Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 729 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 729 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9372/2018 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, COGNOME NOME, NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti – contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
-ricorrente incidentale –
Oggetto:
imposte dirette e IVA –
avviso di accertamento
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 948/9/2017, depositata il 28 settembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Veneto, previa riunione, accoglieva parzialmente gli appelli proposti dall’associazione RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Venezia che ne aveva respinto i ricorsi riuniti contro gli avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2006-2007; in accoglimento integrale degli appelli proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la medesima sentenza ne disponeva l’estromissione dal giudizio.
La CTR osservava in particolare:
-era infondata l’eccezione di invalidità degli atti impositivi impugnati per difetto della sottoscrizione;
-che NOME COGNOME e NOME COGNOME dovevano essere estromessi dal processo in quanto dagli atti emergeva che entrambi si erano dimessi dall’incarico di revisore e che tali dimissioni erano state accettate dall’assemblea associativa ancora negli anni 2000/2001; che difettava la prova che la COGNOME ed il COGNOME abbiano successivamente posto in essere attività gestionali nei confronti dei terzi, sicchè nei loro confronti non poteva evocarsi la responsabilità solidale di cui all’art. 38, cod. civ.;
-che lo stesso non poteva affermarsi per NOME COGNOME in quanto essa risultava compartecipe della gestione dell’attività associativa;
-che l’agenzia fiscale aveva legittimamente impiegato metodologie accertative diverse (analitiche ed induttive), anche nella considerazione che trattavasi di atti impositivi distinti;
-che mancava la prova dell’inerenza dei costi eccepiti in deduzione;
-che nel caso di specie non poteva trovare applicazione l’IRES, trattandosi di redditi assimilabili a quelli delle società di persone, in quanto tali non soggetti a detta imposta.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso l’ Associazione RAGIONE_SOCIALE la COGNOME e il NOME deducendo dedotto sei motivi, poi illustrati con una memoria.
Anche l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso avverso la medesima decisione deducendo due motivi; tale impugnazione peraltro assume natura di impugnazione incidentale, in quanto proposta successivamente a quella dei contribuenti (rispettivamente quest’ultim a notificata il 28 marzo 2018 e quella agenziale il 30 marzo 2018).
Considerato che:
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.i ricorrenti principali denunciano la violazione/falsa applicazione degli artt. 42, comma 1, dPR 600/1973, 5, comma 2, 7, comma 1, ultima parte, 10, comma 1, legge 212/2000, 97, terzo comma, Cost., poiché la CTR ha rigettato la loro eccezione, devoluta in appello, di invalidità degli atti impositivi impugnati per carenza della sottoscrizione.
La censura è infondata.
Va ribadito che «La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva
verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa» (Cass., n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414 – 01). La sentenza impugnata risulta conforme a tale consolidato indirizzo interpretativo.
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.- i ricorrenti principali declinano la prima censura quale vizio motivazionale.
La censura è inammissibile.
Vertendosi in un caso di ‘doppia conforme’ il mezzo non è proponibile ex art. 348 ter, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo i ricorrenti principali lamentano la violazione/falsa applicazione degli artt. 38, 2297, 2697, cod. civ., poiché la CTR ha, contraddittoriamente, qualificato la RAGIONE_SOCIALE sia come associazione sia come società di persone.
La censura è infondata.
IL Collegio ritiene di dover dare seguito al principio di diritto secondo il quale «In tema di enti collettivi non societari costituiti nella forma dell’associazione non riconosciuta, la perdita della natura decommercializzata dell’attività esercitata e la conseguente qualificazione commerciale della stessa comportano che l’ente collettivo va qualificato alla stregua di una società di fatto se la predetta attività è svolta in comune da più associati, ai quali si applica, come ai soci, il regime di “trasparenza”» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 546 del 11/01/2023, Rv. 666892 – 01).
La sentenza impugnata è del tutto conforme a questo indirizzo nomofilattico, posto appunto che, ‘commercializzata’ l’attività della RAGIONE_SOCIALE, correttamente ne ha equiparato la natura giuridica a quella di un società di persone e ne ha poi tratto le conseguenze sul piano dell’imposta reddituale applicabile in concreto, che appunto non è l’IRES, ma (oltre all’IVA ed all’IRAP imputabile alla struttura associativa) l’IRPEF imputabile per trasparenza agli associati il cui reddito di partecipazione, secondo il citato arresto
giurisprudenziale, è assimibilabile a quello dei soci di una società commerciale di persone.
Con il quarto motivo i ricorrenti principali lamentano la violazione/falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), 40, 41, 42, dPR 600/1973, poiché la CTR ha validato gli avvisi di accertamento impugnati nonostante gli stessi siano stati emanati sulla base di una metodologia ‘mista’ ossia analitica ed induttiva. La censura è infondata.
Va ribadito che:
-«In tema di accertamento tributario, rientra nel potere dell’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare, di cui il contribuente può dolersi solo se gliene derivi un pregiudizio sostanziale» (Sez. 5 – , Sentenza n. 2872 del 03/02/2017, Rv. 642889 – 01);
-«In tema di accertamento dei redditi di impresa ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, la ricorrenza dei presupposti per l’accertamento induttivo (anche nella ipotesi di inattendibilità dell’intera contabilità) non comporta l’obbligo dell’ufficio di avvalersi di tale metodo di accertamento, ma costituisce una mera facoltà che non preclude, pertanto, la possibilità di procedere ad una valutazione analitica dei dati comunque emergenti dalle scritture dell’imprenditore» (Sez. 5 – , Sentenza n. 18934 del 17/07/2018, Rv. 649719 – 01);
-«In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’esistenza dei presupposti per l’applicazione del metodo induttivo, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, non esclude che l’Amministrazione finanziaria possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni, del metodo analitico ex art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600 cit., oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie; tuttavia, una volta operata una determinazione induttiva, non è più
possibile, per l’ufficio, il recupero con metodo analitico dei costi che non siano entrati in quella determinazione, né l’abbiano influenzata in alcun modo» (Sez. 5, Sentenza n. 13350 del 10/06/2009, Rv. 608513 – 01).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte l’agenzia fiscale non è dunque vincolata nella scelta della metodologia accertativa e può comunque adottare un metodo promiscuo, così come avvenuto nel caso che occupa.
Del tutto generica e perciò priva di alcuna pregnanza giuridica è la lamentela relativa alla violazione del diritto di difesa con riguardo alla metodologia accertativa adottata in concreto negli atti impositivi impugnati.
Con il quinto motivo i ricorrenti principali si dolgono della violazione/falsa applicazione dell’art. 56, terzo comma, dPR 633/1972, poiché la CTR non ha riconosciuto in deduzione dei maggiori imponibili accertati i costi correlativi.
La censura è inammissibile.
Il Collegio intende anzitutto dare seguito ai consolidati principi di diritto secondo il quali «La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 n.4) c.p.c., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio» (Cass., n. 20910/2017); «La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e
l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate» (Cass., n. 17125/2017).
La CTR veneta si è dunque pronunciata sui costi di gestione dell’associazione verificata, non sulle detrazioni IVA, secondo la disposizione legislativa evocata.
Va poi anche ribadito che «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass. n. 9097 del 07/04/2017) e che «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015).
Sulla specifica questione oggetto della censura (deduzione costi) vi è una puntuale argomentazione del giudice tributario di appello, che non può essere ulteriormente sindacata da questa Corte.
Con il sesto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.- i ricorrenti principali deducono vizio motivazionale in relazione a più passaggi argomentativi della sentenza impugnata.
Come già rilevato in relazione al secondo mezzo, il parametro di critica de quo non è proponibile per il fatto processuale della “doppia conforme”, stante la previsione di cui all’art. 348 ter, cod. proc. civ.
La censura in esame è pertanto inammissibile.
Con il primo motivo del ricorso incidentale l’agenzia fiscale denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale assoluto (motivazione apparente) in ordine alla qualificazione di RAGIONE_SOCIALE come ente assimilabile ad una società di persone e perciò non assoggettata all’IRES.
La censura è infondata.
Va ribadito che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata non corrisponde affatto ai paradigmi invalidanti di cui al citato consolidato arresto giurisprudenziale, piuttosto contenendo una puntuale ed articolata argomentazione circa le statuizioni assunte, ben oltre il “minimo costituzionale” (v. Sez. U, 8053/2014).
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.l’agenzia fiscale ricorrente incidentale deduce la violazione degli artt. 148, 73, comma 1, dPR 917/1986, poiché la CTR ha escluso nel caso di specie l’applicabilità dell’IRES.
La censura è infondata per la ragione esposta in relazione al terzo mezzo dei ricorrenti principali.
In conclusione i ricorsi vanno rigettati e vanno compensate le spese per reciproca soccombenza.
PQM
La Corte rigetta i ricorsi; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso in Roma 22 novembre 2023
Il presidente