lazio rigettava l’appello proposto da NOME NOME contro la sentenza della CTP di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dalla predetta contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE con il quale erano stati recuperati a tassazione, per l’anno d’imposta 2014, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della l. n. 537/1993, proventi di natura illecita (qualificati come reddito diverso ex art. 67 del TUIR), in misura pari al 50% dell’IVA relativa a fatture per operazioni di cessione, ritenute soggettivamente inesistenti.
Dalla sentenza della CTR si evince, in sintesi, per quanto ancora qui rileva, che:
dal PVC risultava chiaramente che la contribuente aveva operato nella qualità di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE il cui amministratore unico era ‘ in realtà soggetto appositamente scelto per le limitate qualifiche professionali e per le inadeguate esperienze maturate dalla stessa al riguardo’ ;
-nella motivazione nell’avviso di accertamento erano puntualmente indicate le circostanze e le ragioni di diritto che avevano determinato la maggiore imposizione ed erano illustrate le indagini che avevano condotto all’accertamento delle violazioni tributar ie contestate, mediante il richiamo, quale fonte di prova, al PVC che era conosciuto dalla contribuente, in quanto alla stessa regolarmente notificato in data 1.12.2016;
la responsabilità della contribuente si evinceva dalle attendibili dichiarazioni rese dall’amministratore unico, riscontrate da quelle di altri soggetti e da ulteriori indizi (in ordine ai quali la ricorrente non aveva speso alcuna parola), da cui si evinceva il coinvolgimento della COGNOME nell’organizzazione e nella gestione societaria;
era infondata la censura sulla omessa attestazione di conformità all’originale della copia dell’atto impositivo, notificata alla contribuente, in quanto l’avviso di accertamento notificato alla ricorrente non era una copia, bensì l’originale cartaceo pre disposto dall’Ufficio e sottoscritto con firma autografa dal Direttore Provinciale dell’Agenzia convenuta;
anche la censura relativa alle sanzioni era infondata, in quanto nel caso in cui l’amministratore, anche di fatto, della società con personalità giuridica agisce nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società o ente con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa colpisce la persona fisica autrice dell’illecito; nella specie, nessuna prova contraria aveva offerto la contribuente, che si era limitata a censurare gli atti a suo carico.
La contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
In data 4.12.2023 il Consigliere delegato ha emanato la proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’articolo 380bis , comma 1, cod. proc. civ., nel senso della manifesta infondatezza del ricorso.
La proposta è stata comunicata in data 11.12.2023 e il difensore della ricorrente ha depositato il 27.12.2023 tempestiva istanza per la decisione del ricorso.
D isposta la trattazione e fissata l’udienza camerale del 29.05.2024 , il difensore della ricorrente ha depositato in data 21.02.2024 copia della sentenza penale n. 9782/2023 del Tribunale di Roma, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti di COGNOME NOME e di NOME NOME, divenuta irrevocabile per la Nocco il 3.11.2023, con la quale la predetta contribuente è stata assolta dal reato di cui agli artt. 110 c.p. e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 per non avere commesso il fatto.
Successivamente ha depositato memorie illustrative.
La causa è stata rinviata a nuovo ruolo, per essere trattata in pubblica udienza, riguardando anche questioni di natura nomofilattica, a seguito della entrata in vigore dell’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 87 del 2024 (‘Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’art. 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111 ‘).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; artt. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto, violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. pro c. civ., assenza testuale di motivazione ‘ circa il mancato accertamento e dichiarazione della totale estraneità della COGNOME al ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE ‘; sostiene che la CTR ha erroneamente ritenuto la COGNOME amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, sulla base di elementi inattendibili e non riscontrati.
Con il secondo motivo, deduce: art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le
parti; art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.; assenza testuale di motivazione: sulla non corretta qualifica dell’amministrator e di fatto in capo alla contribuente, per avere la CTR attribuito erroneamente alla COGNOME il ruolo dell’amministratore di fatto, non valutando correttamente le prove emerse nel caso di specie.
Con il terzo motivo, deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto; sulla nullità dell’atto impugnato pe r mancanza di motivazione e violazione dell’art. 7, comma 1, parte seconda, legge n. 212 del 2000 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dal d.lgs. n. 32 del 2001, per avere la CTR errato nel non ritenere nullo l’avviso di accertamento impugnato che era motivato esclusivamente per relationem al PVC.
Con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR ritenuto nullo l’atto impugnato per omessa attestazione della conformità, all’originale d igitale, della copia cartacea notificata.
Con il quinto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR annullato l’atto impugnato per l’illegittimità, l’infondatezza e/o l’inapplicabilità dell e sanzioni irrogate.
Occorre premettere che la ricorrente ha prodotto, con nota depositata il 21.02.2024, copia della sentenza penale n. 9782/2023 del Tribunale di Roma, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti di NOME NOME e di NOME NOMECOGNOME con la quale la predetta
contribuente è stata assolta, ‘per non avere commesso il fatto’, dal reato di cui agli artt. 110 c.p. e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000.
Come risulta dall’attestazione di irrevocabilità, detta sentenza è divenuta irrevocabile per la Nocco il 3.11.2023 e, quindi, dopo la conclusione del giudizio tributario di appello.
Al riguardo occorre rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la sentenza penale, anche irrevocabile, non è idonea, in forza del disposto di cui all’art. 654 cod. proc. pen., ad esplicare alcun effetto vincolante nel processo tributario, assumendo -per il principio della circolazione dei mezzi di prova -un rilievo solo quale elemento di prova, soggetto all’autonoma valutazione del giudice tributario (Cass. n. 6918 del 20/03/2013; Cass. n. 2938 del 13/02/2015; Cass. n. 10578 del 22/05/2015; Cass. n. 17258 del 27/06/2019; Cass. n. 4645 del 21/02/2020).
Occorre evidenziare, poi, che in relazione alla fattispecie in esame non assume alcuna rilevanza la nuova disposizione di cui all’art 21bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 87 del 2024 (‘ Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111 ‘), entrato in vigore in data 29 giugno 2024, stabilisce che: « Art. 21-bis (Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione). –
La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.
La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.
Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonchè nei confronti dei loro soci o associati».
8.1 La nuova norma si riferisce alle sole sentenze di assoluzione perché ‘il fatto non sussiste’ o ‘l’imputato non lo ha commesso’, emesse a ‘seguito di dibattimento’, restando, quindi, escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 21bis le sentenze di condanna, le sentenze di assoluzione e proscioglimento con una diversa formula (come il fatto non costituisce reato, il fatto non è più previsto come reato o le formule di improcedibilità), i provvedimenti di archiviazione, le sentenze di applicazione della pena concordata (444 cod. proc. pen.) e tutte le sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato.
8.2 Le prime pronunce di questa Corte (Cass. 31 luglio 2024, n. 21584; Cass. 3 settembre 2024, n. 23570; Cass. 3 settembre 2024, n. 23609; Cass. 11 ottobre 2024, n. 16584; Cass. 2 dicembre 2024, n. 30814; Cass. 3 dicembre 2024, n. 30900; Cass. 16 gennaio 2025, n. 1021) hanno ritenuto la norma immediatamente applicabile anche con riguardo a sentenze penali preesistenti alla novella, pur indicandone i limiti con riguardo alle decisioni emesse dal giudice dell’udienza preliminare ovvero in relazione alla diversità delle statuizioni espresse.
8.3 Come è stato rilevato da una recente sentenza di questa Corte (Cass. n. 3800 del 14/02/2025), emessa nella stessa udienza e al cui contenuto il Collegio si riporta, condividendolo, l’art. 21 -bis cit. si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non riguarda l’imposta, ossia la decisione del giudice tributario sulla pretesa impositiva (« L’art. 21-bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto con l’art. 1,
d.lgs. n. 87 del 2024, poi recepito nell’art. 119 T.U. della giustizia tributaria, in base al quale la sentenza penale dibattimentale di assoluzione, con le formule perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, ha, nel processo tributario, efficacia di giudicato quanto ai fatti materiali, si riferisce, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica, costituzionalmente orientata e in conformità ai principi unionali, esclusivamente alle sanzioni tributarie e non all’accertamento dell’imposta, rispetto alla quale la sentenza penale assolutoria ha rilievo come elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi di prova introdotti nel giudizio »).
Nel caso in esame, tuttavia, appare in ogni caso dirimente, ai fini dell’applicabilità o meno dell’art. 21 -bis cit., la questione riguardante l’accertamento dei fatti materiali nel giudizio penale e in quello tributario.
9.1 Il giudicato penale di assoluzione, infatti, esplica i suoi effetti in quanto la sentenza penale sia stata ‘ pronunciata … sugli stessi fatti materiali ‘ oggetto del giudizio tributario. È richiesto, quindi, un accertamento sull’identità dei fatti materiali tra i due giudizi.
9.2 La norma presuppone un accertamento di fatto, come tale rimesso fisiologicamente al giudice del merito ma specificamente declinato dall’art. 21 -bis anche con riguardo al giudizio di cassazione.
9.3 Tale ambito di valutazione, pur non astrattamente incompatibile con la funzione della Corte di cassazione (v. Cass. n. 21200 del 05/10/2009; Cass. n. 30780 del 30/12/2011), presuppone, tuttavia, una compiuta analisi di fatto, anche estesa, ove necessario, agli atti impositivi, ed un apprezzamento -di merito -sulle indicazioni emergenti dalla sentenza penale; quando, invece, si è in presenza di una macroscopica evidenza circa la diversità dei fatti materiali accertati
nei distinti giudizi, la relativa valutazione può essere effettuata anche in sede di legittimità.
9.4 La deduzione nel giudizio di cassazione, peraltro, deve tenere conto dei principi che regolano il processo di legittimità e, soprattutto, il principio di chiarezza e specificità.
9.5 Ne consegue che la mera allegazione che la sentenza penale ha assolto la parte (con una delle formule rilevanti) e che essa riguardava i medesimi fatti oggetto del giudizio tributario non può considerarsi sufficiente, essendo necessario che siano indicati gli specifici fatti ed elementi – oggetto di puntuale accertamento nella sentenza penale -rispetto ai quali viene ravvisata l’identità e per i quali, dunque, viene invocato il giudicato.
9.6 Quanto al contenuto dell’accertamento di fatto, seppure assuma anche rilievo il fatto-reato per come contestato in sede penale, va rilevato che il giudicato attiene ai fatti materiali e non alla astratta contestazione.
9.7 Occorre osservare, sul punto, che l’oggetto del processo penale è diverso da quello della violazione tributaria, per cui occorre: a) valutare la coincidenza o meno del fatto in relazione al capo d’imputazione; b) riferire la formula assolutoria (il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso) alla contestazione.
9.8 Il ‘fatto’, dunque, va necessariamente riguardato sotto il versante naturalistico in relazione agli elementi costitutivi vuoi dell’illecito amministrativo vuoi di quello penale.
9.9 Su tale aspetto, invero, la Corte ha chiarito, nell’ambito dei giudizi civili, ma con indicazioni validamente riferibili anche all’art. 21 -bis , che « per ‘fatto’ accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica, costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro
(fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso » (ex multis Cass. n. 19863/2013, Cass. n. 15392/2018, Cass. n. 26811/2022), sottolineando anche che «a l giudice civile è precluso procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio, ma non di indagare, ai fini della cognizione ad esso rimessa, su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale ».
Nella specie, dalla sentenza penale prodotta dalla ricorrente si evince in modo evidente che il fatto contestato in sede penale è diverso da lla pretesa fiscale oggetto dell’avviso di accertamento impugnato.
10.1 In sede penale la COGNOME rispondeva, in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in concorso con NOME, rappresentante legale della medesima società, del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 5 d.lgs. n. 74/2000, per avere omesso di presentare entro il termine previsto dalla legge le dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per l’anno d’imposta 2015, non indicando operazioni imponibili pari ad euro 16.810.063,00, in relazione alle quali era dovuta l’ IRES pari ad euro 4.622.767,00 e l’ IVA pari ad euro 3.784.122,00.
10.2 Nel giudizio tributario, invece, con l’avviso di accertamento n. TK501R801059/2017, emesso in relazione all’anno 2014, l’Ufficio ha recuperato a tassazione nei confronti della Nocco, a titolo di IRPEF, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della l. n. 537/1993, il corrispettivo percepito dalla stessa per l’attività svolta quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE qualificandolo come reddito diverso ex art. 67 D.P.R. 917/1986, pari a complessivi euro 2.442.784,00, calcolati nella misura del 50% dell’IVA non versata dalla RAGIONE_SOCIALE a fronte di operazioni di cessione, ritenute soggettivamente inesistenti.
10.3 Si tratta di fatti palesemente diversi non solo perché riguardano differenti anni di imposta (anno 2015 per il giudizio penale e anno 2014 per il giudizio tributario) e imposte diverse, ma anche
perché le violazioni contestate nei due distinti giudizi non corrispondono; la ricorrente, peraltro, non ha dedotto ulteriori specifici elementi al fine di comprendere quale fosse il nesso di collegamento fra i fatti materiali contestati in sede penale e quelli accertati nell’ambito del procedimento tributario, limitandosi a sostenere la propria estraneità alla gestione della società.
Ciò premesso, il primo e il secondo motivo, che per connessione vanno esaminati unitariamente, sono inammissibili sotto vari profili.
11.1 A prescindere dalla poca chiarezza con la quale sono stati formulati, essendo state prospettate nello stesso motivo plurime censure di carattere eterogeneo, che non consentono un loro esame separato (Cass. n. 39169 del 2021), si tratta di motivi comunque i nammissibili nella parte in cui censurano l’insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014).
11.2 I predetti motivi sono poi inammissibili, laddove censurano l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operando il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 24.05.2019, non avendo il ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018).
11.3 I medesimi motivi sono in ogni caso manifestamente infondati, nella parte in cui censurano la mancanza di motivazione, in quanto ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente
esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass., Sez. U. 3.11.2016, n. 22232).
11.4 La motivazione della sentenza impugnata, invece, non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel citato, consolidato e condivisibile, arresto giurisprudenziale, avendo la CTR esposto le ragioni in base alle quali la contribuente è stata ritenuta amministratore di fatto della società, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto, per detta parte, il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053).
11.5 I motivi sono inoltre inammissibili nella parte in cui denunciano una violazione di legge, in quanto mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici, come operata dalla CTR, ma preclusa in questa sede (Cass. S.U. n. 34476 del 27.12.2019).
Il terzo motivo è inammissibile, laddove denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, per le medesime ragioni già indicate con riferimento al primo e al secondo motivo.
12.1 Il motivo è in ogni caso palesemente infondato, laddove deduce il difetto di motivazione dell’atto impugnato, in quanto la CTR ha accertato che il PVC, richiamato dall’avviso di accertamento, era conosciuto dalla contribuente, essendole stato notificato in data 1.12.2016.
Il quarto motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha accertato come l’avviso notificato alla contribuente non era una copia, ma l’originale cartaceo.
Il quinto motivo è inammissibile per difetto di specificità, non avendo la ricorrente neppure indicato le disposizioni normative, in base alle quali le irrogate sanzioni sarebbero illegittime o comunque erroneamente determinate.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
15.1 Poiché il giudizio è stato definito in conformità alla proposta di cui all’art. 380 -bis cod. proc. civ., trovano applicazione anche il terzo e quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 27195 del 2023). La ricorrente va, pertanto, condannata a pagare alla controricorrente anche una somma equitativamente determinata nella misura indicata in dispositivo e a versare una ulteriore somma, determinata in euro 2.500,00, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 14.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., al pagamento, in favore della controricorrente, della ulteriore somma pari ad euro 5.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025