Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18751 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18751 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2249/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE ( -) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
– controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA n. 1026/2020 depositata il 15/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il P.G. il quale ha chiesto l ‘accoglimento del primo, del secondo e del quinto motivo del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;
Sentiti i difensori delle parti Avvocati NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME i quali hanno concluso come da rispetti atti.
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 1026/19/2020, pronunziando in sede di secondo giudizio di rinvio in controversia avente ad oggetto due cartelle di pagamento TARSU/TIA anni 2000/2002 nonché due avvisi di accertamento TARSU riguardanti le annualità 1999/2001 e 2002/2005, atti emessi dal Comune di Cinisello Balsamo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE titolare del RAGIONE_SOCIALE‘ all’interno del quale si trovava l’ ipermercato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, riteneva dovut a la TARSU sulla superficie di mq. 56.925, con riduzione del 30% rispetto alla tariffa ordinaria.
1.1. La C.T.R. osservava che, sulla scorta di quanto già affermato nelle pronunzie di annullamento della Suprema Corte nn. 627/2012 e 11451/2018, risultava accertato che: il Comune aveva attivato il servizio di raccolta e smaltimento differenziato dei rifiuti nei contenitori di propria competenza, servizio non regolare nell’area ove insistono le attività della RAGIONE_SOCIALE, nel senso che non era appieno fruito dalla società contribuente -la quale provvedeva in via autonoma e a proprie spese allo smaltimento tramite soggetti privati -perché non sarebbe stato possibile farlo in modo
completamente esaustivo rispetto alle esigenze dell’attività commerciale (e, quindi, comunque almeno in parte avrebbe potuto concretamente fruirne); l’avvenuta attivazione del servizio concretamente fruibile determinava, come conseguenza, che l’imposta era, comunque dovuta, perché tali circostanze non comportavano l’esenzione, trattandosi piuttosto di stabilire la misura ridotta in cui il tributo era dovuto; la superficie destinata ad aree di parcheggio doveva essere computata come superficie tassabile, essendosi sul punto già formato il giudicato, con la conseguenza che la superficie tassabile era maggiore di quella dichiarata dalla contribuente; l’esatta individuazione della superficie tassabile doveva, comunque, essere definita escludendo le aree destinate alla produzione, in via prevalente (e non esclusiva), rifiuti speciali pericolosi o non assimilabili (imballaggi terziari), in relazione ai quali la legge prevede che sia obbligo di chi li produce provvedere in via autonoma ed a proprie spese, allo smaltimento, mediante affidamento ad imprese private autorizzate al relativo trattamento, sempre che la contribuente fornisca adeguata prova dello smaltimento e dell’avvio a recupero nonché delle quantità affidate e smaltite. Quanto, invece, agli imballaggi secondari, trattandosi di rifiuti qualificabili come speciali non pericolosi e assimilabili ai rifiuti solidi urbani, essendo stata esercitata dal Comune di Cinisello Balsamo la facoltà, prevista ex lege , di assimilazione degli stessi ai rifiuti solidi urbani, ed avendo il Comune attivato il servizio di raccolta differenziata, indipendentemente dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE non ne fruiva in tutto o in parte, le superfici destinate alla loro produzione, dovevano essere considerate ai fini del computo della TARSU dovuta, sebbene da quantificare in misura ridotta; quand’anche si fosse ritenuta illegittima la delibera di assimilazione adottata dal Comune per non avere effettuato una distinzione qualitativa e quantitativa delle diverse categorie di rifiuti, in ogni caso, il diritto alla riduzione tariffaria con riferimento ai rifiuti smaltiti in via autonoma (esclusi i
pericolosi ossia gli imballaggi terziari) esigeva la prova specifica e adeguata, il cui onere grava sulla contribuente, dell’effettivo smaltimento e avvio al recupero.
1.2. Posti tali principi ed esaminata la documentazione versata i atti, i giudici del rinvio rilevavano che la società RAGIONE_SOCIALE non aveva fornito una prova esaustiva e specifica in ordine all’esistenza di aree delimitate e definite, destinate in via prevalente alla produzione di imballaggi terziari (rifiuti speciali non assimilabili) sicché la superficie da doversi considerare ai fini della quantificazione della tassa dovuta era l’intera maggiore superfice accertata dal Comune nell’ambito della quale, certamente, dovevano essere ricomprese le aree scoperte destinate a parcheggio sulla scorta del giudicato inter partes e precisavano che, indipendentemente dalla legittimità o meno della assimilazione, certamente la società RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato ed ampiamente documentato l’avvenuto smaltimento in via autonoma, ed a proprie spese, dei rifiuti speciali sia non assimilabili come obbligatorio per legge (imballaggi terziari) sia assimilabili come possibile (imballaggi secondari) compreso il regolare avvio al recupero degli stessi attraverso il conferimento a imprese specificatamente autorizzato e ciò affermavano i giudici della C.T.R., in una situazione concreta in cui, pur avendo l’ente impositore istituito ed attivato il servizio di raccolta differenziata e smaltimento dei rifiuti, certamente il servizio non era regolarmente o esaustivamente fruibile dalla società contribuente secondo le necessità quantitative concrete dell’attività commerciale, sicchè la stessa aveva, quindi, certamente diritto all’applicazione di una riduzione tariffaria che doveva essere quantificata nel 30% rispetto alla tariffa ordinaria.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso detta sentenza sulla base di cinque motivi, illustrati con successiva memoria.
Il Comune di Cinisello Balsamo ha resistito con controricorso e ricorso incidentale basato su tre motivi, depositando successiva
memoria con la quale ha chiesto, via preliminare, disporre ex art. 274 c.p.c. la riunione del presente procedimento a quello portante RG. n. 6229/2020.
RAGIONI DELLA DECISIONE
RAGIONE_SOCIALE, con il proposto ricorso principale, ha formulato cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione violazione degli artt. 62, comma 3, d.lgs. 507/1993, 21, 38 e 43 d.lgs. 22/1997.
Ha rilevato che, nel caso in esame, la C.T.R. avrebbe dovuto, in primo luogo, verificare se sussistevano i presupposti per la disapplicazione della illegittima assimilazione disposta dal Comune con il proprio Regolamento del 21 maggio 1998, accertamento avente carattere preliminare indispensabile.
1.2. Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 62, comma 3, d.lgs. 507/1993 anche in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. per avere i giudici del rinvio escluso la sussistenza della prova della delimitazione delle superfici produttive di rifiuti speciali, non tenendo conto di una serie di documenti ritualmente prodotti ed analiticamente richiamati in ricorso.
1.3. Con il terzo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 62 d.lgs. 507/1993 anche in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. per avere la C.T.R. ritenuto tassabile l’area destinata a parcheggio sebbene il giudicato richiamato riguardava altro avviso di accertamento n. 30/2006, riferito agli anni di imposta 2002-2005. 1.4. Con il quarto motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 62, comma 3, e 67, comma 2, d.lgs. 507/1993 nonché degli artt. 21 e 49 d.lgs. 22/1997 e 7, comma 5, d.P.R. 158/1999; violazione del principio di
proporzionalità per l’avvio a recupero dei rifiuti speciali ed erroneità nella determinazione del coefficiente di riduzione.
Ha assunto che la RAGIONE_SOCIALE non aveva tenuto adeguatamente conto dell’elevata percentuale di imballaggi (compresa nei vari anni fra il 55,62% e l’ 87,13%) rispetto al totale dei rifiuti prodotti dall’ipermercato.
1.5. Con il quinto motivo ha rilevato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 59 d.lgs. 507/1993 e dell’ art. 2, comma 3, del Regolamento Comunale TARSU quanto all’erronea determinazione della riduzione del tributo per mancata fruizione del servizio.
Il Comune di Cinisello Balsamo, con ricorso incidentale, ha formulato tre motivi.
2.1. Con un primo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.P.R. 158/1999, degli artt. 22 e 49 d.lgs. n. 22/97 nonché degli artt. 59 e 70 d.lgs. 507/1993, anche in relazione agli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e 2697, 1175 e 1375 cod. civ. Ha rilevato che, essendo pacifica l’attivazione del servizio, la società contribuente non poteva vantare alcun diritto a riduzioni del tributo in quanto era imputabile alla stessa il mancato utilizzo del servizio.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti individuato nella circostanza che RAGIONE_SOCIALE non aveva, volontariamente ed arbitrariamente, aderito alla privativa comunale per lo smaltimento dei propri rifiuti, affidandosi ad impresa privata. In altri termini, ad avviso dell’ ente impositore, ancor prima di verificare se il Comune aveva attivato il servizio o lo stesso veniva effettuato in grave violazione di legge, costituiva elemento pregiudiziale comprendere perché la RAGIONE_SOCIALE non utilizzava il servizio, da qui la decisività dell’elemento in quanto risultava dimostrato che era stato attivato il
servizio de quo con la convenzione stipulata con RAGIONE_SOCIALE sicchè la società contribuente era stata posta nella condizione di poter usufruire del servizio.
2.3. Con il terzo motivo ha contestato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 58 d.lgs. 546/1992 nonché degli artt. 325 e 325 cod. proc. civ. rilevando la erroneità della decisione della C.T.R. di ammettere la nuova produzione documentale depositata solo con memoria illustrativa del 16/01/2020 da parte di RAGIONE_SOCIALE posto che era pacifico che la stessa non avesse prodotto i formulari nei precedenti gradi di giudizio.
Deve, primo luogo, rilevarsi che non appaiono sussistere i presupposti di legge per disporre la chiesta riunione del presente giudizio con quello portante R.G. n. 6229/2020, in ragione della diversità di talune delle questioni trattate correlate alle pregresse pronunzie di annullamento.
Osserva, quindi, questa Corte che il ricorso principale può trovare accoglimento nei limiti appresso specificati.
Appare indispensabile muovere da quanto statuito da questa Corte nella seconda pronunzia di annullamento n. 11451/2018.
5.1. Con tale pronunzia, richiamate le argomentazioni di cui alla precedente sentenza di annullamento n. 627/2012, veniva osservato che la tassa sui rifiuti è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio di smaltimento in quanto la ragione istitutiva del relativo prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti mentre l’omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta – sebbene istituito ed attivato – nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente comporta non già l’esenzione dalla tassa bensì la conseguenza che il tributo è dovuto in misura ridotta, il che consente
di escludere “che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato in modo regolare così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente”, posto che la tassa è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione all’espletamento da parte dell’ente pubblico di un sevizio nei confronti della collettività, che da tale servizio riceve un beneficio, e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti, per cui “sarebbe (…) contrario al sistema di determinazione del tributo pretendere di condizionare il pagamento al rilievo concreto delle condizioni di fruibilità che del resto, per loro natura, oltre ad essere di difficile identificazione mal si prestano a una valutazione economica idonea a garantire una esatta ripartizione fra gli utenti del costo di gestione”.
Veniva, altresì, evidenziato che occorreva valutare, proprio in considerazione del fatto che il tributo era stato liquidato dall’ente locale sulla scorta dei dati forniti dalla contribuente, e di quelli successivamente accertati ufficiosamente, applicando la tariffa ordinaria, e non quella ridotta, quale fosse la esatta misura della TARSU dovuta, ai sensi dell’art. 59, commi 2 e 4, d.lgs. n. 507 del 1993, rientrando ciò nei poteri del giudice del merito, ribadendosi che con riguardo alla utenza per cui è causa doveva operare non l’esonero dalla tassazione, ma solo un abbattimento del prelievo tributario, da rideterminarsi eventualmente in ragione della diversa somma dovuta dalla contribuente.
Questa Corte, quindi, rilevava l’intangibilità della decisione di secondo grado, divenuta definitiva nella parte in cui stabiliva che la contribuente non era esentata dal pagamento del tributo in relazione alle aree scoperte adibite a parcheggio per il solo fatto che le stesse erano vincolate ad uso pubblico, in quanto si trattava di aree pur sempre frequentate da persone e, quindi, in via presuntiva produttive di rifiuti e demandava al giudice del rinvio di accertare i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non
concorrevano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile in quanto destinate alla produzione di rifiuti speciali non assimilati né assimilabili.
Osservava, ancora, che il thema decidendum del giudizio di rinvio comprendeva le questioni concernenti la quantificazione della complessiva superficie imponibile, alla stregua dei principi fissati dalla sentenza n. 627/2012 la quale aveva precisato, per un verso, che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché di quelli secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, sicché i regolamenti che tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario, e, per altro verso, che ciò non comportava che tali categorie di rifiuti siano di per sé esenti dalla TARSU, ma che ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo nell’ovvio presupposto che in un locale o area in cui si producono rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari (come certamente nella fattispecie trattandosi di un centro commerciale comprendente locali di varia destinazione), l’esclusione della tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente rifiuti speciali. Rilevava, infine, che andava adeguatamente valutato il profilo relativo alla tipologia dei rifiuti prodotti dalla società RAGIONE_SOCIALE, che per stessa ammissione della contribuente erano riconducibili a diverse tipologie, attesa la differente disciplina applicabile e quanto agli imballaggi, se si trattasse di imballaggi primari, secondari o terziari.
Ciò premesso rileva questa Corte che il primo motivo del ricorso principale è fondato.
6.1. Posto che la controversia in esame ha ad oggetto le annualità TARSU/TIA comprese fra il 1999 e ed 2005 va precisato che con riferimento alle annualità di imposta dal 1997 in poi, assumono
decisivo rilievo le indicazioni dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari, in quanto con l’entrata in vigore del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, è stato restituito ai Comuni (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 3 novembre 2016, n. 22223; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2019, nn. 9610 e 9612; Cass., Sez. 5^, 24 maggio 2019, nn. 14197 e 14198; Cass., Sez. 5^, 16 luglio 2019, n. 18988; Cass., Sez. 5^, 30 giugno 2020, n. 13108; Cass., Sez. 5^, 17 marzo 2021, n. 7548; Cass., Sez. 5^, 22 marzo 2022, n. 9183; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10899) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, fra cui quelli prodotti da ditte commerciali, anche «per qualità e quantità» (art. 21, comma 2, lett. g, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22). Il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, emanato in attuazione delle direttive n. 91/156/CEE sui rifiuti, n. 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e n. 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, ha previsto, nel Titolo I (‘Gestione dei rifiuti’), che: a) la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed è disciplinata al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci; i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente (art. 2, commi 1 e 2); b) le autorità competenti favoriscono il recupero dei rifiuti, nelle varie forme previste (reimpiego, riciclaggio, ecc.), allo scopo di ridurre lo smaltimento dei rifiuti, che costituisce la residuale della ‘gestione’ degli stessi, la quale comprende le operazioni di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento (artt. 4 e 5 e art. 6, comma 1, lett. d); c) sono rifiuti ‘urbani’, tra l’altro, quelli non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quello di civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’art. 21, comma 2, le tt. g, mentre sono rifiuti ‘speciali’, tra l’altro, quelli ‘da attività commerciali’ (art. 7, comma 2, lett. b, e comma 3, lett. e); d) i Comuni «effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti
assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa»; con appositi regolamenti stabiliscono, fra l’altro, «le disposizioni necessarie a ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio», nonché «l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento»; la privativa suddetta «non si applica (….) alle attività di recupero dei rifiuti assimilati» (dal 1 gennaio 2003, «alle attività di recupero dei rifiuti urbani o assimilati», ai sensi dell’art. 23 della legge 31 luglio 2002, n. 179) (art. 21, comma 1, comma 2, lett. e g, e comma 7). L’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ha istituito la ‘tariffa per la gestione dei rifiuti urbani’ (usualmente denominata TIA, “tariffa di igiene ambientale”), in sostituzione della soppressa TARSU, prevedendo, in particolare, nella modulazione della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata, «ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei produttori e degli utilizzatori» (comma 10), e disponendo altresì che «sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua» detta attività (comma 14). Dalla lettura organica di tali disposizioni si evince che costituisce regola generale quella secondo cui la privativa comunale opera sempre in presenza di rifiuti urbani e assimilati; che tuttavia, per i rifiuti assimilati, in caso di comprovato avviamento al recupero, ai sensi dell’art. 21, comma 7, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, sussiste la possibilità di un esonero dalla privativa comunale che determina, non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, istitutivo della TARSU, per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al
recupero (in virtù di quanto previsto, in generale, già dall’art. 67, comma 2, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e poi, più specificamente, dall’art. 49, comma 14, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e dall’art. 7, comma 2, del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158) (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 13 maggio 2015, n. 9731; Cass., Sez. 6^5, 27 luglio 2020, n. 15983; Cass., Sez. 5^, 15 novembre 2021, n. 34299; Cass., Sez. 5^, 22 aprile 2022, nn. 12848 e 12850; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2022, n. 21957); 3.15 l’art. 7 del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, che nella fase transitoria può essere applicato dai Comuni anche ai fini della TARSU, nell’approvare il «metodo normalizzato per la determinazione della tariffa di riferimento per la gestione dei rifiuti urbani», prevede, infatti, non già l’esenzione dall’imposta, ma soltanto una sua riduzione nel caso in cui rifiuti speciali assimilati a quelli urbani vengano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il servizio sia istituito e sussista la possibilità dell’utilizzazione. Ai produttori di rifiuti assimilati che dimostrino di aver avviato al recupero i rifiuti stessi, è riconosciuta, dunque, a norma del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, la possibilità di sottrarsi entro certi limiti alla privativa comunale; presupposto dell’esonero, e della conseguente riduzione proporzionale del tributo, è la qualificazione del rifiuto come assimilabile all’urbano.
Tanto evidenziato, occorre verificare se, ai fini dell’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, sia sufficiente un criterio qualitativo, e quindi la mera riconducibilità del rifiuto ad una delle tipologie di cui alla deliberazione adottata dal CIPE il 27 luglio 1984, o sia necessario combinare tale criterio con quello quantitativo, che renda almeno astrattamente possibile uno smaltimento degli stessi ad opera del servizio pubblico di raccolta.
Tale verifica ha una evidente ricaduta sulla legittimità o meno di quelle disposizioni dei regolamenti comunali che prevedono l’assimilazione del rifiuto sulla base del solo criterio qualitativo e non anche di quello quantitativo ovvero senza la individuazione sia di un
criterio qualitativo che di un criterio quantitativo. Su tale questione deve rilevarsi, all’interno di questa stessa Sezione della Corte, la presenza di pronunce in apparente contrasto. Secondo un precedente orientamento la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, prevista dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, presuppone, necessariamente, la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti speciali, poiché l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità (Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2011, n. 30719; Cass., Sez. 5^,13 giugno 2012, n. 9631; Cass. Sez. 6^5, 24 luglio 2013, n. 18018). Da tale indirizzo si è apparentemente discostato un più recente arresto (Cass., Sez 5^, 13 aprile 2018, n. 9214), affermando che, ai sensi degli artt. 7, 10 e 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, sono soggetti a tassazione i rifiuti speciali non pericolosi, se assimilati ai rifiuti solidi urbani da una delibera comunale, e ciò anche nell’ipotesi in cui la stessa non ne individui le caratteristiche quantitative e qualitative, spettando al contribuente solo una riduzione tariffaria in base a criteri di proporzionalità, nel caso in cui dimostri una riduzione della superficie tassabile ovvero che i rifiuti speciali siano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il servizio pubblico di raccolta e smaltimento sia istituito e sussista la possibilità per l’istante di avvalersene.
Come condivisibilmente ritenuto da Cass. n. 14670/2023 i due orientamenti sono tuttavia passibili di una composizione, che trova conforto nell’interpretazione letterale e sistematica del dato normativo, se applicati entrambi con le seguenti precisazioni: A. l’utilizzo del criterio combinato della qualità e quantità trova il suo principale argomento giustificativo nella lettera dell’art. 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che, nel definire le competenze del Comune in materia, al comma 2, lett. g, fa riferimento ad una «assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani
ai fini della raccolta e dello smaltimento»; B. tale doppio criterio corrisponde anche alla ratio legis , da individuarsi sia nella necessità di escludere ogni ipotesi di danno ambientale correlato alla raccolta e allo smaltimento del rifiuto assimilato, sia in quella di assicurare una gestione dei rifiuti urbani da parte dei Comuni ispirata a principi di efficienza, efficacia ed economicità; è evidente che tali finalità possono essere garantite solo predeterminando, almeno astrattamente, la quantità di rifiuto assimilabile conferibile, non essendo ipotizzabile un servizio pubblico di smaltimento di potenzialità illimitata rispetto ad un rifiuto per definizione non uguale a quello urbano, seppure ad esso assimilabile perché non pericoloso; C. predeterminare se un rifiuto è assimilabile o meno per qualità e quantità è, dunque, accertamento preliminare indispensabile, in quanto, nel caso in cui la potestà di assimilazione attribuita dalla norma di legge ai Comuni sia stata correttamente esercitata, il contribuente non potrà mai beneficiare di una esenzione totale dal tributo, sebbene l’intera superficie imponibile sia produttiva di rifiuti assimilati e si avvalga per l’intero dello smaltimento; in tal caso, infatti, egli avrà solo diritto ad una riduzione della tariffa, prevista dall’art. 49, comma 14, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e dall’art. 7, comma 2, del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158. Nell’ipotesi in cui l’assimilazione non sia stata legittimamente disposta dall’ente locale, per violazione del criterio qualitativo, o anche per l’omessa previsione dell’ulteriore criterio quantitativo, non si rientrerà, invece, nel campo di operatività dell’art. 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ma, previa disapplicazione della delibera comunale illegittima per contrasto con l’art. 21, comma 2, lett. g, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, dovrà trovare applicazione solo la pregressa disciplina che in tema di rifiuti speciali prevedeva all’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, la possibilità di una esenzione o riduzione delle superfici tassabili; è noto che il potere-dovere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il
presupposto dell’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. ‘E’, dettato dall’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione in giudizio di tali atti solo se, ed in quanto, legittimi; ne consegue che detto potere deve essere esercitato – purché gli atti in questione siano stati investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato – anche d’ufficio, ed indipendentemente dall’avvenuta impugnazione dell’atto avanti al giudice amministrativo, con il solo limite dell’eventuale giudicato amministrativo diretto di affermata legittimità dell’atto (tra le tante: Cass., Sez. Un., 22 marzo 2006, n. 6265; Cass., Sez. 5^, 14 marzo 2007, n. 5929; Cass., Sez. Un., 24 luglio 2007, nn. 16290, 16291, 16292 e 16293; Cass., Sez. Un., 31 marzo 2008, nn. 8276, 8277 e 8278; Cass., Sez. 5^, 13 giugno 2012, n. 9631; Cass., Sez. 5^, 14 luglio 2017, nn. 17485, 17487 e 17488; Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2019, n. 1952; Cass., Sez. 5^, 9 aprile 2019, n. 9925; Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2019, n. 11035; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2019, n. 14039; Cass., Sez. 6^-5, 27 luglio 2020, n. 15983; Cass., Sez. 5^, 11 dicembre 2020, n. 28254; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2021, nn. 32603 e 32604; Cass., Sez. 5^, 22 aprile 2022, nn. 12848 e 12850).
6.2. Muovendo da tali premesse la sentenza, sul punto, deve essere annullata in quanto, contrariamente a quanto affermato dai giudici del rinvio (i quali a pag. 9 della sentenza impugnata hanno precisato che doveva ragionarsi ‘indipendentemente dalla legit timità o meno dell’assimilazione’), la questione relativa alla legittimità o meno della assimilazione riveste carattere preliminare fondamentale.
Anche il secondo motivo è fondato.
Va, invero, osservato che parte ricorrente aveva prodotto una serie di documenti idonei a comprovare le superfici produttive di rifiuti speciali, documenti in alcun modo presi in esame dalla C.T.R. Occorre, peraltro, considerare che in tema di istruttoria nel processo
tributario, l’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che fa salva la produzione di nuovi documenti, non si applica nel giudizio riassunto a seguito di cassazione con rinvio della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, trovando applicazione la disciplina specifica del successivo art. 63, comma 4, in base al quale, essendo sostanzialmente chiusa l’istruzione, è preclusa l’acquisizione di nuove prove, in particolare documentali, salvo che sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore. (Sez. 5 – , Ordinanza n. 28976 del 18/10/2023, Rv. 669283 – 01), dal che discende che tutti i documenti prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE in sede di rinvio devono essere ritenuti utilizzabili in quanto la loro produzione si è resa necessaria alla luce della delimitazione del thema decidendum sulla scorta delle due sentenze di annullamento e dovevano, conseguentemente, essere presi in esame dai giudici territoriali.
Il terzo motivo relativo alla riconosciuta tassazione del parcheggio -è infondato, in disparte la questione del giudicato che, peraltro, appare essersi formato sulla scorta di quanto già evidenziato nelle pronunzie di annullamento.
8.1. Invero le esclusioni dal pagamento del tributo, ai sensi dell’art. 62, comma 2, del d. lgs. n. 507 del 1993, dipendono dalla sussistenza di condizioni oggettive che impediscono la presunzione di rifiuti, quali la natura o il particolare uso delle superfici, la loro oggettiva condizione di non utilizzabilità immediata, e siffatta prova contraria, atta a dimostrare la inidoneità del bene a produrre rifiuti, che legittima l’esenzione dal pagamento della TARSU, è ad esclusivo carico del contribuente, che deve fornire all’Amministrazione tutti gli elementi all’uopo necessari. Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, grava sul
contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare delle esenzioni previste dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, commi 2 e 3, per alcune aree detenute od occupate aventi specifiche caratteristiche strutturali e di destinazione (e cioè che le stesse siano inidonee alla produzione di rifiuti o che vi si formino rifiuti speciali al cui smaltimento provveda il produttore a proprie spese), atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, tale principio non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, costituendo l’esenzione, anche parziale, un’eccezione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone dei territorio comunale (Cass. n. 17703/2004, n. 13086/2006, n. 17599/2009, n. 775/2011, n. 17623/2016). La contribuente omettere di considerare che “La tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse alle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa nei modi previsti … ” (art. 62, comma 1, D.Lgs. n. 50771993), ed in conseguenza avrebbe dovuto dimostrare i presupposti fattuali per poter beneficiare citate esclusioni dall’assoggettamento al tributo, e non limitarsi a rilevare “la natura pertinenziale e non operativa del parcheggio escludono l’ applicazione della Tassa Rifiuti’. Questa Corte, a tale proposito, ha evidenziato che le deroghe di cui sopra non sono automatiche, ma devono essere di volta in volta dedotte ed accertate con un procedimento amministrativo, la cui conclusione deve essere basata su elementi obiettivi direttamente rilevabili o su idonea documentazione” (Cass. n. 14770/2000), e nella fattispecie in esame non viene individuata alcuna ipotesi di esonero dall’imposizione, ai sensi del d.lgs. n.507/1993, art. 62, comma 2, e
neppure viene indicata alcuna disposizione regolamentare, adottata dal Comune, contenente la previsione di una particolare deroga a favore della contribuente, altrimenti la tassa in questione è certamente dovuta, in quanto si tratta di spazi frequentati da persone, quindi, in via presuntiva produttivi di rifiuti solidi urbani. 8.2. Ne discende la legittimità della pronunzia impugnata nella parte in cui è stata affermata la piena tassabilità del parcheggio in questione.
In ragione dell’accoglimento del primo e del secondo motivo rimangono assorbiti, quindi, il quarto ed il quinto motivo, dovendosi, in via preliminare, riesaminare funditus la questione relativa alla legittimità della disposta assimilazione ed alla individuazione delle aree destinate alla produzione di rifiuti speciali che incidono sulle superfici tassabili e, quindi, stabilire il quantum del tributo anche tenuto conto del disposto di cui all’art. 59, comma 4, d.lvo. n. 507/1993 avendo la C.T.R. accertato, con statuizione che deve ritenersi passata in giudicato (per come appresso chiarito), che il servizio di raccolta rifiuti del Comune non era regolarmente ed esaustivamente fruibile dalla RAGIONE_SOCIALE.
Rimane fermo, ovviamente, il principio per cui la tassa in questione è doppiamente strutturata: a. in una parte variabile, non dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate; b. in una parte fissa, sempre dovuta invece per intero, sulla base del mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, in quanto astrattamente idonee ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività e dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così
come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività (v. Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, nn. 8205 e 8222, che richiama Cass. 15 marzo 2021, n. 7187; Cass. 23 maggio 2019, n. 14038 e Cass., Sez. T., 27 febbraio 2020, n. 5360).
Il ricorso incidentale non merita accoglimento.
10.1. Il primo motivo è infondato.
Va osservato che la censura non coglie nel segno laddove la parte lamenta che i giudici di appello, valutate le complessive risultanze istruttorie, hanno ritenuto che il servizio offerto dal Comune non fosse sufficiente ed adeguato a smaltire la quantità dei rifiuti della contribuente.
Orbene il comune, nell’affermare l’erroneità di una tale conclusione non ricorrendo, a suo dire, i presupposti per una simile riduzione in ragione del servizio di raccolta di rifiuti in concreto offerto dalla RAGIONE_SOCIALE pur deducendo, apparente mente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione delle prove operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito. Oggetto del giudizio che il ricorrente vorrebbe demandare a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
10.2. Il secondo motivo del ricorso, con il quale l’ ente impositore ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., denunzia l’omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio, costituito dalla mancata valutazione della circostanza che era stata RAGIONE_SOCIALE a non aderire, volontariamente, alla privativa comunale per lo smaltimento dei propri rifiuti, affidandosi ad impresa privata.
Occorre rilevare che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01). Invero appare di tutta evidenza che con il motivo in questione l’ ente impositore finisce per sollecitare una diversa valutazione degli elementi fattuali per come dedotti dalle parti.
10.3. Il terzo motivo è infondato sulla scorta dei principi sopra richiamati in tema di prova documentale nel giudizio di rinvio.
11. In ragione dell’ accoglimento del primo e del secondo motivo (assorbiti il quarto ed il quinto) la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale, uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti, procederà alle valutazioni sopra indicate, nonché a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti il quarto ed il quinto; rigetta il terzo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del Comune di Cinisello Balsamo, ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione