Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33817 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33817 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
Oggetto: cartella di paga- mento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26855/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL, elettivamente domiciliata presso lo studio del l’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore
pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti – avverso la sentenza n.1962/9/2017 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio depositata il 6.4.2017, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del l’8 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza n. 1962/9/2017 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE ora in liquidazione, avverso la sentenza n. 3688/11/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di rigetto del ricorso introduttivo contro la cartella di pagamento n.09720130293075363 emessa per IVA 2008.
Il giudice di prime cure stabiliva che la ricorrente nel dolersi della tardività della notifica dell’atto avesse confuso la cartella impugnata con altra, non emessa a seguito di controllo formale. Al contrario, l’atto impugnato era stato tempestivamente notificato dall’agente della riscossione alla contribuente per un credito vantato da ll’Agenzia delle Entrate, ed era stata emessa, a seguito di concessa rateizzazione del debito, per il mancato versamento di parte delle rate.
Il giudice d’appello nella parte motiva della sentenza riteneva inammissibile il gravame – benché il dispositivo fosse poi di rigetto -, per violazione del divieto di domande ed eccezioni nuove, ex art. 57 del d.lgs. 546/1992. La sentenza stabiliva che la contestazione attinente alla decadenza per violazione del termine, decorrente dall’omesso pagamento di una delle rate da parte della contribuente ammessa alla rateazione, ex art. 3-bis, comma 5, d.lgs. 462/1997, non era stata ritualmente introdotta nel giudizio di primo grado, e non era
ammissibile proporre la questione per la prima vota in appello, per il divieto di cui all’art. 57 cit.
Propone ricorso la contribuente, affidato ad un unico motivo, cui replicano l’Agenzia delle Entrate e l’agente della riscossione con un unico controricorso.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., viene censurata la sentenza di appello, per violazione ed errata applicazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992, avendo dichiarato inammissibile l ‘ appello per violazione del divieto di domande ed eccezioni nuove senza considerare il carattere devolutivo pieno dell’atto di appello, con cui era stato sottoposto all’attenzione del giudice non un limitato controllo di vizi specifici, bensì il riesame della causa nel merito.
La ricorrente invoca che il fatto posto a base dell’originario ricorso innanzi alla CTP e poi successivamente riproposto innanzi alla CTR è sempre stato uno solo, ossia la notifica oltre il termine decadenziale della cartella di pagamento avvenuta in data 17.07.2014.
Pertanto, si legge a p.3 del ricorso «le due Commissioni già adite dalla ricorrente – quella Provinciale e quella Regionale – hanno entrambe confuso l’oggetto della domanda avanzata, e cioè l’accertamento e conseguente declaratoria che il termine – decadenziale entro il quale l’Amministrazione Finanziaria avrebbe dovuto notificare l’unica cartella di pagamento emessa -la n° NUMERO_DOCUMENTO – era inutilmente spirato secondo quanto ampiamente chiarito già nell’originario ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale».
Il motivo è inammissibile.
2.1. La complessiva prospettazione di parte dedotta nell’unica censura proposta dalla ricorrente, che invoca il paradigma de ll’art.360,
primo comma, n.3, cod. proc. civ., si pone in contrasto con l’ interpretazione giurisprudenziale costante che circoscrive i limiti in cui può essere proposta la violazione di legge. In tema di ricorso per cassazione, questa Corte ha stabilito (cfr. Cass. 30 dicembre 2015 n. 26110) che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa. Viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta da parte del giudice, mediante le risultanze di causa, e la stessa identificazione del contenuto della domanda giudiziale, ineriscono alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione.
2.2. Va al proposito rammentato il consolidato orientamento di questa Corte (tra varie, v. Cass. 8 agosto 2006, n. 17947 e 21 febbraio 2014, n. 4205), in base al quale l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione. A tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (cfr. Cass. Sez. Un, Sentenza n. 27435 del 2017).
2.3. Non vi sono ragioni per discostarsi nel caso in esame dai principi di diritto che precedono. L ‘unico motivo di ricorso contesta l’inter-
pretazione operata dalla CTR riguardo al contenuto e all’interpretazione delle censure dedotte n ell’appello e, a tal fine, doveva essere proposto un motivo di ricorso per cassazione recante una censura motivazionale e sempre sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione adoperata dal giudice.
3. Il ricorso è perciò inammissibile. Le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza tenuto conto che Agenzia delle Entrate ed agente della riscossione si sono difesi con un unico controricorso.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore delle controricorrenti in solido, liquidate in complessivi euro 4.300,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 8.11.2024