Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18521 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18521 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11002/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE MUT, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO CBA RAGIONE_SOCIALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, dom.to in ROMA, alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rapp. e dif.
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’EMILIA ROMAGNA n. 1339/2022 depositata il 17/11/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/04/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 236/03/19, pronunciata il 22.03.2019 e depositata l’01.04.2019, la CTP di RAGIONE_SOCIALE respingeva il ricorso presentato da RAGIONE_SOCIALE liquidazione (in breve, ‘RAGIONE_SOCIALE‘) avverso il diniego di rimborso con cui l’RAGIONE_SOCIALE, aveva rigettato l’istanza di annullamento in autotutela dell’iscrizione a ruolo conseguente ad un pregresso avviso di accertamento diventato definitivo per difetto di tempestiva impugnazione. La sentenza compensava tra le parti le spese del giudizio. L’avviso di accertamento apparteneva ad un gruppo di cinque analoghi atti emessi dalla RAGIONE_SOCIALE che, in relazione ad una serie di importazioni eseguite da ‘MUT’, rettificava la dichiarazione doganale applicando il dazio antidumping del 66,1% e liquidando maggiori diritti doganali.
Mentre i primi quattro avvisi di accertamento (nn. 533/1/08, 533/2/08, 533/3/08, 533/4/08) venivano impugnati ed annullati dalla CTR con sentenze, passate in giudicato, che riconoscevano l’intervenuta decorrenza del termine di prescrizione, il quinto avviso di accertamento (n. 533/5/08) non veniva impugnato se non unitamente alla successiva cartella di pagamento. Con sentenza n. 182/9/11 la CTP di RAGIONE_SOCIALE, considerata la regolarità della notifica, confermava la pretesa impositiva e la contribuente presentava quindi all’RAGIONE_SOCIALE un’istanza di annullamento in autotutela e conseguente rimborso dell’importo iscritto a ruolo. A fronte del silenziodiniego serbato dall’RAGIONE_SOCIALE, il ‘MUT’ ha proposto ricorso alla CTP che veniva respinto, con la
sentenza n. 236/03/19 oggi appellata, in ragione della inoppugnabilità della pretesa essendo divenuto definitivo l’atto, nonché della non sindacabilità in sede giudiziale della discrezionalità decisione dell’A.F. in tema di autotutela.
Avverso tale pronuncia proponeva appello RAGIONE_SOCIALE liquidazione (‘MUT’), chiedendo di riformare integralmente l’impugnata sentenza e di dichiarare l’illegittimità del diniego opposto dall’RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE in relazione all’istanza di annullamento in autotutela, disponendo il rimborso dell’importo riferito all’avviso di rettifica n. 533/5/08.
L’appello del contribuente è stato rigettato.
Il contribuente affida il ricorso per cassazione a tre censure, illustrate con memoria.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si contesta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 132 c.p.c., in relazione agli artt. 360, n. 4, c.p.c., avendo il giudice di secondo grado dell’Emilia -Romagna respinto il secondo motivo di appello della contribuente circa l’esercizio del potere/dovere da parte dell’Amministrazione Finanziaria di annullare in autotutela l’atto impugnato, corredando la sentenza di una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 84 d.P.R. n. 43 del 1973 e dell’art. 2 D.M. Finanze dell’11 febbraio 1997, n. 37, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. e all’art. 62 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto la Corte di secondo grado ha erroneamente respinto il primo motivo di appello della contribuente evidenziando come l’istanza di rimborso presentata dal MUT non avrebbe potuto ‘ basarsi
sull’eccezione di prescrizione della pretesa erariale, inutile in quanto tardiva rispetto ad un atto ormai divenuto definitivo ‘.
Con il terzo motivo di ricorso si assume la violazione dell’art. 2 D.M. Finanze dell’11 febbraio 1997, n. 37, dell’art. 2 -quater D.L. n. 564 del 1994 e dell’art. 97 Cost., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. e all’art. 62 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con riferimento alla reiezione da parte della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna del secondo motivo di appello del MUT, avendo il giudice di secondo grado incongruamente evidenziato che il potere/dovere di annullamento in autotutela da parte dell’Amministrazione Finanziaria ‘ si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente ‘ e che il contrasto ‘ con il principio di capacità contributiva, con il principio per cui l’obbligazione tributaria sorge solo in presenza di un legittimo presupposto d’imposta e con il principio della leale collaborazione tra contribuente ed amministrazione ‘ non costituiscono ‘ragioni di interesse generale ‘.
Va preliminarmente rilevata la vistosa tardività, quindi l’inammissibilità del controricorso.
Su questa premessa, venendo all’esame dei motivi del ricorso, il primo di essi è infondato.
La sentenza lascia cogliere la ratio decidendi che la sorregge.
Viene in apice, allora, il principio in base al quale la sentenza è nulla solo se viziata da motivazione apparente, ciò che accade se la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta RAGIONE_SOCIALE norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. Ili,
sesto comma, della Costituzione (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 14/02/2020, n. 3819).
Il secondo motivo e il terzo motivo, suscettibili di trattazione unitaria, sono anch’essi infondati.
L’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 è suscettibile di una interpretazione estensiva, e deve essere riconosciuta al contribuente la possibilità di ricorrere, nei termini di legge, alla tutela assicurata dal giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’Ente impositore, e dunque anche in caso di provvedimenti di diniego, o comunque emessi in sede di autotutela – ancorché l’originario provvedimento sia divenuto già definitivo – ogni qual volta tali provvedimenti siano idonei ad incidere sul rapporto tributario, essendo configurabile un collegamento tra gli atti dell’Amministrazione e il rapporto tributario sottostante, privandosi altrimenti il contribuente della possibilità di invocare difesa relativamente al provvedimento di diniego di autotutela, non conseguendo ad esso alcun ulteriore atto impositivo. Occorre però subito evidenziare che la valutazione circa la sussistenza del presupposto dell’esercizio dell’autotutela dipende dal contemperamento tra l’esigenza di tutelare l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e l’interesse, altrettanto pubblicistico, alla stabilità dei rapporti giuridici e pertanto all’incontestabilità degli atti impositivi quando essi siano divenuti definitivi.
In merito si è espressa anche la Corte Costituzionale, la quale oltre a confermare la giurisprudenza di questo Giudice di legittimità secondo cui, tenuto conto del carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario, questo ‘ non costituisce un mezzo di tutela del contribuente ‘ – ha espressamente affermato che pure ‘ in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non
va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti – e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere – secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’uffici o’ (Corte cost., sent. 13.07.2017, n. 181). Ne consegue, ha statuito questa Corte di legittimità, che ‘ nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente’ ( Cass. sez. V, ord. 24.08.2018, n. 21146). La Corte di legittimità, del resto, aveva già da tempo chiarito che il contribuente, il quale richieda all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne deriva che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per allegare eventuali profili di illegittimità
del rifiuto e non per soffermarsi sulla fondatezza o meno della pretesa tributaria (Cass. sez. VI-V, 2.12.2014, n. 25524).
Il principio ricordato è stato anche confermato, statuendosi che ‘ in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo. (Nella specie, in applicazione del principio, la RAGIONE_SOCIALE ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibile l’impugnazione, da parte del contribuente, del diniego di annullamento di alcuni atti impositivi in sede di autotutela in virtù del passaggio in giudicato di una sentenza che aveva operato una ricostruzione incompatibile con quella compiuta in detti atti ormai inoppugnabili, poiché i vizi prospettati erano quelli originari, che il contribuente avrebbe potuto far valere impugnando i relativi atti) ‘ (Cass. sez. V, 28.3.2018, n. 7616). Nel formante nomofilattico è, infine, sedimentato il principio di diritto secondo cui ‘ In tema di contenzioso tributario, il sindacato del giudice sul provvedimento di diniego dell’annullamento in sede di autotutela dell’atto tributario divenuto definitivo è limitato all’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo ‘ (Cass. sez. V, 7.3.2022, n. 7318; cfr. anche Cass. sez. V, 30.11.2021, n. 37535).
Nel caso di specie la contribuente non esplicita per quale ragione ritenga che l’accoglimento RAGIONE_SOCIALE sue contestazioni, e pertanto l’annullamento -revoca-ritiro del provvedimento di diniego, avrebbe dovuto rappresentare per l’Amministrazione finanziaria una necessità, originata dall’esigenza di evitare una lesione ad un interesse di natura generale, superabile soltanto mediante la rimozione dell’atto. La contribuente muove solo censure che attengono al pregiudizio individuale che afferma di aver subito in conseguenza dell’emissione, peraltro in presenza di un proprio errore, e del mancato annullamento in autotutela, della cartella esattoriale, ma neppure allega le ragioni di interesse generale che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione finanziaria a provvedere nel senso richiesto, e la sua originaria contestazione risulta pertanto effettivamente inammissibile.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato, senza necessità di provvedere sulle spese stante l’inammissibilità del controricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 12/04/2024.