Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8843 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8843 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10495 -2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’ Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in atti
-ricorrente-
contro
COMUNE DI OLBIA , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in atti
-controricorrente-
e
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE , in persona del Direttore pro tempore
-intimata- avverso la sentenza n. 365/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SARDEGNA, depositata il 29/9/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/3/2025 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME
DELL’ORFANO
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Sardegna aveva accolto l’appello del Comune di Olbia avverso la sentenza n. 117/2011 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Sassari, in accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente avverso avvisi di accertamento e relativa cartella esattoriale per mancato pagamento TARSU 2006 -2007 in favore del Comune di Olbia.
Il Comune resiste con controricorso, Agenzia delle entrate riscossione è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Preliminarmente, va disattesa l’istanza di rinvio dell’udienza avanzata dalla precedente difesa de lla contribuente nell’atto di rinuncia al
mandato depositato in data 17 marzo 2025, e motivata con la necessità di consentire alla parte di nominare un nuovo difensore.
1.2. Va invero confermato il principio, già più volte affermato da questa Corte, della cd. perpetuatio dell’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), in base al quale nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata -o nel presente caso, dell’adunanza camerale – (cfr. Cass. n. 28365 del 2022, Cass. n. 26429 del 2017, 16121 del 2009, 2309 del 2000).
1.3. A seguire, va parimenti disattesa l’eccezione di non autosufficienza del ricorso per violazione degli artt. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., posto che a differenza di quanto si sostiene nel controricorso, la sentenza è stata sottoposta a specifica impugnazione nel rispetto dell’art. 366, primo comma, c.p.c. ed avendo parte ricorrente corredato l’atto degli elementi essenziali, descrittivi tanto della vicenda fattuale, quanto della vicenda processuale (pagg. 2-6 del ricorso), volti a riassumere ed illustrare le ragioni ed i presupposti della pretesa tributaria, con la conseguenza che il ricorso per cassazione si palesa adeguato a consentire alla Corte di comprendere le censure prospettate fornendo una conoscenza del «fatto», sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione, oggetto dei motivi di ricorso di seguito illustrati.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione degli articoli 21 e 57 del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22 e d ell’ art. 184 del D.L.vo 152 del 3 aprile 2006, con riferimento all ‘il legittimità della delibera del Consiglio Comunale di Olbia n. 52/1998, essendo stato, dal Comune di Olbia, nella sua qualità di Ente impositore, esercitato il potere regolamentare di assimilare agli urbani i
rifiuti speciali senza indicare espressamente i criteri quantitativi e qualitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani.
1.2. La prospettazione è fondata.
1.3. Il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal d.lgs. n. 507 del 1993, ha subìto nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi), e la TIA 1, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente).
1.4. N ell’ambito di tale successione di norme, il d.lgs. n. 22 del 1997 (c.d. Decreto Ronchi) ha inciso in modo significativo sui criteri di tassazione dei rifiuti in quanto ha introdotto un nuovo sistema incentrato sulla tariffa (TIA 1), in sostituzione di quello precedente incentrato sul tributo.
1.5. L’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente), che ha istituito la nuova tariffa sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al d.lgs. n. 22 del 1997, ha poi previsto, al comma 1, che «la tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11», il quale recita che «sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti».
1.6. Poiché tale regolamento ministeriale non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori sia la TARSU che la TIA 1, prevista dal d.lgs. n. 22 del 1997, alla quale, per effetto dei commi 183 e 184 della legge. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU.
1.7. L’art. 5, comma 2 quater, del d.l. n. 208 del 2008, conv. dalla l. n. 13 del 2009, ha infine disposto che, «ove il regolamento di cui al comma
6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (entro il 30 giugno 2010), i Comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti».
1.8. Dunque, inutilmente decorso il termine del 30 giugno 2010, è stata prevista la facoltà per gli enti locali di adottare delibere di passaggio dalla TARSU alla TIA 2, con effetto dal 10 gennaio 2011.
1.9. Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, quanto alle diverse tipologie di rifiuti oggetto di tassazione, questa Corte ha già statuito che per effetto dell’art. 17, comma 3, della legge 24 aprile 1998 n. 128, che ha abrogato l’art. 39 della legge 26 febbraio 1994 n. 146, è venuta meno l’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, con la conseguenza che è divenuto pienamente operante l’art. 21, comma 2, lett. g), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche.
1.10. Con riferimento alle annualità di imposta dal 1997 in poi, assumono quindi decisivo rilievo le indicazioni dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari (cfr. Cass. n. 21342 del 2008; Cass n. 14816 del 2010 e Cass. n. 22223 del 2016), in quanto con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997 è stato restituito ai Comuni (cfr. Cass. n. 18303 e n. 18382 del 2004) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, fra cui quelli prodotti da imprese commerciali, anche «per qualità e quantità» (art. 21, comma 2, lett. g).
1.11. Il d.lgs. n. 22 del 1997, emanato in attuazione delle Direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli
imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, ha previsto, nel Titolo I (Gestione dei rifiuti), che: a) la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed è disciplinata al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci; i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente (art. 2, commi 1 e 2); b) le autorità competenti favoriscono il recupero dei rifiuti, nelle varie forme previste (reimpiego, riciclaggio, ecc.), allo scopo di ridurre lo smaltimento dei rifiuti, che costituisce la fase residuale della “gestione” degli stessi, la quale comprende le operazioni di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento (artt. 4 e 5 e art. 6, comma 1, lett. d); c) sono rifiuti «urbani», tra l’altro, quelli non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quello di civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’art. 21, comma 2, lett. g), mentre sono rifiuti «speciali», tra l’altro, quelli «da attività commerciali» (art. 7, comma 2, lett. b e comma 3, lett. e); d) i Comuni «effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa»; con appositi regolamenti stabiliscono, fra l’altro, «le disposizioni necessarie a ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio», nonché «l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento»; la privativa suddetta «non si applica (….) alle attività di recupero dei rifiuti assimilati» (dal 1 gennaio 2003, «alle attività di recupero dei rifiuti urbani o assimilati», ai sensi della L. n. 179 del 2002, art. 23) (art. 21, comma 1, comma 2, lett. e) e g) e comma 7).
1.12. Come in precedenza già evidenziato, l’art. 49 dello stesso decreto ha istituito la «tariffa per la gestione dei rifiuti urbani» (usualmente denominata TIA, «tariffa di igiene ambientale»), in sostituzione della soppressa TARSU, prevedendo, in particolare, nella modulazione della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata, «ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei
produttori e degli utilizzatori» (comma 10), e disponendo altresì che «sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua» detta attività (comma 14).
1.13. Dalla lettura organica di tali disposizioni si evince che: costituisce regola generale quella secondo cui la privativa comunale opera sempre in presenza di rifiuti urbani e assimilati; tuttavia, per i rifiuti assimilati, in caso di comprovato avviamento al recupero ai sensi dell’art. 21, comma 7, del decreto Ronchi, sussiste la possibilità di un esonero dalla privativa comunale che determina, non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, istitutivo della TARSU, per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero (in virtù di quanto previsto, in generale, già dal d.lgs. n. 507 del 1993, art. 67, comma 2, e poi, più specificamente, dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2) (cfr. Cass. n. 9731 del 2015).
1.14. L’art. 7 del d.P.R. n. 158 del 1999, che nella fase transitoria può essere applicato dai Comuni anche ai fini della TARSU, nell’approvare il «metodo normalizzato per la determinazione della tariffa di riferimento per la gestione dei rifiuti urbani», prevede, infatti, non già l’esenzione dall’imposta, ma soltanto una sua riduzione nel caso in cui i rifiuti speciali assimilati a quelli urbani vengano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il servizio sia istituito e sussista la possibilità dell’utilizzazione.
1.15. Ai produttori di rifiuti assimilati che dimostrino di aver avviato al recupero i rifiuti stessi, è riconosciuta, dunque, a norma del d.lgs. n. 22 del 1997, la possibilità di sottrarsi entro certi limiti alla privativa comunale;
presupposto dell’esonero, e della conseguente riduzione proporzionale del tributo, è la qualificazione del rifiuto come assimilabile all’urbano.
1.16. Tanto premesso, occorre verificare se, ai fini dell’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, sia sufficiente un criterio qualitativo, e quindi la mera riconducibilità del rifiuto ad una delle tipologie di cui alla deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, o sia necessario combinare tale criterio con quello quantitativo, che renda almeno astrattamente possibile uno smaltimento degli stessi ad opera del servizio pubblico di raccolta.
1.17. Tale verifica ha una evidente ricaduta sulla legittimità o meno di quelle disposizioni dei regolamenti comunali che prevedono l’assimilazione del rifiuto sulla base del solo criterio qualitativo e non anche di quello quantitativo.
1.18. S u tale questione, in base all’orientamento più recente di questa Corte (cfr. Cass. n. 11035/2019; conf. Cass. n. 21957 del 2022, Cass. n. 17123 del 2024), a composizione di un precedente contrasto, l’utilizzo del criterio combinato della qualità e quantità trova il suo principale argomento giustificativo nella lettera dell’art. 21 del d.lgs. n. 22 del 1997 che, nel definire le competenze del Comune in materia, al comma 2, lett. g), fa riferimento ad una «assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento».
1.19. Tale doppio criterio corrisponde anche alla ratio legis , da individuarsi sia nella necessità di escludere ogni ipotesi di danno ambientale correlato alla raccolta e allo smaltimento del rifiuto assimilato, sia in quella di assicurare una gestione dei rifiuti urbani da parte dei Comuni ispirata a principi di efficienza, efficacia ed economicità.
1.20. È evidente che tali finalità possono essere garantite solo predeterminando, almeno astrattamente, la quantità di rifiuto assimilabile conferibile, non essendo ipotizzabile un servizio pubblico di smaltimento di potenzialità illimitata rispetto ad un rifiuto per definizione non uguale a quello urbano, seppure ad esso assimilabile perché non pericoloso.
1.21. Predeterminare se un rifiuto è assimilabile o meno per qualità e quantità è dunque accertamento preliminare indispensabile, in quanto, nel caso in cui la potestà di assimilazione attribuita dalla norma di legge ai Comuni sia stata correttamente esercitata, il contribuente non potrà mai beneficiare di un ‘ esenzione totale dal tributo, sebbene l’intera superficie imponibile sia produttiva di rifiuti assimilati e si avvalga per l’intero dello smaltimento, ed in tal caso infatti avrà solo diritto ad una riduzione della tariffa, prevista dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal d.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2.
1.22. Nell’ipotesi in cui l’assimilazione non sia stata legittimamente disposta dall’ente locale, per violazione del criterio qualitativo, o anche per l’omessa previsione dell’ulteriore criterio quantitativo, non si rientrerà, invece, nel campo di operatività dell’art. 21 del d.lgs. n. 22 del 1997, ma, previa disapplicazione della delibera comunale illegittima per contrasto con l’art. 21, comma 2, lett. g), del d.lgs. n. 22 del 1997, dovrà trovare applicazione solo la pregressa disciplina che in tema di rifiuti speciali prevedeva all’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 la possibilità di una esenzione o riduzione delle superfici tassabili.
1.23. È noto inoltre che il potere-dovere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, dettato dall’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione in giudizio di tali atti solo se, ed in quanto, legittimi, al che consegue che detto potere deve essere esercitato – purché gli atti in questione siano stati investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato -anche d’ufficio, ed indipendentemente dall’avvenuta impugnazione dell’atto avanti al giudice amministrativo, con il solo limite dell’eventuale giudicato amministrativo diretto di affermata legittimità dell’atto (cfr. Cass. Sez. U n. 6265 del 2006; Cass. n. 9631 del 2012 e Cass. n. 1942 del 2019).
1.24. Disapplicata la delibera, l’esercizio illegittimo del potere di assimilazione potrà essere così equiparato al mancato esercizio del potere di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti solidi urbani da parte del Comune, rispetto al quale si è già affermato da questa Corte che non comporta che detti rifiuti siano, di per sé, esenti dalla tassa, in quanto essi sono soggetti alla disciplina stabilita per i rifiuti speciali dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 (applicabile ratione temporis ), che rapporta la stessa alle superfici dei locali occupati o detenuti, con la sola esclusione della parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali non assimilati. (Cass. Sez. 5, n. 1975/2018).
1.25. L’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 prevede che «nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il Comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta».
1.26. Va infine ricordato che l’esonero da tassazione previsto dal citato art. 62, comma 3, per le superfici di formazione di rifiuti speciali smaltiti in proprio integra comunque un’eccezione i cui presupposti spetterà al contribuente allegare e provare (cfr. Cass. 9 marzo 2004, n. 4766; Cass. 14 gennaio 2011, n. 775; Cass. 31 luglio 2015, n. 16235), e che la facoltà di individuare categorie di attività produttive di rifiuti speciali cui applicare una percentuale di riduzione, attribuita ai Comuni dalla stessa norma esige uno specifico esercizio regolamentare, restando, in difetto, le superfici esenti da tassazione (Cass., Sez. Un., 30 marzo 2009, n. 7581; Cass. n. 10548 del 2017; Cass. n. 9630 del 2012).
1.27. Nella specie risulta che con delibera G.C. n. 52 del 1998 (ritualmente allegata al ricorso per cassazione) il Comune di Olbia abbia attivato il servizio di smaltimento anche dei rifiuti assimilabili, limitandosi tuttavia all’individuazione dei criteri qualitativi e non quantitativi dei rifiuti assimilati ( «l’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi di cui all’art. 7, comma 2, lett. b del D.lgs. n. 22 del 05.02.1997 è assunta senza limitazioni quantitative»).
1.24. Pertanto, la ricorrente ne ha chiesto la disapplicazione al fine di beneficiare dell’esonero dalla TARSU per lo smaltimento dei rifiuti speciali.
1.25. Tuttavia, la sentenza impugnata ha del tutto omesso di pronunziarsi sullo specifico motivo di appello (riportato sinteticamente in ricorso, anche in relazione all’originaria proposizione dell’impugnazione), di cui è traccia anche nell’esposizione dello svo lgimento processuale, disattendendo la postulata disapplicazione, senza accertare, in concreto, il corretto esercizio del potere di assimilazione da parte del Comune, secondo la previsione di criteri sia qualitativi che quantitativi, con ciò obliterando del tutto l’istituto della disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice tributario.
3.24. Sulla base delle precedenti considerazioni, va invece ritenuto che, in caso di esito positivo di tale verifica, avrebbe dovuto negare l’esenzione totale e verificare la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della riduzione d’imposta, mentre, in caso di esito negativo, ai fini del riconoscimento dell’esenzione totale avrebbe dovuto accertare che l’intera superficie imponibile fosse stata destinata alla produzione di rifiuti speciali non assimilabili, mentre una destinazione solo in parte avrebbe determinato il diritto ad una corrispondente riduzione in proporzione della superficie non tassabile.
L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo in merito alla condanna della ricorrente al pagamento delle le spese del giudizio in favore dell’Ente impositore, sebbene il medesimo si fosse costituito in giudizio, non mediante il patrocinio di un legale, bensì
avvalendosi di un proprio funzionario appositamente delegato, pur essendo opportuno, per completezza, evidenziare che, come già affermato da questa Corte, nel processo tributario, alla parte pubblica (nella specie, un Comune) che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (cfr. Cass. n. 27634 del 2021).
5. Il ricorso va dunque accolto nei termini di cui in motivazione, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame e per esame delle questioni rimaste assorbite (tra le quali anche quella, dedotta dalla controricorrente, circa la rituale presentazione della denuncia al Comune relativamente ai rifiuti prodotti ed alle relative superfici tassabili) alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sardegna in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sardegna in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 27.3.2025.
Il Presidente (NOME COGNOME)