Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27715 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27715 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23521/2016 R.G. proposto da:
NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici sono domiciliate in Roma alla INDIRIZZO;
AVVISO DI ACCERTAMENTO
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA – MILANO, n. 1229/2016, depositata in data 7/3/2016;
Udita la relazione, svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME nella camera di consiglio del 13 settembre 2024;
Rilevato che:
L’RAGIONE_SOCIALE inviò ad NOME COGNOME (d’ora in poi, anche ‘la contribuente’ ) l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO , riferito all’anno d’imposta 2007.
Fu accertata una maggiore imposta dovuta pari ad euro 217.683, oltre sanzioni ed interessi, per un totale di euro 517.982,66.
L’Ufficio contestò alla Sig.ra COGNOME un utile derivante dall’assegnazione di un immobile da parte della società immobiliare RAGIONE_SOCIALE, di cui era socia da decenni, tassabile ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 917 del 1986. L’immobile in questione era s tato conferito in società dalla stessa COGNOME ( ‘la contribuente’ ), nell’anno in cui ella era divenuta socia della società.
Contestualmente all’avviso di accertamento per cui è causa, fu notificato alla contribuente un diverso avviso di accertamento (avente n. NUMERO_DOCUMENTO) , con il quale l’Ufficio accertò maggiori imposte per l’anno 2007 in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, che vennero recuperate dalla contribuente odierna quale assegnataria dell’immobile.
La contribuente segnalò che l’esborso di dette somme in qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE non poteva che essere considerato un conferimento di capitale o comunque un conferimento a fondo perduto nei confronti della società per debiti ad essa sola riferibili, con la conseguenza che l’esborso, ai sensi dell’art. 47, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986,
avrebbe dovuto essere sottratto dall’importo a lei imputato a titolo di utili.
La contribuente, inoltre, contestò il valore dell’immobile come determinato dall’Ufficio.
Il ricorso della contribuente fu rigettato dalla C.T.P. di Milano.
L’adìta RAGIONE_SOCIALE riformò solo in parte la sentenza di primo grado, accogliendo alcune RAGIONE_SOCIALE censure dedotte dalla contribuente.
Avverso la sentenza d’appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, di cui il primo e il secondo articolati in più profili.
Resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Considerato che:
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 47, commi 1 e 7, nonché dell’art. 94, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , la contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che le maggiori imposte della società pretese a carico della contribuente non possono essere considerate come una sorta di conferimento di capitale o, comunque, come una sorta di versamento a fondo perduto a favore della società, idoneo ad aumentare il costo della partecipazione e a diminuire l’utile distribuito.
Secondo la contribuente, la somma da lei versata per pagare un debito d’imposta della società relativo all’anno 2007, a lei richiesta dall’Ufficio in quanto ‘socia responsabile’ della società, avrebbe dovuto essere considerata come parte del costo della partecipazione, a decremento dell’utile conseguito in sede di liquidazione della società.
1.2.Con un secondo profilo RAGIONE_SOCIALE stesso motivo di ricorso, la contribuente, oltre ad insistere nella sua prospettazione, chiede a questa Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47 Tuir nella parte in cui non le consente di aumentare il costo
della sua partecipazione con la somma versata alla società per consentire a quest’ultima di pagare un debito d’imposta all’erario.
1.3. Il primo motivo, in entrambi i profili in cui è articolato, è infondato. Il socio che abbia ricevuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione è responsabile del pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte dovute dalla società, come si evince dall’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973.
Ne consegue che la contribuente era giuridicamente obbligata a versare le imposte gravanti sulla società, sicché quanto da lei versato a tale titolo non può aumentare il costo della sua partecipazione sociale in sede di imposizione dell’utile da partecipazione ai sensi dell’art. 47, comma 7, Tuir.
La responsabilità tributaria della contribuente è una conseguenza della sua qualità di socia, sicché ciò che ella ha versato al fisco l’ha versato in quanto personalmente tenuta dal punto di vista giuridico, sicché quella somma non ha nulla a che vedere con i conferimenti e con il costo della partecipazione sociale.
La questione di costituzionalità sollevata dalla contribuente, pertanto, è manifestamente infondata.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 47, commi 1 e 7, del d.P.R. n. 917 del 1986 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , la contribuente deduce che l’art. 47 Tuir non dovrebbe essere applicato ‘meccanicamente’ ai casi in cui l’immobile assegnato si identifica con l’immobile a suo tempo conferito nella società dal medesimo socio che poi lo ha ricevuto in assegnazione.
In un caso simile, si dovrebbe sempre tener conto, nell’applicazione della norma, della svalutazione del denaro insita nel processo inflazionistico.
Sostiene la contribuente che, se si tiene conto del naturale processo inflazionistico, ella, con l’assegnazione in sede di liquidazione della
società, non avrebbe conseguito alcuna ricchezza tassabile, in quanto il valore del bene assegnatole equivarrebbe al valore RAGIONE_SOCIALE stesso bene a suo tempo conferito in società.
2.2. Con un secondo profilo RAGIONE_SOCIALE stesso motivo, la contribuente prospetta anche una questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, commi 1 e 7, Tuir, per contrasto con gli artt. 3, comma 2 e 53 Cost., se non si tenesse conto dell’inflazione nella determinazione dell’utile da tassare.
2.3. Il secondo motivo, in entrambi i profili in cui è articolato, è infondato.
L’art. 47, comma 7, Tuir fa riferimento al ‘valore normale’ dei beni ricevuti in sede di liquidazione, ed il valore normale di un bene presuppone che esso sia oggetto di una stima al tempo dell’assegnazione, stima funzionale a determinare la ‘ricchezza’, indice di capacità contributiva, che il socio percepisce.
Da tale ‘ricchezza’ viene detratto il costo della partecipazione acquisita dal socio.
Orbene, il processo inflazionistico è irrilevante al fine di determinare e tassare tale ‘differenziale’.
Si tratta, in ogni caso, di una scelta di politica tributaria che appartiene alla sfera della discrezionalità del legislatore, con la conseguenza che la questione di legittimità costituzionale sollevata è manifestamente infondata.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché dell’ar t. 36, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 nonché dell’art. 156 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’ , la contribuente censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia.
In particolare, ella si lamenta che i giudici di prime cure avevano omesso di pronunciarsi sul profilo concernente la richiesta di risarcimento per la liquidazione di sanzioni in misura indebita e che
nella stessa omissione sarebbe incorsa la C.T.R., che avrebbe applicato non solo una disposizione di legge non pertinente (l’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997), ma anche una giurisprudenza riferita a una diversa fattispecie.
In subordine, con lo stesso mezzo, la contribuente censura la sentenza impugnata per carenza di motivazione.
Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , la contribuente censura la sentenza impugnata perché ha negato il risarcimento del danno sulla base dell’art. 16, anziché applicare l’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, che invece non conterrebbe un divieto, nemmeno implicito, di agire per il risarcimento dei danni a valle della definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
4.1. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati e decisi congiuntamente, sono infondati.
La stessa contribuente, nel corpo del ricorso, ha dato atto che la C.T.R., nella sentenza impugnata, ha affermato che ‘nessun diritto al risarcimento danni da maggiori sanzioni può competere al contribuente, anche in caso di successo nel giudizio sull’imposta accertata, che esercita la facoltà di definizione agevolata, ex art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, e ciò per espressa volontà del legislatore e consolidato orientamento giurisprudenziale di merito e di legittimità’ .
Il giudice d’appello, dunque, ha effettivamente dato una risposta motivata alla domanda di risarcimento dei danni spiegata alla contribuente circa l’entità della sanzione pecuniaria versata.
Sicché non sussiste il vizio di omessa pronuncia, né quello di carenza di motivazione.
Né può dirsi che la sentenza della C.T.R. abbia violato l’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, in quanto, sia qualora le sanzioni siano irrogate ai sensi dell’art. 16, sia qualora esse siano irrogate ai sensi dell’art. 17 del citato d.lgs., la definizione agevolata ha una natura sostanzialmente transattiva, in quanto il suo perfezionamento chiude ogni questione relativa al trattamento sanzionatorio (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25577 del 27/10/2017, Rv. 646168 – 01).
In conclusione, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che si liquidano in euro seimila per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 settembre