Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24533 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24533 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 1434-2017, proposto da:
DEI NOME , cf. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 1281/25/2016 della Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, depositata il 23.05.2016; udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 26 giugno 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Giudizio -Annullamento di atti impositivi in autotutela Compensazione spese
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata si evince che a COGNOME NOME furono notificati alcuni avvisi d’accertamento, da cui scaturirono due giudizi, poi riuniti in primo grado. Per il primo (RGR n. 1857/2013) la Commissione tributaria provinciale di Foggia dichiarò cessata la materia del contendere per l’annullamento di alcuni atti in autotutela ; per il secondo (RGR n. 1856/2013) dichiarò la cessazione della materia del contendere con riguardo all’avviso d’accertamento contraddistinto con i numeri finali 906/2013, dichiarando inammissibile il ricorso per il resto degli atti impositivi impugnati, e ciò per tardività del ricorso medesimo. Compensò inoltre le spese dei giudizi riuniti.
Il ricorrente propose appello con cui si dolse: 1) della compensazione delle spese, sull’assunto che l’annullamento in autotutela equivaleva a soccombenza virtuale dell’amministrazione finanziaria ; 2) della errata statuizione di inammissibilità della proposizione del ricorso per tardività dell’impugnazione dei restanti atti impositivi impugnati.
La Commissione tributaria regionale rigettò l’appello con sentenza n. 1281/25/2016. Quanto alla compensazione delle spese processuali, perché l’annullamento per autotutela di due atti impositivi per errori materiali non poteva corrispondere a soccombenza virtuale, tanto che i medesimi atti erano stati riemessi; quanto alla intempestività del ricorso avverso altri due atti impositivi, perché essi risultavano notificati alle società e al Dei in qualità di socio ai sensi dell’art. 2495 c.c. e, rispetto alla notifica, impugnati oltre i sessanta giorni.
Il ricorrente ha censurato la sentenza con due motivi, ulteriormente illustrati da memo ria difensiva depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. chiedendone la cassazione, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso. La Procura Generale della Corte di cassazione, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha depositato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Nell’adunanza camerale del 26 giugno 2025 la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art.46 del d.lgs. n.546 del 1992 anche con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c. , in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3, c.p.c.
Sostiene che la compensazione delle spese processuali con riferimento alle questioni controverse, e relative agli avvisi di accertamento che erano stati annullati in autotutela da ll’Amministrazione finanziaria , sarebbe in contrasto con i principi enucleabili dall’art. 46 , d.lgs. n. 546 del 1992, tenendo conto della pronuncia n. 274 del 2005 della Corte Costituzionale.
Il motivo è infondato. Intanto questa Corte ha enunciato il principio secondo cui, nel processo tributario, in caso di estinzione del giudizio ex art. 46, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, per cessazione della materia del contendere a seguito di annullamento in autotutela dell’atto impugnato, può essere disposta la compensazione delle spese di lite ex art. 15, comma 1, purché all’esito di una valutazione complessiva da parte del giudice, trattandosi di ipotesi diversa da quella prevista nel comma 3 dello stesso art. 46, quale conseguenza automatica di qualsiasi estinzione, e dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte cost. n. 274 del 2005 (Cass., 21 settembre 2010, n. 19947; 14 febbraio 2017, n. 3950; 29 novembre 2023, n. 33157).
D’altronde, si è anche rilevato che nel processo tributario il sopravvenuto annullamento, per qualsiasi motivo, dell’atto impugnato determina la cessazione della materia del contendere, in quanto la prosecuzione del giudizio non potrebbe comportare alcun risultato utile per il contribuente, stante l’inammissibilità, in detto processo, di pronunce di mero accertamento dell’illegittimità della pretesa erariale, senza che, peraltro, il diritto di difesa dello stesso contribuente sia violato dall’eventuale riedizione del potere da parte dell’Amministrazione finanziaria, a fronte della quale potrà essere proposta impugnazione contro il nuovo atto impositivo (Cass., 28 dicembre 2018, n. 33587).
Nel caso di specie il collegio regionale ha evidenziato che l’autoannullamento era intervenuto in autotutela per correggere un errore materiale dei due avvisi d’accertamento originariamente impugnati, provvedendo poi alla riemissione degli atti annullati, così non discostandosi dai principi di diritto enunciati in materia.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della omissione dell’ esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in quanto la commissione regionale avrebbe erroneamente condiviso le eccezioni di tardività del ricorso incidentale sollevate dall’Agenzia .
Il ricorrente sostiene, al contrario, che tali atti impositivi risultavano notificati alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché al Dei, ma nella qualità di socio ex art. 2495 c.c. (il 5.03.2013), e non a lui personalmente, e solo a partire da questa notifica si sarebbe dovuto calcolare il termine per l’impugnazione , ciò che era avvenuto nel maggio 2013, ossia quando a lui erano stati notificati i due avvisi d’accertamento personali . Solo da quel momento aveva avuto contezza degli avvisi prodromici.
Il motivo è privo di pregio perché, a parte la scarsa chiarezza espositiva della vicenda, la censura, proposta quale vizio di motivazione, senza che risulti ben comprensibile anche quale fatto storico, oggetto di discussione e decisivo per il giudizio, fosse stato trascurato dalla Commissione regionale, non si confronta con quanto esposto dal giudice d’appello, che ha evidenziato come quei due avvisi d’accertamento prodromici , indirizzati alle società, erano stati notificati al ricorrente medesimo, quale socio, ai sensi dell’art. 2495 c.c.
In realtà al ricorrente, anche in punto di diritto, non spettava alcuna notifica ‘personale’ di quegli atti prodromici, essendo dai medesimi attinto già con la notifica ex art. 2495 c.c.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione in favore della Agenzia delle entrate delle spese di causa, che si liquidano nella misura di € 13.000,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 26 giugno 2025