Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23856 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23856 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6587/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dall’AVV_NOTAIO
Oggetto
: TRIBUTI –
operazioni
oggettivamente
inesistenti – costi
COGNOME (pec: EMAIL) presso il cui studio legale sito in Roma al INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4622/01/2015 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata in data 01/09/2015; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24 giugno 2025 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale eseguita nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (di seguito, TEI), per i periodi di imposta dal 2004 al 2008, la G.d.F. riscontrava per l’annualità 2005 le seguenti violazioni:
indebita deduzione di costi connessi ad illeciti penalmente rilevanti ed indebita detrazione dell’IVA;
indebita deduzione, ai fini IRAP ed IRES, di costi relativi a contributi di start-up che la società contribuente aveva erogato alla RAGIONE_SOCIALE ed indebita detrazione dell’IVA, siccome riferiti a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti e privi del requisito dell’inerenza e comunque perché connessi ad illeciti penalmente rilevanti.
Da tali addebiti scaturivano anche sanzioni per infedele dichiarazione.
L’Ufficio, recependo le risultanze del p.v.c., per l’anno d’imposta 2005 notificava alla società contribuente, quale consolidata, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO per IVA e IRAP, nonché l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO con cui l’amministrazione finanziaria rideterminò l’imposta teorica ai fini IRES (cd. atto di primo livello), e quale consolidante, l’avviso di accertamento cd. di secondo livello n. NUMERO_DOCUMENTO ai fini IRES.
Inoltre, notificava alla predetta società l’atto di contestazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni n. P_IVA per IRES relativa all’anno d’imposta 2005, oggetto del presente giudizio.
Il ricorso proposto dalla società contribuente avverso tale ultimo atto impositivo veniva rigettato dall’adita Commissione tributaria provinciale.
La sentenza, appellata dalla società, veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, con la sentenza impugnata, annullava l’atto di contestazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
I giudici di appello sostenevano di avere già deciso, in senso favorevole alla società contribuente, analoghe fattispecie e che era in atti la richiesta di archiviazione da parte del P.M. per il procedimento penale a carico degli amministratori della Società sicché l’Ufficio, in assenza di inizio dell’azione penale (ovverossia di richiesta di rinvio a giudizio) non poteva sostenere, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537 del 1993, l’indeducibilità dei costi e RAGIONE_SOCIALE spese. Svolgevano analoghe considerazioni in ordine all’indetraibilità dell’IVA e ritenevano assorbite tutte le altre eccezioni sollevate dalle parti.
Avverso tale sentenza l’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società intimata che deposita memoria chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per l’esistenza di giudicati pregiudizievoli all’amministrazione finanziaria formatisi sull’IVA, sull’IRAP e sugli atti IRES di I e II livello, costituiti, oltre che della sentenza della CTR del Lazio n. 4624/1/2015, anche dalle successive pronunce di questa Corte n. 28834/2022 e n. 29084/2022.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente ha premesso di censurare la sola statuizione d’appello con cui la CTR, muovendo dal presupposto che il divieto di deduzione dei costi, previsto dall’art. 14, comma 4 bis della legge n.
537 del 1993, non era operante nella fattispecie in esame, ha affermato che ciò aveva l’effetto di « assorbire tutte le altre eccezioni sollevate da parte … dell’RAGIONE_SOCIALE » e di condurre « ad affermare l’illegittimità RAGIONE_SOCIALE rettifiche fiscali poste in essere dall’Ufficio finanziario in virtù dell’art. 14 co. 4 bis della L. 537 del 1993, anche per quanto attiene all’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto ».
Ha, quindi, articolato i seguenti motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla statuizione con cui la Commissione regionale aveva affermato che le verifiche fiscali erano state poste in essere dall’Ufficio finanziario (solo) ‘ in virtù dell’art.14, comma 4-bis, della legge n. 537 del 1993 ‘ benché dagli atti impositivi, come dedotto nei due gradi di giudizio, emergesse che le operazioni erano state contestate non solo in quanto integranti reato ma anche in quanto prive dei requisiti di inerenza e, per le operazioni oggetto del secondo rilievo, in quanto anche oggettivamente inesistenti.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione, in violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 276, secondo comma, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 35 del d.lgs. n. 546 del 1992.
4.1. Censura la statuizione d’appello che aveva ritenuto assorbite tutte le eccezioni sollevate da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, non considerando che la sentenza di primo grado era fondata su una doppia ratio decidendi , ovvero per aver ritenuto sussistenti le condizioni di applicabilità del divieto di cui all’art. 14, comma 4 bis, della n. 537 del
1993, e per avere ritenuto non deducibili i costi oggetto di recupero a tassazione, per difetto di inerenza.
4.2. Secondo la prospettazione difensiva, la mera apparenza della motivazione della sentenza impugnata era evincibile pure dalla circostanza che i giudici di appello avevano pronunciato anche con riferimento all’IVA, benché la controversia riguardasse esclusivamente l’IRES di gruppo.
Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 per avere la CTR erroneamente accolto l’appello della società contribuente senza alcun vaglio sulla sussistenza dei requisiti di deducibilità dei costi di cui alla disposizione censurata.
Le eccezioni preliminari, concernenti rispettivamente la notifica del ricorso e la pretesa tardività di esso, vanno respinte in base alle considerazioni già espresse da Cass. n. 28834/22 e 29084/22, cui si rinvia.
Nel controricorso si eccepisce altresì l’inammissibilità del ricorso per violazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ.
6.1. Sostiene la controricorrente che la sentenza della CTR n. 4624/01/2015, prodotta in copia con attestazione del passaggio in giudicato apposta dalla Segreteria della CTR, di contenuto motivazionale identico a quella oggetto del presente giudizio di legittimità, aveva annullato l’avviso di accertamento IRES di primo livello ed essendo passata in giudicato, spiegava i suoi effetti anche nel presente giudizio, avente ad oggetto l’atto di contestazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni collegate a quel tributo.
6.2. Secondo la controricorrente, analogo effetto spiegavano anche le seguenti ulteriori pronunce ad essa favorevoli:
sentenza della CTR del Lazio n. 3138/04/2015, relativa al periodo d’imposta 2004, avente ad oggetto il solo rilievo sui costi sostenuti da TEI a favore del RAGIONE_SOCIALE;
sentenza della CTR del Lazio n. 3574/01/2014, relativa al periodo d’imposta 2004 e concernente anche il diverso tema RAGIONE_SOCIALE fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, impugnata per cassazione ma non con riferimento alla statuizione di deducibilità dei costi sostenuti da TEI;
sentenza della CTP di Roma n. 23318/05/2014 relativa al periodo di imposta 2006, avente ad oggetto rilievi analoghi a quelli oggetto del presente giudizio, divenuta definitiva a seguito di rinuncia all’appello da parte dell’RAGIONE_SOCIALE.
6.3. In memoria la controricorrente, nel ribadire l’inammissibilità del ricorso, ha allegato ulteriori giudicati, intervenuti dopo la proposizione del controricorso, che avevano determinato il definitivo annullamento RAGIONE_SOCIALE pretese erariali relative alle imposte, con conseguente effetto caducatorio del correlato atto irrogativo RAGIONE_SOCIALE sanzioni, oggetto del presente giudizio.
La controricorrente, oltre a richiamare il giudicato a sé favorevole di cui alla sentenza della CTR n. 4624/01/2015, che aveva annullato l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO relativo sempre al periodo di imposta 2005, emesso nei suoi confronti in qualità di consolidata, per l’accertamento dell’IRES di primo livello, indica le seguenti altre pronunce a sé favorevoli emesse da questa Corte:
l’ordinanza n. 28834/2022 che ha definito il giudizio relativo all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO emesso nei suoi confronti in qualità di consolidante, per l’accertamento dell’IRES di secondo livello, con riferimento al periodo di imposta 2005;
l’ordinanza n. 29084/2022 che ha definito il giudizio relativo all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO emesso per IVA e IRAP sempre con riferimento al periodo di imposta 2005.
7.1. Con la prima ordinanza questa Corte ha ritenuto che la sentenza della CTR n. 4624/01/2015, che aveva annullato l’avviso di accertamento di primo livello avente ad oggetto la cd. IRES teorica in capo alla consolidata e che concerneva le medesime riprese fiscali ed era di identico contenuto a quella impugnata con il ricorso in esame, spiegava effetti anche nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento di secondo livello emesso nei confronti della medesima società in qualità di consolidante.
7.2. Con la seconda ordinanza questa Corte, richiamando i principi giurisprudenziali in materia di operatività del giudicato esterno e facendone espressa applicazione nel caso di specie in ragione del« l’identità degli elementi costitutivi […] RAGIONE_SOCIALE pretese impositive formulate per le annualità dal 2004 al 2008, rispetto a quelle, oggetto del giudizio, relative all’annualità 2005 », rigettava il ricorso proposto dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avverso il suddetto avviso di accertamento.
L’eccezione di giudicato sollevata dalla controricorrente è fondata e va accolta e ciò esime questa Corte dall’esaminare i motivi di ricorso.
Nella specie, non è revocabile in dubbio l’intervenuto annullamento RAGIONE_SOCIALE pretese erariali ai fini IRES, come comprovato dalle sentenze definitive di cui si è sopra dato conto, e più precisamente dalla sentenza della CTR del Lazio n. 4624/01/2015 e dall’ordinanza di questa Corte n. 28834/2022, da cui è conseguito l’annullamento degli avvisi di accertamento di primo e secondo livello relativi all’IRES per l’anno d’imposta 2005, con riferimento ai quali era stato emesso l’atto di contestazione oggetto del presente giudizio con cui era stata irrogata « una sanzione pari ad € 3.193.152 di cui la società consolidata è responsabile ai sensi dell’articolo 127, comma 2, lett. b), del TUIR ».
È orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui la sentenza di annullamento dell’atto impositivo presupposto fa venir
meno, anche indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell’atto amministrativo che la legittima ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria (cfr., ex multis , Cass. n. 13445/2012; Cass. n. 740/2019).
10.1. Nel solco di tale pronuncia, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che l’iscrizione nei ruoli straordinari dell’intero importo RAGIONE_SOCIALE imposte, degli interessi e RAGIONE_SOCIALE sanzioni, risultante dall’avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dagli artt. 11 e 15 bis del d.P .R. n. 602 del 1973, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, la cui legittimità dipende pur sempre da quella dell’atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante, sicché, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte tale atto, l’ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l’obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i consequenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell’eccedenza versata (Cass., Sez. U, n. 758/2017).
10.2. Nessun dubbio ovviamente può porsi quando, invece, l’annullamento dell’atto presupposto (nella specie, avviso di accertamento) derivi da sentenza passata in giudicato (v. Cass., Sez. U, n. 26482 del 2007), nella specie ad opera dell’intervenuta pronuncia dinanzi indicate, costituente giudicato esterno, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’amministrazione finanziaria avverso la sentenza d’appello che aveva annullato l’avviso di accertamento, oltre che dell’indicata sentenza della CTR Lazio n. 4624/1/2015.
10.3. Questa Corte ha espressamente affermato, ancorché con riferimento ad un giudicato interno, che « nel caso di annullamento di una pretesa tributaria e RAGIONE_SOCIALE relative sanzioni, l’impugnazione proposta con esclusivo riferimento all’imposta annullata si estende, in virtù del suo effetto espansivo interno, anche nei confronti RAGIONE_SOCIALE sanzioni, che sono direttamente dipendenti dalla statuizione sulla pretesa, sempre che le sanzioni non siano state annullate per ragioni diverse ed autonome rispetto all’imposta » (Cass. n. 24732/2020).
11. A quanto fin qui detto pare opportuno aggiungere che questa Corte già nella sentenza n. 7259/2017, seppur con un obiter dictum , e successivamente in Cass. n. 33425/2023, ha affermato che in caso di annullamento dell’avviso di accertamento, il successivo atto di contestazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni ad esso collegato, verrebbe meno automaticamente, secondo la prima pronuncia anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo non fosse stato impugnato nei termini, « in coerenza con quel paradigma tipico – per gli atti e i provvedimenti amministrativi dell’invalidità derivata ad efficacia caducante ».
11.1. Nella prima RAGIONE_SOCIALE suddette pronunce la Corte, in particolare, afferma che « occorre precisare che nella fattispecie parrebbe comunque operante l’istituto dell’invalidità caducante, nel senso che l’eventuale annullamento dell’accertamento travolgerebbe anche le sanzioni che quello presuppongono. Infatti, nell’ambito del fenomeno generale dell’invalidità derivata, è utile ricordare, si deve distinguere tra la figura dell’invalidità caducante (o caducazione per rifrazione) e quella dell’invalidità ad effetto viziante. La figura dell’invalidità caducante si delinea allorquando il provvedimento annullato in sede giurisdizionale costituisce il presupposto unico ed imprescindibile dei successivi atti consequenziali, esecutivi e meramente confermativi, sicché il suo venir meno travolge automaticamente (nel senso che non occorre una ulteriore specifica impugnativa) tali atti successivi
strettamente e specificamente collegati al provvedimento presupposto. L’effetto caducante può essere ravvisato solo quando tra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione-consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti ».
Da quanto detto consegue che il ricorso va rigettato in accoglimento dell’eccezione proposta dalla controricorrente.
In applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 23.700,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2025.