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Associazione sportiva dilettantistica: quando è impresa?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’associazione sportiva dilettantistica (circolo ippico) contro un accertamento fiscale. La Corte ha stabilito che, per beneficiare del regime fiscale agevolato, non basta la registrazione formale al CONI. È necessario dimostrare con prove concrete che l’attività sia svolta senza scopo di lucro e con una reale vita associativa democratica. Nel caso specifico, l’associazione operava come un’impresa commerciale, applicando prezzi di mercato e collaborando strettamente con una società a scopo di lucro, perdendo così il diritto alle agevolazioni.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Associazione Sportiva Dilettantistica: Quando la Forma Non Basta a Evitare le Tasse

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale per il terzo settore: per godere dei benefici fiscali, un’associazione sportiva dilettantistica non può limitarsi a una veste formale, ma deve dimostrare una gestione sostanzialmente non commerciale. Il caso analizzato riguarda un circolo ippico che, secondo l’Agenzia delle Entrate, operava a tutti gli effetti come un’impresa, perdendo così il diritto al regime fiscale agevolato.

I Fatti del Caso: Accertamento Fiscale a un Circolo Ippico

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un’associazione sportiva dilettantistica e al suo legale rappresentante. L’ufficio contestava, per l’anno d’imposta 2012, maggiori redditi d’impresa per oltre 76.000 euro, con sanzioni e interessi che portavano il totale a circa 156.000 euro. Secondo il Fisco, le attività svolte dal circolo ippico, come il ricovero di cavalli e l’affitto di box, erano di natura prettamente commerciale e non potevano beneficiare delle agevolazioni previste per gli enti non commerciali.

L’associazione ha impugnato l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale prima, sia la Commissione Tributaria Regionale poi, hanno dato ragione all’Agenzia delle Entrate. I giudici di merito hanno confermato che l’attività dell’ente era gestita con criteri imprenditoriali, portando così il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

Il Ricorso dell’Associazione Sportiva Dilettantistica in Cassazione

L’associazione ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la violazione e l’errata applicazione degli articoli 148 e 149 del TUIR, che disciplinano rispettivamente gli enti di tipo associativo e la perdita della qualifica di ente non commerciale. La tesi difensiva si fondava sulla regolare costituzione dell’associazione e sulla sua iscrizione al Registro delle Società ed Associazioni Sportive Dilettantistiche tenuto dal CONI. Secondo i ricorrenti, questi elementi formali sarebbero stati sufficienti a garantire il diritto al regime fiscale di favore.

La Decisione della Corte: La Sostanza Prevale sulla Forma

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito e dell’Agenzia delle Entrate. La Suprema Corte ha chiarito che il ricorso, pur apparendo come una contestazione sulla violazione di legge, mirava in realtà a ottenere una nuova e non consentita valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

Gli Indici di Commercialità Rilevati nel Caso dell’Associazione Sportiva Dilettantistica

La Corte ha evidenziato come i giudici di merito avessero correttamente individuato una serie di elementi concreti che dimostravano la natura commerciale dell’attività svolta:

1. Criteri d’Impresa: Le attività di “scuderizzazione” e affitto box erano svolte applicando corrispettivi stabiliti sulla base di analisi di mercato, tipico di un’attività d’impresa.
2. Corsi di Formazione: I corsi organizzati non erano rivolti ai soci per scopi istituzionali, ma a soggetti esterni per la specializzazione di figure professionali (come il maniscalco), con l’obiettivo di introdurli nel mondo del lavoro.
3. Legami con Società Lucrative: Esisteva un interesse commerciale con una società a scopo di lucro, che aveva beneficiato l’associazione con una somma di 104.000 euro e con cui venivano pubblicizzate iniziative in modo congiunto.
4. Mancanza di Vita Associativa: Dal momento della costituzione, nessun nuovo associato si era aggiunto ai fondatori, e non risultava che i soci avessero mai pagato quote o beneficiato di tariffe riservate.

Le Motivazioni

La motivazione centrale della Corte si basa su un principio consolidato: l’iscrizione al registro CONI o la mera adozione di clausole statutarie conformi alla legge non sono sufficienti per ottenere le agevolazioni fiscali. Questi sono requisiti formali che devono essere accompagnati da un requisito sostanziale: l’effettivo svolgimento di un’attività senza scopo di lucro e il rispetto del principio di democraticità interna. L’onere di provare la sussistenza di tali requisiti, a fronte di una contestazione specifica dell’ufficio fiscale, spetta al contribuente. Nel caso di specie, l’associazione non ha fornito tale prova, limitandosi a elementi estrinseci e formali. La Corte ha quindi concluso che l’attività, per come era concretamente gestita, aveva perso la qualifica di ente non commerciale, giustificando pienamente l’accertamento fiscale per Ires, Irap e Iva.

Le Conclusioni

L’ordinanza rappresenta un importante monito per tutte le associazioni sportive dilettantistiche e, più in generale, per gli enti del terzo settore. Per non incorrere in pesanti accertamenti fiscali, è indispensabile che la gestione quotidiana rispecchi fedelmente la natura non profit dell’ente. La collaborazione con società commerciali, l’applicazione di tariffe di mercato e una vita associativa solo apparente sono segnali d’allarme che possono portare l’amministrazione finanziaria a riqualificare l’ente come un’impresa commerciale, con tutte le conseguenze fiscali che ne derivano. La sostanza dell’attività prevale sempre sulla forma giuridica adottata.

L’iscrizione al CONI è sufficiente per garantire i benefici fiscali a un’associazione sportiva dilettantistica?
No, la sola affiliazione al CONI o l’iscrizione nel relativo registro è un elemento formale che non basta. Per beneficiare del regime fiscale agevolato, l’associazione deve dimostrare di svolgere effettivamente attività senza scopo di lucro e di rispettare i principi di democraticità interna.

Quali attività possono far perdere la qualifica di ente non commerciale a un circolo sportivo?
Attività gestite con criteri imprenditoriali, come l’applicazione di tariffe di mercato, l’organizzazione di corsi professionalizzanti per esterni, stretti legami commerciali con società a scopo di lucro e una mancanza di reale vita associativa (es. assenza di nuovi soci o di pagamento di quote) possono portare alla perdita della qualifica.

Chi deve provare la natura non commerciale dell’attività in caso di contestazione fiscale?
L’onere della prova incombe sul contribuente. A fronte di una contestazione specifica dell’Agenzia delle Entrate, è l’associazione che deve dimostrare di possedere i requisiti sostanziali e di effettività per essere considerata un ente non commerciale e beneficiare delle relative agevolazioni fiscali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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