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Art. 20 dPR 131/1986: Limiti alla Riqualificazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5703/2024, ha stabilito che, ai fini dell’imposta di registro, la tassazione deve basarsi esclusivamente sul contenuto dell’atto presentato per la registrazione. In applicazione del novellato art. 20 dPR 131/1986, non è possibile per l’Agenzia delle Entrate riqualificare una complessa operazione societaria (conferimento di ramo d’azienda seguito da cessione di quote) in una cessione d’azienda, basandosi su elementi extratestuali o sul collegamento negoziale. La Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, confermando che l’imposta di registro ha natura di ‘imposta d’atto’ e che eventuali contestazioni di abuso del diritto devono seguire le garanzie procedurali dell’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

L’Art. 20 dPR 131/1986 e l’imposta di registro: stop alla riqualificazione basata sulla sostanza economica

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di imposta di registro, ponendo chiari limiti al potere dell’Amministrazione Finanziaria di riqualificare gli atti giuridici. La controversia ruotava attorno all’interpretazione dell’art. 20 dPR 131/1986, una norma al centro di un lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale. La Suprema Corte ha chiarito che la tassazione deve fondarsi sulla natura del singolo atto presentato a registrazione, senza poter considerare l’operazione economica complessiva in cui si inserisce. Questa decisione offre maggiore certezza giuridica ai contribuenti nelle operazioni di riorganizzazione aziendale.

I Fatti di Causa: una Complessa Operazione Societaria

Il caso esaminato riguardava una strutturata operazione societaria. Una società, unico socio di un’altra, aveva prima conferito un ramo d’azienda (dedicato alla gestione di hotel) in una società di nuova costituzione, attraverso un aumento di capitale. Successivamente, la stessa società conferente aveva ceduto l’intera partecipazione detenuta nella neocostituita società a un terzo acquirente.

L’Agenzia delle Entrate, analizzando la sequenza negoziale, aveva ritenuto che l’insieme delle operazioni costituisse, nella sua sostanza economica, un’unica cessione di ramo d’azienda. Di conseguenza, aveva proceduto a una riqualificazione ai sensi dell’art. 20 dPR 131/1986, applicando la più onerosa imposta di registro prevista per la cessione d’azienda invece di quella applicabile alla cessione di quote.

L’interpretazione dell’Art. 20 dPR 131/1986: Atto vs. Operazione Economica

La questione centrale era se l’Agenzia potesse superare la forma giuridica dei singoli atti (conferimento e successiva cessione di quote) per tassare l’effetto economico finale (il trasferimento del controllo sul ramo d’azienda). Secondo i contribuenti, le modifiche legislative intervenute sull’art. 20 dPR 131/1986 avevano lo scopo preciso di ancorare l’imposizione alla natura intrinseca dell’atto registrato, escludendo valutazioni su elementi esterni o atti collegati.

L’Amministrazione Finanziaria sosteneva invece una lettura sostanzialistica, affermando che il collegamento funzionale tra i negozi giustificasse la loro riqualificazione in un’unica operazione di cessione aziendale. La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione ai contribuenti, e l’Agenzia aveva quindi proposto ricorso per cassazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, offrendo motivazioni chiare e in linea con i recenti orientamenti della Corte Costituzionale.

1. Natura di ‘Imposta d’Atto’: La Suprema Corte ha ribadito che l’imposta di registro è un'”imposta d’atto”. Ciò significa che l’oggetto dell’imposizione sono gli effetti giuridici prodotti dal singolo negozio presentato per la registrazione. Il legislatore, con le riforme del 2017 e 2018 (aventi valore retroattivo), ha inteso riaffermare questo principio, stabilendo che l’interpretazione ai fini fiscali deve avvenire “solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali”.

2. Distinzione con l’Abuso del Diritto: La Corte ha tracciato una netta distinzione tra l’attività interpretativa ai sensi dell’art. 20 e la contestazione di un’operazione elusiva ai sensi dell’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000). Se l’Amministrazione intende contestare un “indebito vantaggio fiscale” derivante da un’operazione “priva di sostanza economica”, deve utilizzare lo strumento dell’abuso del diritto. Tale procedura, a differenza della semplice riqualificazione, prevede specifiche garanzie per il contribuente, come il contraddittorio endoprocedimentale. Confondere i due istituti significherebbe permettere all’Ufficio di aggirare tali garanzie.

3. Volontà del Legislatore: La Cassazione ha evidenziato come la relazione illustrativa alla legge di riforma specificasse chiaramente l’intento di impedire che operazioni come la “cessione totalitaria di quote” potessero essere assimilate a una “cessione di azienda”. Pertanto, tassare una cessione di quote come una cessione d’azienda sulla base di un presunto errore di identità di effetti giuridici è errato, poiché la prima attribuisce un diritto personale di partecipazione societaria, mentre la seconda trasferisce un diritto reale sul patrimonio.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento fondamentale per la pianificazione fiscale e le operazioni di M&A. La decisione conferma che i contribuenti possono strutturare le proprie operazioni scegliendo gli strumenti giuridici legalmente disponibili, senza temere che l’Amministrazione Finanziaria possa riqualificarle sulla base di una valutazione discrezionale della loro “sostanza economica”. La lotta all’elusione fiscale deve passare attraverso gli strumenti specifici previsti dalla legge, come l’art. 10-bis, che tutelano il diritto di difesa del contribuente. Viene così rafforzata la certezza del diritto, un pilastro essenziale per la prevedibilità dei carichi fiscali e per la fiducia degli operatori economici nel sistema giuridico.

L’Agenzia delle Entrate può riqualificare una cessione di quote in una cessione d’azienda basandosi sull’effetto economico complessivo dell’operazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, a seguito delle modifiche all’art. 20 dPR 131/1986, la tassazione deve basarsi esclusivamente sul contenuto e sugli effetti giuridici del singolo atto presentato per la registrazione, senza considerare elementi esterni o atti collegati.

Qual è la differenza tra la riqualificazione secondo l’art. 20 dPR 131/1986 e la contestazione per abuso del diritto?
La riqualificazione ai sensi dell’art. 20 riguarda l’interpretazione della natura giuridica del singolo atto. L’abuso del diritto, disciplinato dall’art. 10-bis L. 212/2000, contesta un’operazione che, sebbene formalmente lecita, è priva di sostanza economica e mira a ottenere vantaggi fiscali indebiti. Quest’ultima procedura richiede garanzie specifiche, come il contraddittorio preventivo, che non sono previste per la semplice interpretazione dell’atto.

La cessione della totalità delle quote di una società equivale a una cessione d’azienda ai fini dell’imposta di registro?
No. La Corte ha ribadito che le due operazioni non sono giuridicamente coincidenti. La cessione di quote trasferisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, mentre la cessione d’azienda trasferisce un diritto reale sul patrimonio societario. Pertanto, non possono essere assimilate ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro in base al novellato art. 20.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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