Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 889 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 889 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/01/2025
Oggetto: Associazione sportiva dilettantistica – Attività di natura commerciale – Onere della prova Presunzioni.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20274/2017 R.G. proposto da
NOME COGNOME ASSOCIAZIONE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘avv. NOME COGNOME e rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC, in virtù di procura speciale in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO controricorrente – avverso la sentenza della C.t.r. di Napoli n. 794/2017, depositata l’1.2.2017 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Benevento, la RAGIONE_SOCIALE Montesarchio associazione sportiva dilettantistica impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, avendo riscontrato la natura commerciale dell’esercitata attività di gestione di una palestra, aveva contestato l’omessa tenuta delle scritture contabili e la realizzazione di ricavi non dichiarati per l’anno 2011.
In primo grado, l’impugnazione veniva rigettata, attesa la regolarità della verifica fiscale, basata sulla documentazione acquisita e sulle dichiarazioni spontanee di alcuni iscritti, che avevano confermato di non partecipare ad alcuna attività associativa, ma di pagare un corrispettivo per usufruire del l’attrezzatura della palestra e delle prestazioni professionali dell’istruttore NOME COGNOME
Proposto appello dalla contribuente, la decisione di primo grado veniva confermata dalla C.t.r., la quale riteneva che le dichiarazioni dei terzi fossero idonee a suffragare la legittimità dell’accertamento in rettifica, unitamente agli altri elementi presi in considerazione, q uali le caratteristiche dell’attività prestata e l’ammontare dell’evasione.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’associazione sportiva dilettantistica, sulla base di due motivi. Resisteva l’Agenzia delle entrate con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, la NOME Montesarchio associazione sportiva dilettantistica deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., poiché la C.t.r., erroneamente applican do il principio dell’onere della prova, aveva preso in considerazione due sole dichiarazioni di terzi senza acquisire quelle di altri associati; nonché, travisando il divieto di prova
testimoniale nel processo tributario, aveva attribuito valore di prova presuntiva alle suddette dichiarazioni.
Con il secondo motivo di doglianza, la RAGIONE_SOCIALE Montesarchio associazione sportiva dilettantistica deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., poiché la C.t.r., erroneamente applicando l’istituto delle presunzioni, aveva ritenuto che le dichiarazioni di due soli iscritti fossero sufficienti ad integrare una prova certa, pur essendo meri indizi, da cui non poteva derivare alcun automatismo.
Il primo motivo di doglianza è inammissibile sotto il primo profilo ed infondato sotto il secondo.
Ed invero, quanto al primo profilo, giova ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c., (Cass. n. 26769/2018, Rv. 65089201).
Inoltre, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece
laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c.), (Cass. n. 13395/2018, Rv. 64903801).
Nel caso in esame, l’associazione ricorrente, nel lamentare la violazione del principio dell’onere della prova, contesta ai giudici di merito di aver fondato la loro decisione sulla base solamente di due dichiarazioni di terzi, senza aver acquisito quelle di altri associati.
Con tale doglianza, però, la ricorrente chiede sostanzialmente una rivalutazione del fatto, criticando il convincimento che il giudice di merito si è formato in esito all’esame del materiale probatorio ed evocando altri fatti non risultanti dalla motivazione e non presi in considerazione.
La valutazione delle prove raccolte, tuttavia, compresa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. (Cass. n. 1234/2019 , Rv. 65267201; Cass. n. 1216/2006, Rv. 58799801) e l’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit , i fatti ignoti da provare (Cass. n. 12002/2017, Rv. 64430001) costituisce un’attività riservata, in via esclusiva, all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Ed infatti, le conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito da ll’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.
Del resto, come costantemente affermato dalla Suprema Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente
deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. n. 34476/2019, Rv. 656492-03).
6. Quanto al secondo profilo, come costantemente affermato dalla Suprema Corte, in tema di contenzioso tributario, l’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 assegna alle commissioni ampi poteri istruttori, compresa la possibilità di acquisire elementi conoscitivi mediante la richiesta di apposite relazioni affidate ad organi tecnici dell’amministrazione, con la sola esclusione, tra le prove ammissibili, del giuramento e dell’assunzione di testimoni, o mediante esame di documentazione comunque prodotta in giudizio tra le parti. Tali poteri sono conferiti proprio in funzione della valutazione, ad esse affidata, della legittimità e della congruità delle pretese dell’ufficio. I giudici tributari di merito possono cioè acquisire aliunde , prescindendo dagli accertamenti dell’ufficio, gli elementi di decisione, di cui compiono una valutazione autonoma, rispetto all’assunto di quest’ultimo, (Cass. n. 1135/2006, Rv. 58666201).
Inoltre, il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dall’art. 4, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo -che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio -, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da “terzi”, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Corte cost., sentenza n. 18 del 2000), (Cass. n. 903/2002, Rv. 55184801).
Nel caso in esame, quindi, non sussiste alcun travisamento del divieto di prova testimoniale da parte della C.t.r., essendo consentito attribuire alle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da terzi il valore di elementi indiziari, dai quali, unitamente ad altri elementi, i giudici di merito hanno fondato il proprio convincimento.
8. Parimenti infondato è il secondo motivo di doglianza.
Con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., la Suprema Corte ha affermato che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. n. 22366/2021, Rv. 66210301).
La Suprema Corte ha, altresì, affermato che, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360,
3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta; nondimeno, per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità (criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione), vizio valutabile, ove del caso, nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., (Cass. n. 18611/2021, Rv. 66164901).
Orbene, nel caso in esame, l’associazione ricorrente lamenta la violazione del l’art. 2729 c.c., sotto il profilo della violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c., sostenendo l’insussistenza dei requisiti del ragionamento presuntivo, poiché non potevano ritenersi gravi le dichiarazioni di due soli iscritti.
Il motivo, pur essendo ammissibile, non è fondato. Nella sentenza impugnata, infatti, si fa riferimento alle dichiarazioni di alcuni iscritti e non solo di due. Inoltre, la decisione risulta fondata non solo su tali dichiarazioni, ma anche su numerosi altri elementi dedotti dall’Agenzia delle entrate , quali l’assenza di vita associativa, la sottoscrizione dei verbali di assemblea da parte dei soli soci fondatori, l’ammontare dell’evasione e le caratteristiche dell’attività prestata, consistente nell’offrire a semplici utenti a pagamento i servizi di una normalissima palestra, dietro il corrispettivo di € 35,00 al mese.
Peraltro, a fronte di tali risultanze non risulta che il contribuente, nei precedenti gradi di giudizio, abbia offerto elementi in senso contrario, che potevano essere valutati dal giudice di merito, al fine di verificare la effettiva esistenza di un’attiv ità di natura associativa,
quali, ad esempio, le convocazioni delle assemblee degli associati ed i relativi verbali.
10. Giova, infatti, ricordare che le agevolazioni tributarie previste in favore delle associazioni non lucrative, quali le associazioni sportive dilettantistiche, dipendono non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al CONI, essendo invece rilevante che le associazioni interessate si conformino alle clausole relative al rapporto associativo, che devono essere inserite nell’atto costitutivo o nello statuto, (cfr. Cass. n. 10393/2018, Rv. 64799501). E, del resto, in tema di prova presuntiva ex art. 2729 c.c., il requisito della “gravità” è riferito al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto (Cass. n. 23154/2024, Rv. 67214601), e peraltro, non è configurabile nel sistema processuale un divieto di presunzioni di secondo grado, non essendo lo stesso riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c., né ad altre norme. Pertanto, è ben possibile che il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituisca la premessa di un’ulteriore presunzione, ferma restando la necessità di valutare in concreto l’attendibilità del risultato, in termini di gravità, precisione e concordanza idonee a fondare l’accertamento del fatto ignoto, (Cass. n. 23860/2020, Rv. 65947801).
11. Sulla base di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso va, pertanto, rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio, a carico della ricorrente, del contributo unificato, ove dovuto (Cass. SU n. 4315/2020, Rv. 657198-03).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore d ell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio, che liquida in € 2.300,00, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione