Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23500 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 23500 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2024
dell’avviso di rettifica emesso dall’Ufficio e contestando la valutazione della Commissione nella parte in cui aveva ritenuto che il valore dei beni fosse stato autonomamente individuato dall’Ufficio e solo
successivamente confermato dalla perizia di parte, laddove diversa risultava la scansione temporale di detti eventi, in quanto l’Ufficio aveva dapprima acquisito il predetto elaborato e poi, motivando l’atto sui suoi contenuti, aveva emesso l’avviso di rettifica e liquidazione, senza però allegare all’atto impositivo la relativa perizia, con conseguente nullità dello stesso, non valendo l’esimente di cui al d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 della riproduzione dell’atto del contenuto essenziale di quello richiamato.
Con la seconda doglianza la contribuente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 36, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 132 cod. proc. civ., lamentando la sussistenza di una motivazione apparente e contraddittoria, siccome basata su di una « presunta valenza probatoria a dei dati di un ‘altro atto’ (ndr. la citata perizia) che essa stessa implicitamente dichiara di non aver potuto visionare per poi affermare al successivo capoverso che il valore della cessione era ‘obbiettivamente’ dimostrato dalla succitata perizia» (v. pagina n. 17 del ricorso), con ciò quindi fondando la decisione su di un presupposto che non aveva potuto valutare.
Con la terza censura la ricorrente ha eccepito, con riferimento al parametro di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla circostanza che «La sentenza è stata emessa sulla base di un fatto (perizia) non allegato agli atti ma sul quale tuttavia il giudice del gravame ha elaborato la propria motivazione senza averlo potuto (ndr .. e .. dovuto) esaminare» (v. pagina n. 19 del ricorso), con ciò fornendo, in violazione degli artt. 36, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 132 cod. proc. civ., una motivazione del tutto apparente.
Con la quarta ragione di impugnazione la società ha denunciato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 46 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 112 cod. proc. civ., sostenendo che la Commissione avrebbe pronunciato ultra petita , avendo deciso sulle sanzioni e gli interessi, senza che l’Ufficio avesse richiesto di
annullare preventivamente la decisione del Giudice di primo grado che aveva dichiarato cessata la materia del contendere.
Il ricorso va rigettato per le seguenti ragioni.
Il primo motivo risulta inammissibile.
6.1. La difesa della ricorrente ha riferito nella parte espositiva del ricorso di aver eccepito innanzi al primo Giudice la nullità dell’avviso impugnato per mancata allegazione della perizia di parte (redatta dalla società acquirente il ramo di azienda) su cui l’Ufficio aveva fondato la rettifica di valore, precisando che la Commissione tributaria provinciale, prendendo atto del pagamento avvenuto in data 28 luglio 2017 dell’importo di 91.082,00 € a titolo di conguaglio dell’imposta di registro, a fronte di un avviso di accertamento con il quale la maggiore imposta accertata da versare ammontava a euro 87.220,00, statuiva che « ben può essere pronunciata la cessazione della materia del contendere, non avendo la società ricorrente interesse alcuno a veder riconosciuto l’accertamento della non debenza di importi che essa stessa seppur all’esito del versamento del conguaglio da parte della società acquirente, ha ritenuto esser dovuto atteso il successivo e diverso importo versato dall’acquirente del ramo di azienda» (v. pagina n. 8 del ricorso).
Con appello parziale avverso detta pronuncia, l’Ufficio contestava la valutazione del primo Giudice nella parte in cui aveva implicitamente disconosciuto la debenza RAGIONE_SOCIALE sanzioni e degli interessi liquidati dall’RAGIONE_SOCIALE con l’atto impugnato.
La società ricorrente non si costituiva nel giudizio di gravame, come dalla stessa pure evidenziato (v. pagina n. 9 del ricorso).
6.2. In tale contesto, va allora riconosciuto che le ragioni su cui si basa il motivo di impugnazione in esame, fondate sulla nullità dell’avviso di rettifica, non possono ricevere ingresso nella sede che occupa, trattandosi di domanda non più esaminabile, considerando che il mancato esame da parte della Commissione provinciale è dipeso dal suo assorbimento nella predetta decisione assunta (di cessazione della materia del contendere), senza che la domanda (di nullità dell’avviso per
difetto di motivazione) sia stata reiterata in sede di appello, stante la mancata costituzione della società.
La mancata costituzione dell’istante nel giudizio di appello non consentiva, infatti, alla Commissione regionale di scrutinare la predetta domanda non esaminata in prima istanza e non riproposta in sede di gravame, ostandovi la previsione dell’art. 56 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
L’elaborazione di questa Corte si è progressivamente consolidata nel ritenere che la disposizione dell’art. 346 cod. proc. civ. (di tenore pressochè identico all’art. 56 citato) e, quindi, la presunzione di rinuncia RAGIONE_SOCIALE domande, eccezioni (non rilevabili di ufficio, come nella specie) e questioni non riproposte opera anche per l’appellato contumace, in ragione del principio di parità RAGIONE_SOCIALE parti nel processo e dell’effetto devolutivo dell’appello, che precludono la possibilità attribuire all’appellato contumace una posizione di maggiore favore rispetto all’appellante.
In tale direzione risulta recessivo l’orientamento citato dalla ricorrente (Cass., Sez. T, 23 maggio 2001, n. 7019), giacchè secondo la successiva, consolidata, interpretazione di questa Corte, per il principio sancito dall’art. 346 cod. proc. civ., devono intendersi rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in appello, in coerenza con il carattere devolutivo dell’appello, così ponendosi appellato e appellante su un piano di parità – senza attribuire alla parte, rimasta inattiva (o addirittura estranea alla fase di appello, per essere stata contumace), una posizione sostanzialmente di maggior favore – sì da far gravare su entrambi, e non solo sull’appellante, l’onere di prospettare al giudice del gravame le questioni (domande ed eccezioni in senso stretto) risolte in senso ad essi sfavorevole, con la sola differenza che il soccombente soggiace ai vincoli di forme e di tempo previsti per l’appello, mentre la parte vittoriosa ha solo un onere di riproposizione, in difetto presumendosi che manchi un interesse alla decisione e potendosi imputare tale mancanza anche alla parte contumace (così Cass., Sez. II,
12 dicembre 2016, n. 25345, che richiama Cass., Sez. II., 6 febbraio 2014, n. 2730 e Cass., Sez. T., 18 aprile 2007, n. 9217, Cass., Sez. II., 4 maggio 2007, n. 10236; e nello stesso senso, Cass, Sez. T., 13 maggio 2003, n. 7316; Cass. Sez. L., 13 settembre 2006, n, 19555; Cass., Sez. L, 12 novembre 2007, n. 23479, Cass., Sez. L, 12 novembre 2007, n. 23489; Cass., Sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28454).
7. Il secondo motivo di impugnazione è infondato.
La motivazione della Commissione così si è sviluppata:
«In effetti le originarie obiezioni della contribuente sulle indimostrate modalità di calcolo utilizzate dall’Ufficio per stabilire il valore di cessione e sulla mancata ostensione della perizia fatta elaborare dall’acquirente sono venute meno al momento stesso in cui il prezzo è stato definitivamente concordato fra le parti in misura sostanzialmente corrispondente alla stima fatta dall’Ufficio ed è stata pagata in via suppletiva e proporzionale la relativa imposta».
«Pertanto il primo Giudice non avrebbe potuto limitarsi a dichiarare interamente cessata la materia del contendere (che poteva riguardare solo il valore in linea capitale, oggetto del supplemento di imposta poi pagato) ma doveva considerare comunque dovute le sanzioni di interessi correttamente calcolati e applicati dall’ufficio» (così nella sentenza impugnata).
La mera lettura del chiaro e lineare contenuto della decisione sopra illustrata dimostra, meglio di ogni argomentazione, l’insussistenza del dedotto vizio, risultando ben comprensibile la ratio decisoria, celando invece il motivo di impugnazione le ragioni di non condivisione della valutazione espressa, non riconducibili al parametro censorio prescelto.
Risulta infondato anche il terzo motivo di impugnazione, sol considerando che la decisione è stata assunta, ritenendo espressamente venuta meno l’obiezione sulla « mancata ostensione della perizia fatta elaborare dall’acquirente al momento stesso in cui il prezzo è stato definitivamente concordato fra le parti in misura sostanzialmente corrispondente alla stima fatta dall’Ufficio ed è stata pagata in via
suppletiva e proporzionale la relativa imposta» (così nella sentenza impugnata).
Non vi è stato, quindi, omesso esame, ma un’esplicita valutazione di irrilevanza della dedotta circostanza della mancata allegazione della perizia all’atto impugnato, il che va a rendere del tutto destituito di fondamento la censura in rassegna.
9. Parimenti infondata è la quarta censura.
Dal medesimo resoconto fornito dalla ricorrente l’RAGIONE_SOCIALE aveva proposto «Appello parziale» avverso la pronuncia di primo grado nella parte, sostenendo che essa non era « affatto condivisibile, nella parte in cui – dichiarando la cessazione della materia del contendere, a seguito del pagamento dell’imposta di registro -implicitamente disconosce la debenza RAGIONE_SOCIALE sanzioni e degli interessi richiesti con l’Avviso di rettifica e liquidazione per complessivi euro 92.900,00 (v. pagina 8 del ricorso).
Ciò significa che il motivo di appello aveva chiaramente aggredito la pronuncia di primo grado nella parte in cui non aveva ritenuto legittima l’applicazione dei predetti accessori e tale domanda non postulava come erroneamente ritiene l’istante – la proposizione della richiesta di annullare, previamente, la dichiarazione di cessazione della materia del contendere nella sua totalità, risultando chiaro dall’espresso tenore dell’art. 46 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 che il giudizio può estinguersi anche in parte in caso di cessazione della materia del contendere, quando questa, evidentemente, riguardi solo una parte della controversia, nella specie rappresentata dalla sorta capitale del debito fiscale.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
Va, infine, dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’RAGIONE_SOCIALE della somma di 5.000,00 € per competenze ed all’importo che risulterà dai registri di cancelleria prenotato a debito.
Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 aprile 2024.