Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33692 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33692 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 19266/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e presso il suo studio elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO giusta procura in calce al ricorso per cassazione.
–
ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della CALABRIA, n. 1992/2023, depositata in data 11 luglio 2023, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento con rinvio;
udito l’Avv. NOME COGNOME per la società ricorrente che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE, a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 26515 /2022, depositata in data 8 settembre 2022, ha riassunto la causa innanzi la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Calabria che, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato infondata la pretesa tributaria, con condanna al pagamento delle spese processuali.
La vicenda aveva tratto origine da sei distinti ricorsi del 2016, successivamente riuniti, con i quali la società contribuente aveva impugnato il diniego di rimborso prot. n. NUMERO_DOCUMENTO relativo ad IVA ed altro, operato dall’Agenzia delle Entrate, a seguito di istanza di rateizzazione della società contribuente, in relazione al sollecito di pagamento ed avviso di fermo di autovettura n. NUMERO_DOCUMENTO che era stato oggetto di richiesta di sospensione e poi di annullamento, ai sensi dell’art. 1, commi 537, 538, 539 e 540, della legge n. 228 del 2012. La Commissione tributaria provinciale di Vibo Valentia, con sentenza n. 1393/2017 depositata il 5 settembre 2017, aveva respinto i ricorsi riuniti ritenendo che l’istanza presentata era una dichiarazione pura e semplice che, pur indicando quale causa per l’invocato beneficio, la prescrizione o la decadenza del
diritto sotteso, non era supportata dalla documentazione idonea a dimostrare le ragioni su cui l’istanza si fondava. La Commissione tributaria regionale, adita dalla società contribuente, con sentenza n. 2597/01/2019, depositata il 10 luglio 2019, pur avendo accertato l’annullamento di diritto della partita debitoria originaria, con automatico discarico dei ruoli, in osservanza della legge n. 228 del 2012, aveva rigettato l’appello ritenendo che l’ammissione alla rateizzazione avesse creato una nuova obbligazione secondo i canoni della novazione oggettiva di cui agli artt. 1230 ss. cod. civ., dichiarando l’inammissibilità della costituzione dell’Agenzia delle EntrateRiscossione, poiché avvenuta a mezzo di avvocato del libero foro. Questa Corte, con ordinanza n. 26515/2022, pubblicata in data 8 settembre 2022, aveva accolto il primo motivo del ricorso principale ( la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto che la richiesta di rateizzazione del debito costituisse novazione dello stesso con sostituzione di uno diverso) e il secondo motivo del ricorso incidentale (la Commissione tributaria regionale non aveva considerato che, alla luce del Protocollo d’Intesa stipulato tra l’Avvocatura dello Stato e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, la presente controversia non rientrava nell’elenco delle liti nelle quali l’Avvocatura doveva assumere il patrocinio ), dichiarato inammissibile il secondo motivo del ricorso principale ( la Commissione tributaria regionale non aveva considerato che, una volta trascorso inutilmente il termine di 220 giorni dalla data di presentazione, ex lege n. 228 del 2012, della dichiarazione del debitore al concessionario della riscossione, le partite di debito erano annullate di diritto) ed assorbito il primo motivo del ricorso incidentale (la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto inammissibile la costituzione dell’appellata Agenzia delle Entrate Riscossione, perché avvenuta con rilascio di procura ad un avvocato del libero foro), cassando con rinvio la sentenza di appello.
La Corte di giustizia di secondo grado ha rilevato, in via preliminare, la sussistenza della legittimazione passiva dell’Agente della Riscossione, evocato in giudizio dal contribuente, anche nell’eventuale assenza dell’ente titolare del diritto di credito, gravando piuttosto sul
concessionario, l’onere di citare in giudizio l’ente interessato, ai sensi dell’art. 39 del decreto legislativo n. 112 del 1999 e ha dato atto che, nel giudizio di appello, la costituzione dell’Amministrazione delle Finanze o dell’Agente della Riscossione poteva validamente avvenire a mezzo di avvocato del libero foro.
I giudici di secondo grado, nel merito, hanno affermato che:
-) la sentenza di primo grado aveva erroneamente ritenuto che l’istanza di rateizzazione proposta dal contribuente determinasse un effetto novativo oggettivo e che, in materia tributaria, non costituiva acquiescenza, da parte del contribuente, l’avere chiesto ed ottenuto, senza alcuna riserva, la rateizzazione degli importi indicati nella cartella di pagamento, atteso che non poteva attribuirsi al puro e semplice riconoscimento di essere tenuto al pagamento di un tributo, contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione, l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’ an debeatur, potendo, al più rilevare limitatamente al quantum debeatur, laddove vi fossero positive manifestazioni di volontà in tal senso;
-) la sentenza di primo grado era pure errata laddove aveva affermato che la medesima richiesta di rateizzazione aveva determinato un effetto novativo oggettivo e non la sostituzione dell’originaria obbligazione con un nuovo rapporto obbligatorio, in quanto trovava applicazione il principio secondo cui l’atto con il quale le parti convenivano la modificazione quantitativa di una precedente obbligazione ed il differimento della scadenza per il suo adempimento, non costituiva una novazione e non comportava, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria, restando il rapporto assoggettato, per la sua natura contrattuale, alle ordinarie regole sulla validità;
-) nel caso di specie, la società contribuente aveva presentato, in pendenza della sospensione ai sensi dell’art. 1, comma 538, della legge n. 228/2012, istanza di rateizzazione all’ente di riscossione e, a seguito dell’accettazione di questi, aveva altresì iniziato, a partire dal mese di
marzo 2015, a pagare le rate e alla data in cui la detta istanza era stata accertata dall’ufficio competente, non si era ancora maturato il termine di 220 giorni decorso il quale, in mancanza di decisione dell’ente creditore, si sarebbe verificato l’annullamento del credito erariale; essa, pertanto, non era idonea a costituire una nuova obbligazione, soggetta a diverso termine di prescrizione;
-) era, invece, infondato il motivo che lamentava la violazione dell’art. 1, commi 538 e 539, della legge n. 228 del 2012, in quanto la richiesta di annullamento era stata solo genericamente documentata e, comunque, non era ancora maturato il termine decorso il quale, in mancanza di decisione dell’ente creditore, si sarebbe verificato l’annullamento del credito erariale.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate r esiste con controricorso e ricorso incidentale fondato su un motivo.
La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ovvero l’omessa decisione sulla richiesta di condanna alla restituzione delle somme versate indebitamente. I giudici di secondo grado non avevano espresso alcuna conseguente valutazione sulla effettiva istanza presentata nel merito dalla società ricorrente, volta ad ottenere il rimborso delle somme versate, il cui presupposto era l’effettivo venir meno del carico tributario in diretta conseguenza della mancata risposta alle ragioni presentate con l’istanza di sospensione, nel termine di 220 giorni.
2. Il secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ. La Commissione tributaria regionale, nel 2019, aveva dichiarato espressamente che si era prodotto l’annullamento della pretesa anche se aveva ritenuto che l’istanza di rateizzazione ave sse dato origine ad una distinta pretesa per novazione -questa sì, invece – non attinta dalla istanza di sospensione e dagli effetti di discarico per la mancata risposta (« La dichiarazione del contribuente, prevista dalla norma in commento, ha quindi due effetti rilevanti. Il primo è la sospensione immediata della riscossione, indipendentemente dalla veridicità o meno di quanto dichiarato dal contribuente. L’altro è l’annullamento automatico del credito, in caso in cui l’ente creditore non comunichi nei termini previsti, al debitore e al concessionario, il rigetto di quanto indicato nella dichiarazione. Il rischio degli effetti del silenzio assenso è uno stimolo agli enti a fornire in maniera tempestiva e puntuale il riscontro alla dichiarazione del contribuente, ma dall’altro è in grado di determinare il blocco delle attività di riscossione, nelle more della risposta del creditore. Decorso inutilmente detto termine, le somme comprese nella richiesta di sospensione trasmessa al concessionario della riscossione sono annullate di diritto… Stante quanto sopra ritiene il Collegio che deve ritenersi annullata di diritto la partita debitoria, con conseguente sgravio dal ruolo relativo, in osservanza delle norme previste dalla legge 228/12, risultando dagli atti di causa che il debitore abbia inviato ad Equitalia l’istanza di annullamento degli atti esattoriali (nella fattispecie indicando tanto le cartelle che riteneva illegittime per inesistenza della notifica nonché per intervenuta decadenza del diritto di credito, quanto l’atto di diniego al rimborso fondato sui ratei versati a seguito della richiesta di rateizzazione. Pertanto il collegio osserva che, nella fattispecie. trascorso il periodo di 220 giorni senza che l’Ente impositore abbia risposto alla richiesta di annullamento del contribuente, ex lege vi è stato l’annullamento di diritto, l’automatico discarico dei relativi ruoli, quindi l’eliminazione degli importi a ruolo dell’ente creditore »). Per effetto di questa affermazione, era ormai indiscutibile che si fosse prodotto l’annullamento della pretesa e la sola conseguenza possibile cui la Corte poteva giungere su questo presupposto era l’affermazione del diritto a ripetere le somme versate nelle more della maturazione del termine. La decisione impugnata, per contro, aveva affermato la illegittimità di una
novazione derivata dalla rateizzazione ma, pur dichiarando nel dispositivo la illegittimità della pretesa tributaria, non aveva espressamente pronunciato l’annullamento della pretesa derivante dalla presentazione dell’istanza e dalla mancata risposta nel termine, ed aveva per contro affermato, a pag. 5, che il termine non era decorso così venendo a pronunciare in modo difforme e contrastante con la corretta interpretazione della legge n. 228 del 2012 e con quanto già affermato nella sentenza della Commissione tributaria regionale.
3. Il terzo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 1, commi 538, 539 e 540, della legge n. 228 del 2012. La Corte territoriale aveva ritenuto infondato il motivo di appello con cui si richiedeva di riconoscere l’intervenuto annullamento della pretesa e quindi il diritto a ripetere le somme pagate mediante rateizzazione, sulla base dell’incompletezza documentale dell’istanza e sul fatto, affermato senza altro soggiungere, che il termine dei 220 giorni non fosse trascorso, ma era pacifico che dalla presentazione dell’istanza di sospensione fossero decorsi ben oltre 220 giorni. Nel contesto della norma in esame, quindi, non sussisteva alcuna possibilità per ritenere che il termine il cui decorso iniziava dalla presentazione dell’istanza in data 19 gennaio 2015 non fosse decorso, essendo mancata ogni risposta all’istanza. La Corte territoriale, inoltre, aveva deciso di rigettare il motivo d’appello in forza di una valutazione sui presupposti di validità dell’istanza che avrebbero dovuto, invece, essere oggetto di riscontro, con ciò fornendo ancora una volta una ricostruzione della disposizione legislativa del tutto contrastante con quella emergente dalla chiara lettura della stessa. Ed invero, nel caso in esame, doveva applicarsi la norma nel testo vigente al momento della presentazione della istanza di sospensione e del compimento del termine di 220 giorni decorrenti dalla presentazione stessa, perché era in quel momento che si
produceva in senso sostanziale il discarico la cui dichiarazione non ha effetto costitutivo ma solo ricognitivo.
4. Il quarto mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.. La Corte territoriale erroneamente aveva disposto la compensazione per reciproca soccombenza, posto che non vi era stato accoglimento di domande sulle quali tra le parti vi era stato un contrasto, ma il motivo di ricorso presentato dalla Agenzia delle Entrate-Riscossione dinanzi alla Suprema Corte era stato accolto su una questione per la quale nessuna eccezione aveva svolto la società oggi ricorrente né mosso alcuna censura o critica alla censura, anche per la sua palese fondatezza. Sotto il profilo processuale, quindi, la società ricorrente doveva essere definita interamente vittoriosa per il suo appello ed anche per quanto riguarda le spese del giudizio di Cassazione doveva essere interamente rifusa.
5. Il quinto mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 91, cod. proc. civ., dell’art. 4 del D.M. n. 55 del 2014; dell’art. 1 del D.M. n. 37 del 2018; dell’art. 12 della legge n. 49 del 2023. La Corte territoriale aveva provveduto a liquidare le spese relative alle fasi di merito del giudizio, determinando, senza altro aggiungere, e con valutazione complessiva, gli importi a carico delle soccombenti nella misura di euro 5.000,00. Era inadeguato procedere alla determinazione delle spese e compensi liquidabili ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ. mediante un unico importo sintetico, laddove come nel caso di specie, si doveva far riferimento alla soccombenza riscontrata in giudizio dipanatosi attraverso diversi gradi di merito e plurime fasi degli stessi. Inoltre, tale metodo di liquidazione, di per sé, appariva applicazione illegittima delle norme indicate che imponevano non solo di provvedere a dichiarare la soccombenza, ma anche di adottare i parametri sanciti dalla norma ed espressi nelle tabelle allegate; e nel fare ciò, di evitare riduzioni del parametro medio
oltre la soglia dei minimi, tenuto conto degli importi tabellari previsti per i diversi gradi del giudizio.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso incidentale deducendo il vizio di motivazione in relazione alla statuizione di infondatezza della pretesa tributaria e di riforma totale della sentenza appellata, in quanto il Collegio non aveva esplicitato il percorso motivazionale seguito per giungere alla declaratoria di infondatezza della pretesa tributaria, che non aveva mai formato oggetto di contestazione nel merito, e di riforma totale della sentenza di primo grado. Infatti, l’avere escluso che la rateazione aveva effetto novativo della pretesa era questione non dirimente ai fini della decisione, ma di natura, per così dire, pregiudiziale che non poteva condurre, da sola, ad una decisione di infondatezza della pretesa. La società contribuente aveva fondato la propria richiesta di rimborso sul decorso dei termini di cui alla legge n. 228 del 2012, senza avere avuto risposta e questo motivo di ricorso era stato respinto.
Deve premettersi, in punto di fatto, che in data 12 novembre 2014, l’Agente della Riscossione aveva notificato alla società ricorrente l’intimazione di pagamento e preavviso di fermo n. 13980201400003579/000 sulla vettura modello TARGA_VEICOLO, targata TARGA_VEICOLO, in riferimento a più cartelle esattoriali di competenza di diversi Enti impositori. La società contribuente aveva presentato istanza di rimborso degli importi pagati, a seguito di istanza di rateizzazione in relazione al sollecito di pagamento ( accolta dall’Ufficio con protocollo n. 60868 del 26 gennaio 2015) e all’avviso di fermo di autovettura n. 13980201400003579000, in data 24 marzo 2016; su detta istanza di rimborso, in assenza di risposta da parte dell’Ufficio, si è formato il silenzio rifiuto in data 22 giugno 2016; avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso presentata la società contribuente aveva notificato in data 8 settembre 2016 i ricorsi di primo grado con i quali aveva chiesto l’annullamento dell’intimazione
di pagamento, del preavviso di fermo, delle cartelle e dell’iscrizione a ruolo, per omessa risposta nei termini all’istanza ex art. 1, commi 539 e 540, della legge n. 228/2012, presentata agli Uffici in data 19 gennaio 2015, eccependo l’intervenuto annullamento del diritto di credito e ritenendo esistente l’illegittimità del rigetto del rimborso delle rate pagate e discarico dei ruoli delle partite. L’Ufficio, in data 13 novembre 2015, aveva comunicato alla società di non poter accogliere la richiesta di annullamento in autotutela, in quanto, non risultava pervenuta alcuna istanza di sospensione legale, ai sensi dell’art. 1, commi da 537 a 544, della legge n. 228 del 2012. In particolare, la società RAGIONE_SOCIALE con atto del 15 maggio 2016, prot. 608326, notificato il 4 luglio 2016, aveva rigettato la richiesta di rimborso ed annullamento delle partite, asserendo che la dichiarazione presentata il 19 gennaio 2015, ai sensi del comma 538 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, non era stata presa in alcuna considerazione, in quanto aveva ad oggetto un sollecito di pagamento.
7.1 Come si legge alle pagine 4 e 5 dell’ordinanza di questa Corte n. 26515 del 2022, la società contribuente, in pendenza della sospensione ai sensi dell’art. 1, comma 538, della legge n. 228/2012, aveva presentato istanza di rateizzazione all’ente di riscossione e, a seguito della sua accettazione, aveva altresì iniziato, a partire dal mese di marzo del 2015, a pagare le rate. Alla data in cui la detta istanza è stata accettata dall’ufficio competente, non era ancora maturato il termine di 220 giorni decorso il quale (nel caso di specie, alla data del 27 agosto 2015), in mancanza di decisione dell’ente creditore sulla dichiarazione ex art. 1, comma 538, citato, si sarebbe verificato l’annullamento del credito erariale.
7.2 Ciò posto, questa Corte, nell’ ordinanza richiamata (la n. 26515 del 2022), ha affermato che non costituisce acquiescenza, da parte del contribuente, l’avere chiesto ed ottenuto, senza alcuna riserva, la rateizzazione degli importi indicati nella cartella di pagamento, atteso
che non può attribuirsi al puro e semplice riconoscimento d’essere tenuto al pagamento di un tributo l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’ an debeatur , salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario e che l’atto con il quale le parti convengono la modificazione quantitativa di una precedente obbligazione ed il differimento della scadenza per il suo adempimento, non costituisce una novazione e non comporta, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria, restando assoggettato, per la sua natura contrattuale, alle ordinarie regole sulla validità. Il giudice di legittimità, sulla base degli affermati principi, ha, dunque, statuito, che, nella vicenda in esame, non si era verificato alcun effetto novativo della obbligazione contributiva a seguito della presentazione della istanza di rateizzo, che aveva lasciato inalterato il titolo e l’oggetto della obbligazione e che rilevava unicamente sul tempo dell’adempimento, con conseguen te inidoneità dell’istanza di rateizzo a costituire una nuova obbligazione, soggetta a diverso termine di prescrizione.
7.3 L’accertamento demandato ai giudici di merito, in sede di rinvio, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, è stato quello, dunque, di valutare la idoneità delle modalità con cui le ragioni poste alla base dell’istanza ex art. 1, comma 538, della legge n. 228 del 2012, fossero state documentate. Sul punto, i giudici di secondo grado, dopo avere richiamato i principi affermati da questa Corte nell’ordinanza di rinvio (la n. 26515 del 2022), ed avere nella sostanza ribadito che la richiesta di rateizzazione non comportava alcun effetto novativo non mutando il titolo e l’oggetto dell’obbligazione ma solamente il tempo dell’adempimento, hanno affermato che: 1) il motivo che lamentava la violazione dell’art. 1, commi 538 e 539 della legge n. 228 del 2012, era infondato in quanto la richiesta di annullamento era stata solo genericamente documentata; 2) non era ancora maturato il termine, decorso il quale, in mancanza di decisione dell’ente creditore, si
sarebbe verificato l’annullamento del credito erariale (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
Tanto premesso, il primo motivo del ricorso principale è infondato, in quanto, nel caso di specie, non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto la Corte di merito, per quanto già rilevato, ha espressamente affermato che «Infondato è il motivo che lamenta violazione dell’art. 1, commi 538 e 539 L. 228/2012, in quanto la richiesta di annullamento era stata solo genericamente documentata e, comunque, non era ancora maturato il termine decorso il quale, in mancanza di decisio ne dell’ente creditore, si sarebbe verificato l’annullamento de l credito erariale».
8.1 Deve richiamarsi, in proposito, l’orientamento di questa Corte secondo cui il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., 26 gennaio 2021, n. 1616; Cass., 27 novembre 2017, n. 28308).
Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato, in quanto la società ricorrente erroneamente richiama sul punto i principi dettati in tema di giudicato interno, sostanziale e formale, dagli artt. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ., superati, all’evidenza, dal rinvio con annullamento disposto da questa Corte con l’ordinanza n. 26515 del 2022, dovendosi ribadire il principio statuito da questa Corte secondo cui « In tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dar luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi
completamente autonomi, avendo risolto questioni controverse che, in quanto dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente ad altri, concorrano a formare un capo unico della decisione » (Cass., 15 dicembre 2021, n. 40276; Cass., 30 giugno 2022, n. 20951).
9.1 Ed invero, è utile precisare che mentre la Commissione tributaria provinciale di Vibo Valentia, con sentenza n. 393/02/2017, aveva affermato che « L’istanza presentata dalla contribuente è una dichiarazione pura e semplice che, pur indicando genericamente quale causa per l’invocato benefìcio la prescrizione o la decadenza del diritto sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo, non è supportata, come prevede l’art. 1, comma 538 della predetta legge, dalla documentazione idonea a dimostrare compiutamente, con riferimento agli atti emessi dall’ente creditore o dal concessionario, le ragioni su cui l’istanza si fonda. Ciò non consente, quindi, di affermare che si siano prodotti gli effetti incidenti negativamente sull’esigib ilità del credito, evenienza su cui la ricorrente fonda la legittimità dell’istanza di rimborso, negata dall’amministrazione »;
la Commissione tributaria regionale, con sentenza n.2597/01/2019, aveva statuito che « deve ritenersi annullata di diritto la partita debitoria, con conseguente sgravio dal ruolo relativo, in osservanza delle norme previste dalla legge 228/12, risultando dagli atti di causa che il debitore abbia inviato ad Equitalia l’istanza di annullamento degli atti esattoriali (nella fattispecie indicando tanto le cartelle che riteneva illegittime per inesistenza della notifica nonché per intervenuta decadenza del diritto di credito, quanto l’atto di diniego al rimborso fondato sui ratei versati a seguito della richiesta di autorizzazione). Pertanto, il collegio osserva che, nella fattispecie, trascorso il periodo di 220 giorni senza che l’Ente impositore abbia risposto alla richiesta di annullamento del contribuente, ex lege vi è stato l’annullamento di diritto, l’automatico discarico dei relativi ruoli, quindi l’eliminazione degli importi a ruolo dell’ente creditore. Ne consegue che il debito gravante sul contribuente prima dell’accoglimento dell’istanza di sospensione, in caso di istanza di rateizzazione accolta, all’atto della scadenza dei term ini di 220 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione da parte del contribuente non sia quello originario ma quello non più esigibile in quanto nel suo ammontare è stato volontariamente e
parzialmente soddisfatto mediante ammissione alla sua sussistenza dal contribuente sconfessando il motivo di prescrizione a sostegno della istanza di sospensione ».
Senza prescindere dal difetto di autosufficienza della censura nella parte in cui non trascrive il contenuto dell’istanza di sospensione di cui all’art. 1, commi 537 e 538, della legge n. 228 del 2012, il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
10.1 Come già precisato da questa Corte « Con l’obiettivo di migliorare la relazione con i debitori, che hanno subito, iscrizioni a ruolo, e quindi con l’esigenza di attivare la riscossione solo in presenza di un valido titolo esecutivo, il legislatore ha cristallizzato una prassi già esistente (in tal senso direttiva Equitalia n. 10 del 6 maggio 2010). La finalità era quella di rimediare ai difetti di comunicazione tra l’ente creditore e l’agente della riscossione. Nella direttiva indicata si prevedeva che “l’attività di recupero coattivo non può prescindere dall’esistenza di un valido titolo esecutivo… Riteniamo opportuno fornire alcune indicazioni, alle quali, pur in assenza di provvedimento dell’ente creditore, dovrete attenervi nell’espletamento dell’attività di riscossione… Qualora il contribuente, in occasione della notifica del primo atto di riscossione utile, o in qualsiasi momento della procedura cautelare/esecutiva eventualmente da voi intrapresa, asserisca e documenti che gli atti emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento e/o l’avviso per i quali si procede, sono stati interessati: a) da un provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore in conseguenza della presentazione di un’istanza di autotutela da parte del debitore; b) da una sospensione amministrativa comunque concessa dall’ente creditore citato; c) da una sospensione giudiziale, oppure da una sentenza della magistratura adita, emesse in un giudizio al quale l’agente della riscossione non ha preso parte; d) da un pagamento effettuato in data antecedente alla formazione del ruolo, in favore dell’ente creditore, sempre che sia facilmente ed univocamente riconducibile allo stesso ruolo…; dovrete
invitarlo a rilasciarvene formale dichiarazione, redatta secondo il modello allegato… Ottenuta la dichiarazione che precede e limitatamente alle partite relative agli atti espressamente indicati dal debitore, dovrete immediatamente sospendere ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione della somma iscritta a ruolo. Entro i successivi 10 giorni, dovrete, inoltre, trasmettere all’ente creditore la documentazione consegnatavi dal debitore, al fine di ottenere conferma, o meno, dell’esistenza delle ragioni di quest’ultimo e richiedere, in caso affermativo, la sollecita trasmissione della sospensione o dello sgravio ai vostri sistemi informativi. Dovrete, infine, avvertire l’ente creditore che in caso di silenzio dei suoi uffici, le azioni volte al recupero del credito rimarranno comunque sospese…”. Tale prassi è stata disciplinata con l’art. 1 commi 537-542 della legge 228/2012 (in tal senso direttiva di gruppo n. 2 dell’11-12013, prot. 2013- 500) » (cfr. Cass., 5 novembre 2019, n. 28354, in motivazione).
10.2 L’art. 1 della legge n. 228 del 2012, ratione temporis vigente (alla data di presentazione dell’istanza di sospensione del 19 gennaio 2015) prevede che: « Art.
Le successive modifiche apportate agli artt. 537, 539 e 540 dal decreto legislativo n. 159 del 2015, per espressa previsione dell’art. 15, comma 1, dello stesso decreto legislativo, si applicano alle dichiarazioni presentate successivamente alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 159 del 2015, ovvero successivamente alla data del 22 ottobre 2015 e, pertanto, non involgono il presente
giudizio, in quanto la dichiarazione di cui si discute nel presente giudizio è stata presentata in data 19 gennaio 2015.
10.4 Più in particolare l’art. 15 del decreto legislativo n. 159 del 2015 ha dettato una specifica norma transitoria, sopra richiamata, che include nel perimetro di applicazione della novella del 2015 solo le dichiarazioni del contribuente presentate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo stesso. Per le dichiarazioni presentate prima di tale data, tra cui quella presentata dalla società ricorrente, trova applicazione la precedente normativa di cui alla legge n. 228 del 2012. Pertanto, non può essere applicata la porzione di norma introdotta dal decreto legislativo n. 159 del 2015, che, modificando il comma 540, dell’art. 1, della legge 228 del 2012, ha previsto che « l’annullamento non opera in presenza di motivi diversi da quelli elencati al comma 538 ovvero nei casi di sospensione giudiziale o amministrativa o di sentenza non definitiva di annullamento del credito ». Si tratta, invero, di una disposizione che, come è stato affermato da questa Corte, è stata inserita dalla novella per la rilevanza dell’istituto per «le casse erariali» e per evitare potenziali applicazioni distorsive, con la presentazione di istanze di sospensione solo pretestuose (cfr. Cass., 5 novembre 2019, n. 28354, citata).
10.5 Tanto premesso sotto lo specifico profilo normativo, questa Corte ha affermato che « In tema di riscossione delle imposte, qualora il contribuente presenti domanda di sospensione ex art. 1, comma 538, della l. n. 228 del 2012 senza ottenere risposta dall’Agenzia delle entrate entro il termine di 220 giorni previsto dal comma 540 del cit. art. 1 (come modif. dall’art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2015), il ruolo è annullato di diritto solo qualora i motivi posti a fondamento dell’istanza costituiscano cause potenzialmente estintive della pretesa tributaria » (Cass., 5 novembre 2019, n. 28354) e, più di recente, che « A seguito di presentazione dell’apposita dichiarazione, di cui all’art. 1, commi 537
ss., della legge n. 228/2012, la mancata risposta da parte dell’ente creditore entro i termini previsti (ossia per più di 220 giorni dalla data di invio dell’istanza di sospensione) annulla ex lege la pretesa del medesimo ed ogni correlata iscrizione a ruolo, unitamente ad eventuali e successivi atti dell’esecuzione (nella fattispecie, l’iscrizione ipotecaria) » (Cass., 9 novembre 2023, n. 31220).
10.6 Ciò posto, sulla base della normativa richiamata e dai principi giurisprudenziali affermati da questa Corte, deve rilevarsi che:
-) il contribuente entro novanta giorni dalla notifica, da parte del concessionario per la riscossione, del primo atto di riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa dal concessionario deve presentare al concessionario una dichiarazione documentando che gli atti emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l’avviso per i quali si stava procedendo, erano interessati da prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo era stato reso esecutivo, oppure da un provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore, oppure da una sospensione amministrativa comunque concessa dall’ente creditore, oppure, ancora, da una sospensione giudiziale, oppure da una sentenza che avesse annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non avesse preso parte, oppure da un pagamento effettuato, riconducibile al ruolo in oggetto, in data antecedente alla formazione del ruolo stesso, in favore dell’ente creditore, oppure ed infine da qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso (art. 1, commi 537 e 538, legge n. 228 del 2012);
-) il concessionario, a i sensi del successivo comma 539, deve, entro i dieci giorni successivi dalla ricezione della dichiarazione, trasmettere quest’ultima e la documentazione allegata all’ente creditore in modo da consentire all’ente, entro i successivi sessanta giorni, di da re
comunicazione al debitore o della «correttezza della documentazione prodotta, provvedendo, in pari tempo, a trasmettere in via telematica, al concessionario della riscossione il conseguente provvedimento di sospensione o sgravio», ovvero «dell’inidoneità di tale documentazione a mantenere sospesa la riscossione, dandone, anche in questo caso, immediata notizia al concessionario della riscossione per la ripresa dell’attività di recupero del credito iscritto a ruolo»;
-) infine, in base al comma 540, in caso di mancato invio, da parte dell’ente creditore, della comunicazione prevista dal comma 539 e di trasmissione dei conseguenti flussi informativi al concessionario della riscossione, trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore allo stesso concessionario della riscossione, le partite di cui al comma 537 sono annullate di diritto e quest’ultimo è considerato automaticamente discaricato dei relativi ruoli. Contestualmente sono eliminati dalle scritture patrimoniali dell’ente creditore i corrispondenti importi.
10.7 La Commissione tributaria regionale, dunque, in sede di rinvio, giusta il disposto di questa Corte che aveva demandato ai giudici di secondo grado la valutazione della « idoneità delle modalità con cui le ragioni poste alla base dell’istanza ex art. 1, comma 538, erano state documentate », ha rilevato, con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, il che fonda un ulteriore profilo di inammissibilità della censura, che la richiesta di annullamento presentata dalla società ricorrente in data 19 gennaio 2015 ( nel rispetto, peraltro, del termine di novanta giorni previsto dall’art. 1, comma 538, della legge n. 228 del 2012, stante la notifica dell’intimazione di pagamento e del preavviso di fermio da parte dell’Agente della Riscossione in data 12 novembre 2014) , era stata genericamente documentata e ciò nel rispetto delle regole di diritto che la società ricorrente assume essere state violate; ed infatti, tra i presupposti legittimanti l’annullamento di diritto del ruolo vi era sia la
presenza dei presupposti sostanziali di cui all’art. 1, comma 537, della legge n. 228 del 2012, sia l’esistenza nell’istanza presentata dalla società contribuente degli elementi necessari ai fini di una compiuta istruttoria da parte dell’ente impositore e dell’ente di riscossione ; è, peraltro, indubbio che la ricorrenza di detti presupposti, formali e sostanziali, doveva essere dimostrata dal contribuente, dovendosi richiamare il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui nelle liti di rimborso, sia in tema di imposte dirette, che in tema di Iva, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare gli elementi costitutivi della pretesa (Cass.,14 dicembre 2023, n. 35042; Cass., 3 luglio 2023, n. 18644; Cass., 2 settembre 2022, n. 25999; Cass., 29 ottobre 2020, n. 23862; Cass., 27 giugno 2019, n. 17239).
Dal rigetto del primo, secondo e terzo motivo, consegue l’assorbimento del quarto e del quinto motivo di ricorso.
E ‘ , fondato, invece il primo ed unico motivo di ricorso incidentale, poiché la Commissione tributaria regionale, pur avendo accertato che la richiesta di annullamento, formulata ai sensi dell’art. 1, commi 538 e 539, della legge n. 228 del 2012, era stata solo genericamente documentata ed avere, dunque, ritenuto infondato il motivo di gravame sul quale la parte aveva fondato la propria richiesta di rimborso, ovvero il decorso dei termini di cui alla legge n. 228 del 2012 senza aver avuto risposta, non ha poi spiegato la ragione sulla base della quale ha annullato la pretesa tributaria.
12.1 Ed invero, va osservato, con la giurisprudenza di questa Corte, che, dovendo l’obbligo motivazionale ritenersi compiutamente adempiuto allorché per mezzo della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione venga ad essere illustrato il percorso motivazionale che ha indotto il giudice a regolare la fattispecie al suo esame mediante la norma di diritto applicata, viene al contrario meno
all’obbligo in parola – e si mostra perciò viziata dal difetto di motivazione apparente o di mancanza della motivazione – la decisione nella quale «il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105).
12.2 Più specificamente in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la «motivazione apparente» ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881 e, più di recente, Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; Cass., 5 luglio 2022, n. 21302).
12.3 Così delineati i principi statuiti da questa Corte, la censura svolta dal motivo appare fondata, dal momento che dalla lettura della sentenza impugnata non risultano chiaramente esposte, nemmeno in forma concisa, le ragioni della decisione, in quanto i giudici di secondo grado, dopo avere ritenuto infondato il motivo che lamentava la violazione dell’art. 1, commi 538 e 539, della legge n. 228 del 2012, perché la richiesta di annullamento era stata documentata in modo generica e perché non era ancora maturato il termine, decorso il quale, in mancanza di decisione dell’ente creditore, si sarebbe verificato l’annullamento del credito erariale, soltanto nel dispositivo ha dichiarato l’infondatezza della pretesa tributaria (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
13. Per le ragioni di cui sopra, va accolto l’unico motivo del ricorso incidentale e vanno rigettati il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, con assorbimento del quarto e del quinto motivo; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità
P.Q.M.
La Corte accoglie l’unico motivo del ricorso incidentale e rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, con assorbimento del quarto e del quinto motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso incidentale accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024.