Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3578 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3578 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9295/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA – SEZ.DIST. SIRACUSA n. 3412/2017 depositata il 18/09/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente società RAGIONE_SOCIALE beneficiava degli incentivi per investimenti su aree svantaggiate di cui all’art. 8 l. n. 388/2000. Tuttavia, per gli anni di imposta 2001, 2002 e 2003 non procedeva all’ammortamento dei beni acquistati con tali incent ivi, mantenendone quindi inalterato il valore iscritto a bilancio ed aumentando così l’ammontare del credito d’imposta che su tale valore viene calcolato.
Con atto impositivo notificato il 24 maggio 2004, l’Ufficio censurava il comportamento elusivo dell’azienda, rilevando come proprio a partire dall’anno successivo all’acquisto, il bilancio avesse preso un’impostazione diversa e non giustificabile, se non p er fruire indebitamente di maggior credito di imposta. Applicava quindi un ‘ammortamento figurativo’ per calcolare la ripresa a tassazione.
Il giudice di prossimità apprezzava le ragioni di parte privata, ritenendo nulla dovuto perché nessun ammortamento era stato effettuato e che non poteva l’Ufficio interferire nelle scelte dell’imprenditore, intervenendo sulla redazione del bilancio.
La sentenza era riformata in appello, sull’assunto del carattere elusivo della modifica nella prassi di redazione del bilancio, sostenuta solo per conseguire un indebito maggior credito di imposta.
Avverso questa sentenza ricorre la parte contribuente affidandosi a due mezzi cassatori, cui replica il Patrono erariale con tempestivo controricorso.
CONSIERATO
Vengono proposti due mezzi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 132, secondo comma, numero 4 del medesimo codice di rito, nonché dell’articolo 36 del decreto legislativo numero 546 del 1992, nonché dell’articolo 112 del codice di procedura civile.
Nella sostanza, si lamenta che il giudice sia incorso in motivazione meramente apparente per aver fatto uso di espressioni apodittiche e meramente di stile, richiamando le risultanze degli archivi informatici e dei libri matricola.
Giudice del fatto processuale, questa Suprema Corte di legittimità ritiene che la sentenza in scrutinio sia dotata di motivazione strutturata che comunque esula dall’ipotesi di motivazione apparente, solo all’interno del qual caso è ammissibile lo scrutinio di questa Corte. Ed infatti deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018). Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni
Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
La motivazione della sentenza in scrutinio, riferendosi a risultanze documentali criticamente valutate (la prassi di bilancio), a deduzioni logiche, al richiamo di precedenti specifici di questa Suprema Corte di legittimità, è dotata di un apparato argomentativo che supera l’ambito ristretto di scrutinio residuo riservato a questa Suprema Corte di legittimità.
Il motivo pertanto non può essere accolto.
Con il secondo motivo si prospetta censura i sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 8 della legge numero 388 del 2000, degli articoli 67 e 68 del DPR numero 917 del 1986. Nella sostanza si afferma che nessun obbligo di legge preveda l’ammortamento dei beni strumentali acquistati, né la normativa speciale sugli incentivi per le zone svantaggiate, né la disciplina generale tributaria sulle imposte dirette. Si afferma che costituisce arbitraria intromissione dell’Ufficio nell’autonomia l’impresa la redazione di ammortamenti figurativi non portati in deduzione, sul presupposto di un obbligo generale di ammortamento.
Il motivo non può essere accolto.
Correttamente la sentenza in scrutinio la richiamo i precedenti di questa Suprema Corte di legittimità in ordine alla redazione rigorosa del bilancio, secondo i principi civilistici e con le uniche eccezioni fiscali previste dalla disciplina particolare di settore. I beni strumentali sono tenuti alla regola dell’ammortamento, secondo i principi generali OCSE di tenuta del bilancio e la commissione di merito rileva, stigmatizzandolo, il mutamento di regime della società contribuente che inizia a non portare più ad ammortamento i beni strumentali in concomitanza con il credito di imposta, senza nessuna giustificazione plausibile, diversa dal risparmio fiscale, recte , da indebito credito fiscale.
Ed infatti, in materia tributaria, integra abuso del diritto, il cui divieto costituisce principio generale antielusivo, l’operazione economica volta al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente (Cass., V, n. 15321/2019).
Più precisamente, in tema di effetti fiscali dell’ammortamento, è stato precisato che in tema di determinazione del reddito d’impresa, a far data dal 1° gennaio 2004, in virtù dell’art. 102 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, la deducibilità fiscale delle quote d’ammortamento continua ad essere consentita al massimo entro il limite stabilito per ciascuna categoria di beni dal d.m. 31 dicembre 1988, mentre non è più previsto alcun ammontare minimo di iscrizione delle quote medesime, per cui la durata minima del processo di ammortamento dovrà essere almeno pari a quella stabilita in via normativa, mentre quella massima resta affidata alla discrezionalità del contribuente (cfr. Cass. V, n. 13481/2015). A
fortiori , nel regime previgente al 2004, negli anni di imposta 2001, 2002, e 2003 di cui qui è causa, il regime minimo di ammortamento era prefissato normativamente, senza possibilità in capo all’imprenditore di escluderne l’applicazione, tantomeno in assenza di esplicita giustificazione.
In definitiva il ricorso è infondato e deve essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.duemilatrecento/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.