Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8690 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8690 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11134/2021 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CALABRIA n. 2563/2020 depositata il 19/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 02/05/2013 la Società Equitalia notificava all’odierno ricorrente NOME COGNOME la cartella di pagamento n. 133 2013 0003410544, relativa all’anno 2009 ed avente ad oggetto il recupero della somma complessiva di euro 59.899,89 a titolo di mancato pagamento IVA. A seguito del ricorso proposto dal contribuente, la CTP di Crotone dichiarava l’estinzione del procedimento per rinuncia della parte attrice. Avverso tale decisione, l’odierno ricorrente proponeva ricorso presso la CTR di Catanzaro che dichiarava l’appello inammissibile. Il ricorso per cassazione del contribuente è affidato a quattro motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta l’inesistenza giuridica della notifica effettuata a mezzo del servizio postale per violazione, nonché falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 148 e 149 c.p.c. e di cui all’art. 3 della l. n. 890/1982. In particolare, il ricorrente ritiene viziata la procedura di notificazione della cartella di pagamento in quanto la relazione di notificazione risulta mancante dell’indicazione dell’ufficio postale, del nome e della firma del soggetto responsabile.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 2 e 61, D.lgs n. 546/1992 per aver la CTR omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento e di argomentare in ordine alle ragioni specifiche per le quali ha ritenuto di dover accogliere il ricorso dell’Ufficio. Specificatamente, la CTR avrebbe omesso di effettuare
un’autonoma e critica valutazione in relazione alle censure formulate dal contribuente.
Con il terzo motivo di ricorso si evidenzia il difetto di motivazione della sentenza impugnata, per aver la CTR omesso di esporre i motivi a sostegno della dichiarazione di estinzione del procedimento. Rileva il ricorrente l’inesistenza della presunta rinuncia al ricorso da parte dello stesso.
Con il quarto motivo si contesta la condanna del contribuente al pagamento delle spese processuali.
Osserva il Collegio che il ricorso è travolto da un’intrinseca inammissibilità, dal momento che non è in alcun modo aggredita la ratio decidendi della sentenza d’appello, incentrata sulla mancata specificità dei motivi d’appello, profilo che resta obliterato e negletto in sede di impugnazione per cassazione.
Mette in conto rilevare che in tema di impugnazioni, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su una sola ragione, logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di essa determina l’inammissibilità, per difetto d’interesse, dei motivi di gravame proposti avverso le questioni di merito assorbite implicitamente assorbite dal contenuto della statuizione in rito. L’eventuale e ipotetica fondatezza delle censure di merito non inciderebbe sulla “ratio decidendi” non censurata, onde la sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa.
La CTR ha accertato in concreto che il gravame di merito era costruito mediante un ‘ generico rinvio alle difese esposte nel ricorso di primo grado ‘, che l’appellante non si era curato neppure di ‘ trascrivere e riportare ‘; il giudice d’appello ha soggiunto che l’appello mostrava una ‘ carenza degli elementi minimi ‘.
Tale accertamento costituisce l’esclusiva ratio decidendi , idonea da sola a sorreggere in rito la motivazione della sentenza impugnata,
donde l’inammissibilità degli altri motivi incentrati su questioni logicamente subordinate rispetto a quella decisa.
Una volta stabilito il deficit dell’atto processuale che dava impulso al giudizio d’appello, rimane assorbita ogni questione di merito, che presuppone comunque l’ammissibilità dell’impugnazione.
Giova, peraltro, soggiungere che il primo motivo manca di specificità -autosufficienza perché non è nemmeno riportato lo stralcio della notificazione avversata col mezzo di censura, quindi il profilo di censura rimane imperscrutabile. In tema di notificazione a mezzo del servizio postale della cartella esattoriale emessa per la riscossione di imposte o sanzioni amministrative, la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario (nella specie, il portiere), senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, rispondendo tale soluzione al disposto di cui all’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che prescrive l’onere per l’esattore di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione di notifica o l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta (v. ex multis Cass. n. 16949 del 2014; Cass. n. 14327 del 2009, Cass. n. 14105 del 2000).
Il secondo motivo e del terzo motivo adombrano, dal canto loro, un insussistente difetto di motivazione, posto che dalla trama argomentativa esposta dal giudice d’appello ben si coglie la ratio decidendi al fondo della statuizione, che attiene alla carenza di specificità delle censure avanzate nel giudizio di merito. Le censure, peraltro, non sono riportate nel corpo del ricorso per cassazione, sicché i due mezzi di ricorso impingono anche in una vistosa lacuna in punto di specificità e autosufficienza.
Il quarto motivo s’infrange anche sul principio affermato da questa Corte alla cui stregua in tema di contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art.15, comma 2 bis, , la liquidazione delle spese che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato” (Cass. 24675 del 2011; più di recente v. Cass. n. 27634 del 2021; Cass. n. 1019 del 2024). La determinazione degli onorari di avvocato e degli (onorari) e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando sia stato l’interessato stesso a specificare le singole voci della tariffa che assume essere state violate (v. Cass. n. 18238 del 2015; Cass. n. 10350 del 1993).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura esplicitata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/01/2025.