Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5016 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5016 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25613/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA), che la rappresenta e difende.
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ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliate in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentate e difese da ll’ avvocato NOME COGNOME.
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contro
ricorrenti –
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG.LOMBARDIA n. 5335/2019, depositata il 23/12/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il P.M., nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’AVV_NOTAIO dello Stato , NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Udito l’ AVV_NOTAIO che ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, con due motivi, chiede la cassazione della suindicata sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che ha riformato la decisione della Commissione tributaria provinciale di Milano (sentenza n. 4884/2018), favorevole all’erario, appellata dalle contribuenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
La vicenda trae origine dalla impugnazione, respinta in prime cure, dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro avendo le contribuenti contestato la legittimità della qualificazione, ex art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, come cessione di ramo d’azienda, dell’operazione posta in essere con l’atto di compravendita, registrato il 4/12/2015, tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la proprietà RAGIONE_SOCIALE reti relative al servizio idrico integrato di alcuni Comuni lombardi, costituite da beni mobili ed immobili, per un valore rispettivamente di euro 22.171.917,00 e di euro 2.328.083,00, compresi impianti e dotazioni patrimoniali, residuate in capo ad RAGIONE_SOCIALE dalla cessione d’azienda effettuata (nel 2011) a favore di RAGIONE_SOCIALE, per le quali percepiva un canone da RAGIONE_SOCIALE, soggetto gestore del servizio pubblico «dell’acquedotto, della depurazione e della fognatura (…).»
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza oggi impugnata, ha accolto l’appello RAGIONE_SOCIALE contribuenti, osservando che l’art. 20,
d.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dal legislatore (con la legge di bilancio 2018), riconosce all’Ufficio il potere di attribuire una diversa natura giuridica all’atto proposto per la registrazione, ma solo sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, non più utilizzando elementi extra testuali o atti diversi ad esso collegati, che la cessione del ramo d’azienda (servizio idrico) «si sarebbe già concretizzata con precedente atto del 2011 in favore di RAGIONE_SOCIALE, società controllata al 60% dalla odierna cessionaria ( RAGIONE_SOCIALE ) dell’atto in esame» e che, quindi, «i beni sarebbero disconnessi dalla gestione del servizio idrico.»
Il giudice di secondo grado, dopo aver richiamato il passaggio motivazionale della prima decisione secondo «cui l’atto controllato avrebbe completato la cessione del business idrico avviato nel 2011», afferma che l’appello deve essere accolto proprio «in quanto la sentenza impugnata è basata sulla connessione dell’atto controllato con atti precedenti che non può costituire motivo per la riliquidazione dell’imposta in quanto in contrasto con l’art. 20 del TUR come modificato dalla legge 205/2017.»
Le società resistono con controricorso e depositano memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente, disattesa d’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata esposizione dei fatti di causa, atteso che l’individuazione degli elementi essenziali della fattispecie impositiva oggetto del giudizio è resa possibile attraverso l’esame complessivo dell’atto.
Col primo motivo la ricorrente RAGIONE_SOCIALE deduce, in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 36, d.lgs. n. 546 del 1992, 112 e 132, comma secondo, n. 4 cod.proc.civ., nullità della sentenza per motivazione apparente, in quanto non dà contezza, né dell’iter logico seguito, né tantomeno degli elementi di prova valutati.
La censura è infondata e va disattesa.
L’apparenza della motivazione che, potendosi parificare alla motivazione inesistente, ne consente la censura ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod.proc.civ. si
verifica nel caso in cui essa «benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass. Sez. U., n. 22232/2016).
La motivazione della sentenza impugnata, benché sintetica, non può dirsi apparente, in quanto appare chiaramente espressa la ratio decidendi , incentrata sulla critica della prima decisione che aveva fatto applicazione dell’indirizzo interpretativo dell’art.20, d.P.R. n. 131 del 1986, per cui l’Amministrazione sarebbe legittimata a disconoscere, agli effetti tributari, gli effetti civili tipici degli atti o negozi posti in essere dalle parti contraenti, utilizzando elementi extratestuali o il collegamento con altri atti ogni qual volta tali effetti non appaiano conformi alla ‘causa reale’ dell’operazione economica realizzata e, dunque, prescindendo dal nomen iuris attribuito all’atto.
Nella specie, l’elemento che la CTP di Milano aveva ritenuto decisivo sta nel collegamento tra la cessione del ramo d’azienda, intervenuta nel 2011 tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e la successiva compravendita di beni aziendali, intervenuta nel 2015, tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima controllante di RAGIONE_SOCIALE, donde la sua tassazione come atto che «avrebbe completato la cessione del business idrico», riconducibile ad una operazione unitaria ancorché realizzata in modo frazionato.
Tale impostazione, fondata sulla valorizzazione dell’art. 20 inteso come norma generale antielusiva, viene sostanzialmente riproposta dall’RAGIONE_SOCIALE e, per quanto di seguito esposto, non è più percorribile perché in contrasto con la più recente elaborazione giurisprudenziale (di recente, Cass. n. 34930/2023) e costituzionale (sentenze n. 158/2020 e n. 39/2021) in tema d’interpretazione del novellato art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986.
Col secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, 1, comma 87, l. n. 205 del 2017 (Legge di Bilancio 2018), ed 1, comma 1084, l. n. 145 del 2018 (Legge di Bilancio 2019), nonché 2733,
cod. civ., in quanto il richiamato art. 20, anche nella nuova formulazione, impone di considerare la causa reale (il risultato giuridico finale) e la regolamentazione degli interessi perseguita dai contrenti per come è desumibile, applicando le regole ermeneutiche dei contratti, dalle clausole negoziali. Deduce, altresì, l’RAGIONE_SOCIALE che nel rogito di compravendita dei beni per cui è causa si legge che «in particolare le parti si danno atto del fatto che le reti e impianti oggetto del presente trasferimento sono già affidati in gestione a RAGIONE_SOCIALE(…)», per cui l’Ufficio, muovendo proprio dal fatto che la gestione RAGIONE_SOCIALE reti e degli impianti fosse già effettuata dalla cessionaria (RAGIONE_SOCIALE), sia pure per il tramite di una società controllata (RAGIONE_SOCIALE), ha legittimamente ritenuto che l’atto di compravendita in blocco dei singoli beni aziendali avesse come la «causa effettiva» quella della cessione di ramo d’azienda, «il tutto entro i limiti desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati (…).»
La censura è infondata
L’RAGIONE_SOCIALE si duole del fatto che il giudice di appello non avrebbe adeguatamente considerato il contenuto RAGIONE_SOCIALE clausole dell’atto negoziale tassato, alla luce anche RAGIONE_SOCIALE circostanze riportate nell’avviso impugnato ed ammesse dalle stesse società contribuenti negli scritti difensivi.
In particolare, la ricorrente riferisce che nell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro (riprodotto in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) si riporta che dalla attività istruttoria compiuta risulta che «La società cessionaria ‘RAGIONE_SOCIALE svolge storicamente la sua attività nel settore del servizio pubblico dell’acquedotto, della depurazione e della fognatura ed, in particolare, nel campo della proprietà, dello sviluppo e della gestione degli impianti e RAGIONE_SOCIALE infrastrutture e RAGIONE_SOCIALE reti destinate a tali servizi soprattutto nella Provincia di Milano e parzialmente in quella di Monza e Brianza. Gli impianti, le infrastrutture e le reti di cui ‘RAGIONE_SOCIALE‘ è proprietaria o ‘gestore’ sono messe a disposizione dell’erogatore pro-tempore , la RAGIONE_SOCIALE ‘RAGIONE_SOCIALE. La RAGIONE_SOCIALE, erogatore e dunque titolare del diritto di applicare ed escutere la tariffa idrica dell’utenza, riconosce a ‘RAGIONE_SOCIALE‘ una parte RAGIONE_SOCIALE tariffe riscosse dall’utenza per i servizi erogati utilizzando gli
impianti. La gestione dei beni oggetto dell’Atto qui in esame è svolta dalla società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ in forza della ‘Convenzione (….) stipulata in data 22 aprile 2011 tra la stessa società e la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE). Secondo quanto stabilito dall’art. 5 della Convenzione ‘RAGIONE_SOCIALE‘ si impegna a corrispondere ad RAGIONE_SOCIALE, un importo corrispondente alla rata annua di rimborso degli interessi per gli impianti finanziati (…).»
Riferisce, ancora, la ricorrente che, nell’atto di appello, le contribuenti avevano pure dichiarato che la società RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito di un complesso processo di riorganizzazione, aveva ceduto ad RAGIONE_SOCIALE, con atto registrato del 30 giugno 2011, il ramo d’azienda del servizio idrico e che la cessionaria era controllata al 60% da RAGIONE_SOCIALE, per garantire la continuità di tutti rapporti in essere.
Evidenzia, infine, la ricorrente che l’Ufficio, in tale contesto di informazioni raccolte, aveva dato rilievo, ai fini della qualificazione dell’atto controllato ed in applicazione del novellato art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, alla circostanza che nell’atto di compravendita «le parti si danno reciprocamente atto del fatto che le reti e impianti oggetto del presente trasferimento sono già affidati in gestione a RAGIONE_SOCIALE (…)», operante tramite la controllata RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima cessionaria del ramo d’azienda della società RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza della CTR, benché non si soffermi specificamente su tali vicende, esclude – correttamente – la possibilità di una valorizzazione di elementi estranei al contenuto dell’atto controllato dall’Ufficio, non essendo neppure superabile la distinta soggettività di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, attraverso il mero strumento interpretativo offerto dall’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, perché quanto viene riportato nel rogito di compravendita non costituisce, contrariamente a quanto ritenuto dall’RAGIONE_SOCIALE, un sufficiente nesso testuale tra gli elementi che precedono e l’atto medesimo.
L’attività qualificatoria dell’Amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico (vendita di singoli beni mobili ed immobili) nel quale l’atto risulta inquadrabile, mediante l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta dai contraenti, nella specie RAGIONE_SOCIALE) e, per di più, comportante effetti giuridici
significativamente differenti, soltanto in ragione, per quanto è dato leggere nel ricorso dell’RAGIONE_SOCIALE, del risultato concreto perseguito dalla parti («causa reale») emergente dall’anodino – e quindi non decisivo – riferimento nel rogito di compravendita all’attività di gestione, da parte della cessionaria RAGIONE_SOCIALE, di reti ed impianti oggetto del trasferimento.
Come, infatti, è stato osservato dalla Consulta, nel ribadire la natura di imposta d’atto dell’imposta di registro, non si deve ricercare un presunto effetto economico dell’atto, tanto più se, come nel caso di specie, lo stesso è il medesimo di quello giuridico del negozio tipico (compravendita) prescelto, atteso che l’Ufficio non indica nell’avviso impugnato quali sarebbero gli elementi del regolamento negoziale adottato dalle parti che ne avrebbero immutato la sostanza, facendone scaturire effetti giuridici diversi ed ‘equivalenti’ a quelli del trasferimento d’azienda (v. artt. 2556 e ss.gg. cod. civ.) e, quindi, suscettibili di una differente e più onerosa imposizione tributaria.
La preclusione alla valutazione di elementi extratestuali, conseguente alla ricordata riformulazione dell’art. 20, cit., ad opera della I. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87 (v. Corte Cost., sent. n. 158/2020 e sent. n. 39/2021), opera sul piano della qualificazione giuridica dell’atto sottoposto a registrazione e sulla sua sussunzione in taluno degli atti tipici prefigurati dalla disciplina sostanziale del tributo.
Viene così in rilievo, nella fattispecie esaminata, la questione del superamento dei limiti della qualificazione contrattuale dell’atto, ove operata sulla base (anche) di elementi extratestuali ed in una considerazione (unitaria) di negozi (formalmente) distinti ma da considerare collegati.
Non si tratta, infatti, di interpretazione negoziale tutta interna all’atto da tassare, incentrata cioè sugli elementi identificativi dell’oggetto contrattuale, ma, piuttosto, di operazione ermeneutica più complessa, effettuata – per quanto è dato leggere nel trascritto avviso di accertamento – con specifico riferimento ad elementi extratestuali emergenti dall’accertamento operato dall’Amministrazione sull’attività di RAGIONE_SOCIALE, quali per l’appunto l’impiego dei beni oggetto dell’atto e la stessa disciplina del «RAGIONE_SOCIALE», come da «’Convenzione regolante la presa in carico della gestione
dei beni e dei finanziamenti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ stipulata in data 22 Aprile 2011 tra la stessa società e la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (già RAGIONE_SOCIALE).» In conclusione, il ricorso erariale va respinto.
Non si ravvisano, dopo gli interventi del legislatore e le richiamate pronunce della Consulta, ragioni per la compensazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che in ossequio al principio della soccombenza (art. 91 cod.proc.civ.) seguono la soccombenza della parte ricorrente e sono liquidate in dispositivo.
Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione nei confronti RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778/2016).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio che liquida in euro 7.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2022.