Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32405 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32405 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 7120/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, con sede legale in Roma, al INDIRIZZO 00198, in persona del suo procuratore speciale (giusta procura per notar Atlante rep. 65104, racc. 33786, del 17 marzo 2022, registrata il 21 marzo 2022) e rappresentante Dott.ssa NOME COGNOME nata a La Spezia (SP) il 15.05.1969 (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli Avv.ti NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; indirizzo posta pec: EMAIL; fax: NUMERO_TELEFONO) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; indirizzo posta pec: EMAIL; fax: NUMERO_TELEFONO, entrambi
Avviso accertamento Tosap – Inammissibilità appello -Violazione principio sintenticità espositiva
del foro di Roma, in forza di procura speciale allegata al ricorso, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio ‘RAGIONE_SOCIALE‘, in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Comune di Rocchetta a Volturno (C.F.: P_IVA e P.IVA: P_IVA, con sede in Rocchetta a Volturno (IS), alla INDIRIZZO 86070, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso, in virtù della delibera di Giunta comunale n. 48 del 20.07.2017 e della determinazione comunale di Rocchetta a Volturno n. 129 del 14.09.2017, come da mandato in calce al controricors o, dall’ Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, ed elettivamente domiciliato digitalmente con il seguente indirizzo pec: (fax: NUMERO_TELEFONO
indirizzo pec: EMAIL);
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 283/1/2023 emessa dalla CTR Molise in data 13/10/2023 e notificata il 17/01/2024;
udite le conclusioni orali rassegnate dal P.G. Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimen to del ricorso;
uditi i difensori delle parti.
Ritenuto in fatto
1. L’RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la sentenza n. 196/2021, pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Isernia il 16.6.2021, che aveva accolto parzialmente (limitatamente alla corretta irrogazione delle sanzioni, stabilendo l’applicazione della sanzione del 30% in luogo di quella applicata del 100%) il ricorso da essa proposto avverso l’avviso di accertamento n. 5206 emesso dal Comune di Rocchetta al Volturno per l’anno di imposta 2019, con cui le era stata contestata l’omessa denuncia della tassa di occupazione spazi ed aree pubbliche (‘TOSAP’) in relazione ad alcune opere di sua proprietà insistenti nel territorio del predetto Comune.
La CTR del Molise dichiarava inammissibile l’appello, evidenziando che lo stesso, composto di 96 pagine, alle quali andavano ad aggiungersi ulteriori 16 pagine di memorie illustrative, risultava essere lungo, prolisso, ripetitivo e non consentiva di focalizzare le censure proposte avverso la pronuncia di prime cure impugnata, contenendo altresì una serie di riferimenti -peraltro non conferenti – a principi e giurisprudenza che non consentivano la precisa individuazione del tema dell’impugnazione, e che l’appellante si era limitato a riproporre pedissequamente i medesimi argomenti già ampiamente affrontati nel corso del giudizio di primo grado, seppure riformulati sotto forma di critica alla decisione impugnata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di un unico, articolato motivo. Il Comune di Rocchetta al Volturno ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza pubblica entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato in diritto
Con l’unico motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 121 c.p.c., richiamato dall’art. 2, d.lgs. n. 546/1992, 53 d.lgs. n. 546/1992 e 111 Cost., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per aver la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Molise dichiarato inammissibile il suo appello, nonostante l’atto fosse perfettamente intellegibile consentendo di cogliere in modo chiaro e preciso le censure mosse alla sentenza di primo grado e senza considerare che la sanzione processuale comminata vìola i principi più volti espressi dalla Suprema Corte in tema di: (i) interpretazione restrittiva delle ipotesi di inammissibilità; (ii) violazione del principio di legalità, in quanto sanzione non espressamente prevista da alcuna disposizione normativa.
1.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte -anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 1° ottobre 2022, n. 149 (non applicabile al presente giudizio ratione temporis , a norma del suo art. 35, comma 1, risultando l’atto di appello del quale si discute antecedente alla suddetta data) -ha affermato la cogenza del principio di
chiarezza e sinteticità degli atti processuali.
Esso, infatti, è stato qualificato come ‘principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile’ (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 20 gennaio 2016, n. 21297; in senso conforme Cass. Sez. 5, ord. 21 marzo 2019, n. 8009, e Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 23397 del 2024).
Pertanto, la novella dell’art. 121 c.p.c. (dovuta al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149; c.d. “Riforma Cartabia”), che ha integrato la rubrica della norma, aggiungendo, appunto, le parole ‘Chiarezza e sinteticità degli atti’, e ha aggiunto il periodo <>, ha solo consacrato, sul piano normativo, un principio che era già condiviso in seno alla giurisprudenza di legittimità.
Tale previsione si pone sulla scia di un percorso già da tempo cristallizzato nel processo amministrativo -sia pure con elementi di rilevante diversità-, nel quale la codificazione di regole relative alla redazione sintetica degli atti è stata introdotta dapprima con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 25.5.2015 ( in attuazione di quanto previsto dall’art. 120, comma 6, c.p.a.), e poi dall’art. 7 bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, il quale, introducendo l’art. 13 -ter delle disposizioni di attuazione del c.p.a., ha espressamente previsto, al comma 5, che <>. È evidente, allora, come la scelta operata nel processo amministrativo sia stata, inequivocamente, quella di prevedere una specifica sanzione processuale collegata alla inosservanza delle disposizioni afferenti ai limiti e ai criteri per la redazione degli atti di parte, e ciò sia consentendo al giudice amministrativo di non esaminare il contenuto degli atti difensivi eccedenti i limiti individuati nel modello adottato con decreto del Presidente
del Consiglio di Stato, sia prevedendo che il mancato esame delle questioni ivi rappresentate non costituisce motivo di impugnazione.
Nel senso che la violazione delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico degli atti di parte, nonché dei criteri e dei limiti di redazione degli stessi, non comporta la loro invalidità, fermo restando che siffatta violazione può essere valutata dal giudice ai fini della decisione sulle spese di lite, si è espressa, invero, anche questa Corte che, con una recente pronuncia (Cass., Sez. II, Ord., 16 marzo 2023, n. 7600), ha ribadito l’assenza, nel processo civile, di una specifica sanzione per la mancata sinteticità degli atti di parte. In tal senso ha chiarito che <> (cfr. altresì Cass., Sez. 5, Ord. n. 8009 del 2019).
Già in precedenza le Sezioni Unite (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 37552 del 30/11/2021; conf. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21297 del 20/10/2016 e Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4300 del 13/02/2023) avevano chiarito che il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi
l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.
E che i recenti interventi normativi si collochino sulla medesima falsariga delle disposizioni già vigenti al tempo in cui è stato redatto l’appello dichiarato inammissibile nell’odierno giudizio, emerge anche dal decreto n. 28521 del 6 novembre 2024, col quale la Prima Presidente della Corte di cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del rinvio pregiudiziale, promosso dalla Corte d’appello di Roma ai fini della valutazione «sulla correttezza della opzione ermeneutica che, assumendo come parametro di riferimento quello stabilito nel D.M. sopracitato , ritiene la violazione del canone di sinteticità sanzionabile con l’inammissibilità del ricorso».
La Prima Presidente ha, a tal fine, evidenziato che: <>.
L ‘art. 46 disp. att. c.p.c. (come così modificato dall’art. 4, comma 3, lett. b), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, c.d. riforma Cartabia), per quanto non applicabile ratione temporis nel testo novellato , stabilisce, al primo comma, che <>
Al quarto comma prevede che <>.
Il quinto comma, per quanto qui rileva, stabilisce, infine, che <>
In attuazione di quanto disposto dall’art. 46 disp. att. c.p.c, il Ministro della Giustizia ha adottato uno schema di decreto -cui ha fatto seguito il parere del Consiglio Superiore della Magistratura e del Consiglio Nazionale Forense, mentre si è in attesa del parere del Consiglio di Stato -recante ‘Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo’.
In particolare, per quanto qui rileva, l’art. 3 del regolamento dispone che, con riguardo all’atto di citazione, al ricorso, alla comparsa di risposta e alla memoria difensiva, agli atti di intervento, all’atto di chiamata in causa del terzo, alla comparsa conclusionale, nonché agli atti introduttivi dei giudizi di impugnazione, il limite dimensionale massimo (nel cui computo, in ogni caso, non si tiene conto degli spazi) è di 50.000 caratteri (corrispondenti approssimativamente a 25 pagine nel formato di c ui all’art. 6); con riguardo alle memorie, alle repliche e in genere a tutti gli altri atti del giudizio, detto limite è di 25.000 caratteri (corrispondenti approssimativamente a 13 pagine nel formato di cui all’art. 6); da ultimo, è di 4.000 caratteri (co rrispondenti approssimativamente a 2 pagine nel formato di cui all’art. 6) per le note di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c..
In base all’art. 5, i limiti dettati dall’art. 3 possono essere, in ogni caso, superati se la controversia presenta questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti: in tal caso, il difensore deve esporre sinteticamente nell’atto le ragioni per le quali si è reso necessario il superamento dei limiti stessi.
È stato, dunque, confermato il principio secondo cui, in via generale, la deroga ai limiti dimensionali da rispettare in sede di redazione degli atti di parte è rimessa alla valutazione esclusiva e soggettiva del difensore (allorquando, come detto, la controversia presenti questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti), e ciò ancorché, con il parere del 7 giugno 2023, il Consiglio Superiore della Magistratura avesse
sottolineato la necessità (così come previsto, per il processo amministrativo, nel decreto del Presidente del Consiglio di Stato attuativo dell’art. 13 -ter disp. att. c.p.a.) che fosse il giudice ad autorizzare preventivamente siffatta deroga.
Pertanto, in linea con quanto stabilito nell’art. 1, comma 17, lett. e), della legge delega n. 206 del 2021, l’art. 46 disp. att. c.p.c. espressamente ha invece ribadito che la violazione delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico degli atti di parte, nonché dei criteri e dei limiti di redazione degli stessi, non comporta la loro invalidità, fermo restando che siffatta violazione può essere valutata dal giudice ai fini della decisione sulle spese di lite; allo stato, dunque – e ciò cos tituisce un punto fermo dell’intero impianto della novella del 2021 -, la mancanza di sinteticità degli atti di parte non è specificamente sanzionata, nel processo civile, sotto il profilo della loro validità e/o della loro inammissibilità.
1.3. In questo contesto anche diacronico occorre evitare un approccio eccessivamente puntiglioso, contrastante con il diritto di accesso pratico ed effettivo alle impugnazioni. L’eccessiva lunghezza e una certa farraginosità dell’appello non ne comportano l’inammissibilità tutte le volte che l’interpretazione complessiva dell’atto consenta, comunque, di comprendere agevolmente lo svolgimento della vicenda processuale e di individuare con chiarezza la portata delle censure rivolte alla sentenza impugnata. L’ essenza della sinteticità, prescritta dal codice di rito, non risiede, infatti, nel numero delle pagine o delle righe in ogni pagina, ma nella proporzione tra la molteplicità e la complessità delle questioni dibattute e l’ampiezza dell’atto che le veicola (Cons. Stato, sez. III, 12 giugno 2015, n. 2900).
La giurisprudenza formatasi di recente dalla Corte di Strasburgo in merito al criterio di autosufficienza è in linea con tale impostazione e consente di desumere alcuni principi che sono valevoli anche circa il c.d. principio di sinteticità, sia perché talora ha toccato incidentalmente tale profilo sia perché si è pronunciata sulla possibilità degli ordinamenti di imporre restrizioni formali all’accesso alla giustizia nel grado di legittimità. In specie,
la Corte di Strasburgo, con la nota sentenza 28 ottobre 2021 (COGNOME RAGIONE_SOCIALE), dopo aver anche richiamato l’art. 3 c.p.a. – secondo il quale il giudice e le parti devono redigere gli atti del procedimento in modo chiaro e preciso -ha ricordato, per quanto qui rileva, che la declaratoria di inammissibilità di un ricorso in cassazione non deve intaccare la sostanza del diritto del ricorrente di accedere ad un tribunale e che, affinché ciò non accada, occorre che le restrizioni imposte per il ricorso per cassazione perseguano uno scopo legittimo e siano proporzionate a detto scopo.
1.4. Orbene, nel caso di specie, benché fosse caratterizzato da una non necessaria lunghezza, alla luce degli stralci dell’atto di appello trascritti dal la ricorrente alle pagine da 18 a 22 del ricorso per cassazione, non si era in presenza di una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o che pregiudicasse l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata.
Invero, il testo dell’appello permetteva di cogliere e di comprendere il sorgere e il dipanarsi del processo dinanzi al giudice di primo grado e di avere contezza del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di impugnazione contro di essa rivolti.
In particolare, la società:
-con il primo motivo di appello ha eccepito che nell’avviso di accertamento erano, a suo dire, del tutto assenti le ragioni giuridiche e fattuali poste alla base della pretesa impositiva avanzata dal Comune, non avendo quest’ultimo indicato la normativa di riferimento, i criteri seguiti per individuare la tariffa applicata al metro quadrato e se fossero state applicate o meno eventuali norme agevolative astrattamente spettanti alla società;
-con il secondo motivo di gravame ha rilevato che il Comune non aveva fornito alcuna prova circa la correttezza e congruità della pretesa e non aveva allegato le fonti normative primarie e secondarie a supporto: (i) della legittimità della pretesa; (ii) della riconducibilità dell’area al patrimonio indisponibile del Comune;
-con il terzo motivo ha evidenziato che l’evoluzione normativa in tema TOSAP (come integrata dalla normativa sul Canone per l’Occupazione
di Spazi ed Aree Pubbliche, ‘COSAP’) ricomprendeva tra i soggetti beneficiari del regime differenziato anche le aziende che svolgono attività strumentale a quella di erogazione di pubblici servizi e che, ai fini della qualificazione dell’attività svolta da un soggetto giuridico, è irrilevante la veste formale utilizzata dal soggetto stesso, rilevando, al contrario, il sostanziale perseguimento di finalità di interesse pubblico’;
-con il quarto motivo di appello ha dedotto che ‘il presupposto impositivo TOSAP sussiste: (i) per le occupazioni su terreni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province; (ii) in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico’;
-con i motivi dal quinto al nono ha eccepito l’illegittimità delle sanzioni irrogate, rispettivamente, per intervenuta decadenza ex artt. 1, comma 161, l. n. 296/2006 e 51, comma 3, d.lgs. n. 507/1993, per carenza del requisito soggettivo, per la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata applicativa della normativa di interesse e per la mancata applicazione dell’istituto del cumulo giuridico.
D’altra parte, le ipotesi di inammissibilità del ricorso in appello nel giudizio tributario sono previste unicamente dall’art. 53 d.lgs. n. 546/1992 e, come tali, non possono essere interprete estensivamente. D’altronde, in tema di contenzioso tributario, anche la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, determinano l’inammissibilità dell’appello, non sono ravvisabili qualora il gravame contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni; ciò in quanto l’articolo cit. deve essere interpretato restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi
pertanto consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20379 del 24/08/2017; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 15519 del 21/07/2020; cfr. altresì Cass., Sez. 5, Sentenza n. 707 del 15/01/2019).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso merita di essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise in differente composizione.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della