Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29245 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29245 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore e RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, entrambe rappresentate e difese ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliate in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione in Fallimento, con l’AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’UMBRIA n. 345/01/23, depositata il 13 novembre 2023. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
La società RAGIONE_SOCIALE, allora in bonis, a seguito della opzione per la rivalutazione dei beni ammortizzabili compiuto nell’anno d’imposta 2005, era tenuta al pagamento di un’imposta pari al 7% dell’importo di € 39.760.438, per un totale di euro 2.783.231. Dal quadro RY, rigo RY8, del modello UNICO presentato per l’anno
Interesse a resistere
d’imposta 2005 la società risultava aver pagato euro 278.323, corrispondente al 10% dell’imposta, mentre il residuo importo doveva essere versato in due rate di € 1.252.453,95 ciascuna, entro il 31 luglio 2007 l’una ed entro il 31 luglio 2008 l’altra. In difetto del pagamento rateizzato, l’Ufficio rilevava l’irregolarità con avviso bonario n° 13894770897/0 ricevuto dalla società il 2-42010. Rimasto tale avviso senza riscontro, l’Ufficio iscriveva a ruolo le somme dovute in conseguenza dell’opzione formulata nella dichiarazione. In data 14/09/2011 l’Agente di Riscossione notificava la cartella n.° 080 2011 0017687466 presso il domicilio fiscale della società nelle mani di una persona qualificatasi come COGNOME NOME, il quale apponeva la propria firma per ricevuta qualificandosi come amministratore unico della Società.
2. Veniva quindi proposto contenzioso che vedeva soccombente la società in primo grado, mentre in grado d’appello la CGT accoglieva il gravame osservando che la sottoscrizione della cartolina da parte dell’amministratore della società era risultata apocrifa come da sentenza del Tribunale di Roma; che il difetto di interesse, in quanto oggetto dell’impugnazione era l’estratto di ruolo, non sussisteva in quanto l’oggetto del giudizio era connesso ‘alla riserva assunta in sede fallimentare sulla domanda di ammissione al passivo della cartella stessa, riserva assunta dal giudice delegato proprio in ragione della pendenza del presente giudizio tributario’. Inoltre, sempre la CGT osservava che ‘considerato che l’ammissione con riserva in sede fallimentare è divenuta definitiva in data antecedente all’entrata in vigore della L. 215/21 (di conversione del dl 146/21), non è prevista l’emissione di alcun ulteriore atto di riscossione suscettibile di impugnazione, circostanza che ulteriormente conferma l’effettivo interesse della RAGIONE_SOCIALE ad una pronuncia’.
Propongono così l’RAGIONE_SOCIALE impositrice e l’agente della riscossione ricorso in cassazione affidato a due motivi, a fronte del quale il fallimento resiste a mezzo di controricorso.
Successivamente lo stesso ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce ‘Nullità del procedimento per difetto di interesse ex art. 100 cpc e 93 LF della Curatela alla prosecuzione dell’appello, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc . Risulta per tabulas che: l’obbligazione tributaria per cui è causa deriva non da un accertamento , ma dalla stessa dichiarazione dei redditi per il 2005, in cui la società ha espresso l’opzione per il pagamento rateale dell’imposta sostitutiva per accedere alla rivalutazione dei beni ammortizzabili; la stessa ha costituito l’oggetto di iscrizione a ruolo e poi di cartella di pagamento, della cui notifica dibattono le parti; fallita la società, la Curatela ha ammesso l’insinuazione del credito tributario predetto , subordinandola ex art. 96 LF all’esito del presente giudizio (…)’ A fronte di ciò, a parere della difesa erariale, l’assunto già riportato della CGT ‘viola la norma processuale di cui all’art. 100 cpc. Infatti, è principio acquisito che l’insinuazione di un credito tributario alla massa passiva ex art. 93 LF non è subordinata alla emissione di un atto esecutivo, ma all’esistenza dell’obbligazione stessa, che, salvo contestazione nel merito, può essere provata dalla esibizione del ruolo’ .
A suffragio del proprio dire la difesa erariale porta la giurisprudenza di questa Corte in virtù della quale ai fini dell’ammissibilità della domanda d’insinuazione non occorre che l’avviso di accertamento o quello di addebito siano notificati, ma è sufficiente la produzione dell’estratto di ruolo, spettando in caso di contestazione all’erario offrire la relativa prova’ (Cass. civ. Sez. I Ord., 15/04/2024, n. 10047; Cass. civ. Sez. I Ord., 16/12/2022, n. 37006). Nessun rilievo, e dunque nessun interesse processuale, secondo la ricorrente, ‘viene ravvisato in relazione alla sussistenza
stessa dell’atto esecutivo e persino di quello impositivo, radicandosi l’interesse soltanto nella esistenza o meno dell’obbligazione, se contestata dal fallito o dagli altri creditori procedenti. Non essendovi interesse al giudizio sulla correttezza della notifica della cartella ai fini dell’insinuazione ex art. 93 L.F., il Giudice di appello avrebbe dovuto rilevare di ufficio il difetto di interesse ex art. 100 cpc della Curatela alla prosecuzione della lite.
Nel presente caso, a prescindere dalla validità o meno della notifica della cartella contestata, è indiscusso che il ruolo sia stato esibito dall’Agente di Riscossione e che l’obbligazione tributaria relativa alle rate, di elevato importo, ancora da corrispondere, sussistesse. Nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione si riportato le rubriche dei motivi di appello della società: ‘1. illegittimità della pronuncia laddove la CTP ha affermato l’esistenza e la legittimità della cartella di pagamento anche in caso di difetto di notifica con conseguente illegittimo diniego della richiesta di sospensione del processo ex art. 39 del Dlgs n. 546/92’ (pag. 7 dell’appello della società); ‘2. illegittimità della sentenza impugnata laddove la CTP ha confermato la competenza territoriale della DPIII di Roma ad eseguire l’iscrizione a ruolo contestata’ (pag. 18 dell’appello della società); ‘3. illegittimità della sentenza laddove la CTP ha ritenuto insussistente il vizio di motivazione della cartella di pagamento’ (pag. 22 dell’appello della società). La Curatela non poteva quindi trarre alcuna utilitas per l’interesse dei creditori idonea a sostenere la prosecuzione dell’appello intentato dalla società e basato esclusivamente su censure afferenti alla notifica e alla forma della cartella, senza contestazione alcuna sulla debenza nel merito del tributo.’
1.1. A fronte di tali considerazioni, la difesa del fallimento eccepisce invece che se è certamente consentito inserire al passivo un credito sulla base dell’estratto di ruolo (che ne fotografa la
sussistenza -ma non lo accerta necessariamente), la medesima giurisprudenza di legittimità fa sempre salva l’eventuale contestazione, da parte della procedura fallimentare, della sussistenza effettiva del credito. Pertanto, nella specie l’impugnazione della cartella, ossia la contestazione del credito dell’A.D.E. (per mancata notifica del titolo), pendente già al momento della declaratoria di fallimento di RAGIONE_SOCIALE, supererebbe il fatto -ritenuto inconferente -per cui l’ammissione del credito al passivo possa avvenire su estratto di ruolo prima ancora che su cartella esattoriale.
Ancora si osserva da parte della procedura controricorrente ‘L’interesse del Fallimento alla pronuncia della CGT derivava dal ‘giudicato endofallimentare’ sulla ammissione con riserva della cartella di pagamento, che ha fatto dipendere l’ammissione del credito dall’esito del giudizio tributario sulla legittimità della notificazione della cartella di pagamento, a sua volta condizionato dall’esito della querela di falso esperita dinanzi al Tribunale di Roma. Si ricorda che in data 2 marzo 2021, la cartella di pagamento veniva ammessa con riserva al passivo del fallimento della ISF ex art. 96, comma 2 L.F., in ragione della pendenza del giudizio di appello sulla validità della notificazione della cartella. L’ammissione con riserva nello stato passivo è divenuta definitiva in data 11 aprile 2021, come da relativo certificato di passaggio in giudicato. E ‘il cd. giudicato endofallimentare … copre solo la statuizione di rigetto o di accoglimento della domanda di ammissione precludendone il riesame’ (Cass. n. 11808/2022). Ed allora è chiaro che l’RAGIONE_SOCIALE, non avendo impugnato la ammissione con riserva entro il termine decadenziale di trenta giorni dalla comunicazione dello stato passivo ex art. 99 L.F., avvenuta con PEC del 12 marzo 2021 (doc. 6 -già all. 9 alla istanza di trattazione), non può poi dolersi degli effetti sostanziali del provvedimento (la sussistenza del credito, ovvero la sua
insussistenza per rigetto della domanda pendente) in altro e diverso contendere (il presente).’.
Ulteriormente si osserva che ‘la legittimità dell’ammissione al passivo fallimentare del credito erariale sulla base del solo estratto di ruolo doveva essere fatta valere in sede di impugnazione del decreto del G.D. che ha reso esecutivo lo stato passivo – cioè a prescindere dalla sussistenza di una valida ed effettiva notifica della relativa cartella di pagamento alla Società, allora in bonis’.
1.2. La tesi della difesa della procedura è basata sull’interpretazione per cui l’ammissione con riserva in attesa dell’esito del giudizio avente ad oggetto la regolarità della notifica della cartella sarebbe data da una statuizione di rigetto nell’ipotesi in cui il giudizio tributario avesse un esito negativo e di accoglimento definitivo nel caso opposto.
1.3. Invero il cd ‘giudicato endofallimentare’, pur limitato nella sua efficacia ai soli effetti della procedura e dei relativi diritti di insinuazione nello stato passivo e di collocazione nell’eventuale attivo fallimentare, determina un’irretrattabilità in ordine all’ammissione o meno.
Nel caso dell’ammissione con riserva, tale regola deve essere combinata con quanto stabilito dall’art. 113 -bis l.fall., in virtù del quale verificandosi l’evento che ha determinato l’accoglimento con riserva, il giudice delegato modifica lo stato passivo con decreto, disponendo che la domanda deve intendersi accolta definitivamente.
Peraltro va ricordato che in base ad un consolidato orientamento, sebbene la disposizione in esame sia dettata per l’ipotesi di accoglimento della domanda proposta dal creditore, essa dev’essere interpretata, in coerenza con il principio della ragionevole durata del processo, in modo da includervi anche l’ipotesi del rigetto (anche solo parziale) della stessa con sentenza non ancora passata in giudicato: in tal caso, il creditore che voglia
evitarne il passaggio in giudicato ed ottenere l’ammissione del proprio credito al passivo del fallimento, è tenuto a impugnarla nei confronti del curatore, il quale, a sua volta, è legittimato non solo a proporre l’impugnazione ma anche a resistervi (Cass. n. 25952/24).
Precisato che proprio la pendenza di un giudizio tributario costituisce un’ipotesi speciale di riserva propria (in quanto espressamente prevista dall’art. 88 d.p.r. n. 602/73), nella specie è pacifico, dallo stesso provvedimento del g.d. (‘«mmesso con riserva per euro 3.848.256,81, ex art. 96, comma 2, n. 3 L.F., dovendosi attendere l’esito dei giudizi gr. 354/2018 Commissione Regionale Tributaria per l’Umbria, attualmente sospeso ed in attesa dell’esito del Giudizio R.G.A.C. 10139/2018 Tribunale di Roma Sez. II, avente ad oggetto querela di falso proposta dalla RAGIONE_SOCIALE in bonis circa l’apocrifia della sottoscrizione apposta nella relata di notifica della cartella esattoriale » (cfr. citazione memoria di parte controricorrente) che l’ammissione con riserva avvenne sulla base della cartella oggetto del presente giudizio.
Ne deriva che in caso di accoglimento del ricorso avverso la cartella, anche in sede di gravame, in effetti la statuizione del giudice delegato non poteva che comportare l’applicazione dell’art. 113bis l. fall., e dunque l’esclusione del credito oggetto di riserva, con conseguente pieno interesse a ricorrere da parte della procedura; mentre in quello di rigetto dello stesso, sarebbe stato quello dell’ammissione incondizionata del credito erariale.
Dunque, l’unico mezzo per la difesa del fallimento di evitare l’effetto di definitivo accoglimento, dipendente dal descritto meccanismo, era costituito proprio dall’impugnazione della pronuncia di primo grado (o meglio della prosecuzione del giudizio d’appello) che effettivamente, come visto, aveva respinto il ricorso; così come specularmente la difesa erariale non aveva altra possibilità di evitare la definitiva esclusione dal passivo che
impugnare la pronuncia d’appello che aveva invece accolto il gravame della procedura.
Alla stregua di quanto precede emerge chiaramente l’interesse della curatela a resistere, perché l’esito del giudizio sulla cartella, alla luce del provvedimento di ammissione con riserva, non era affatto quello, comunque, dell’ammissione del credito sulla base dell’estratto di ruolo, ma appunto l’esclusione del credito in base al disposto di cui all’art. 113 bis l.f.
Va dunque espresso il seguente principio di diritto
‘In materia di ammissione con riserva al passivo fallimentare, ove oggetto di ammissione sia un credito erariale portato in una cartella di pagamento oggetto di impugnazione in un giudizio tributario, non può affermarsi il difetto di interesse della procedura a ricorrere avverso il rigetto della domanda in primo grado, in quanto l’accoglimento del gravame determinerebbe invariabilmente, per effetto del disposto di cui all’art. 113 bis, l.fall., l’esclusione del credito erariale dal passivo, a nulla rilevando che il credito erariale possa essere insinuato al passivo a prescindere dalla emissione della cartella esattoriale e in generale da un atto esecutivo, ma anche sulla base dell’esistenza dell’obbligazione che, salvo contestazione nel merito, può essere provata dall’esibizione del ruolo.’
Col secondo motivo si deduce ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del D.P.R. 602/1973, dell’art. 60 dpr 600/73 e dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. E’ pacifico e incontroverso che: – la cartella controversa è stata recapitata nel domicilio fiscale della società; – la firma ivi apposta dalla persona qualificatasi come AVV_NOTAIO.re unico NOME COGNOME, non corrisponde alla sottoscrizione di questi, come accertato dal Tribunale di Roma; – la società ha avuto conoscenza della pretesa riscossiva e ha potuto esplicare il proprio diritto di difesa mediante l’impugnazione del ruolo in luogo della cartella, asseritamente non
conosciuta. La CTR fa derivare ipso facto alla non riferibilità della firma sull’avviso di ricevimento, la nullità della notifica e d a questa la nullità della cartella e dell’obbligazione tributaria che essa era volta a riscuotere. Tali assunzioni di pongono in contrasto con le norme in epigrafe. La ratio decidendi contrasta con l’art. 60 dpr 600/73 e con l’art. 26 del d.p.r. n.602/73. L’art. 60 costituisce infatti un sistema di norme speciali in materia di notifica degli atti tributari, rispondenti allo scopo perseguito dal legislatore di semplificare l’attività notificatoria di un gran numero di atti, svolta nell’interesse pubblico alla percezione del gettito fiscale da parte della collettività ai sensi dell’art. 53 Cost., imponendo al contribuente , nell’ambito del rapporto di lealtà che deve sussistere bilateralmente con il Fisco, di far conoscere il luogo di ‘domicilio fiscale’. Espressiva di tale finalità pubblicistica è la disposizione che pone la ultrattività del domicilio fiscale noto all’amm.ne nei sessanta giorni successivi alla comunicazione della sua variazione. Siffatta disposizione tiene conto della complessità della macchina burocratica e della sua segmentazione in compartimenti, prevedendo un tempo necessario a che la informazione possa raggiungere gli uffici che ne devono far uso. Orbene, ciò significa che la nozione di buona fede e quindi l’onere di diligenza esigibile per l’amm.ne fiscale ai fini della notificazione di decine di migliaia di atti impositivi nell’interesse pubblico assume una connotazione diversa da quella che può assumere per un privato cittadino. La Corte insegna in proposito che la disciplina della notificazione degli atti tributari, quindi, ‘si fonda su criterio del domicilio fiscale e sull’onere preventivo del contribuente di indicare all’ufficio tributario il proprio domicilio fiscale e di tenere detto ufficio costantemente informato RAGIONE_SOCIALE eventuali variazioni, di guisa che il mancato adempimento, originario o successivo, di tale onere di comunicazione legittima l’ufficio procedente ad eseguire le notifiche comunque nel domicilio fiscale per ultimo noto, eventualmente
nella forma semplificata di cui al DPR 1973, n. 600, art. 60, lettera e), non potendosi addossare all’Amministrazione l’onere di ricercare il contribuente fuori dal domicilio stesso’ (Cass. 11504/2018; conformi, ex plurimis, Cass. 753/2019, Cass. n. 32653/2018, Cass. n. 11056/2018). In tale sottosistema la disciplina posta per gli atti riscossivi dall’art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973 costituisce una ulteriore semplificazione. In proposito la Corte insegna: ‘Osserva al riguardo il collegio che la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, anche direttamente da parte del concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senza alcun altro adempimento da parte dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituite la mittente; ne consegue che se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona a cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur sempre valido, poiché la relazione tra la persona a cui esso è destinato e quella a cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata’ (Cass. civ. Sez. V, 19-09-2012, n. 15746; Cass. civ. Sez. V, 27-05-2011, n. 11708) e ancora ‘va cassata la sentenza con cui il giudice di merito ha ritenuto invalida la notifica della cartella sull’erroneo presupposto che, non essendo stata ricevuta dal destinatario personalmente, occorresse l’invio di una seconda raccomandata’
(Cass. sent. 19 gennaio 2017, n. 1304). Se dunque si ritiene perfezionata la notifica anche in mancanza della indicazione della qualità della persona che materialmente la riceve, a fortiori deve ritenersi perfezionata allorché tale persona si sia qualificata come amministratore, sia pur sostituendosi a tale persona, questi era infatti presente nella sede aziendale e dunque da presumersi addetto ad essa.
Anche a tralasciare la validità della notificazione tributaria a prescindere della incertezza sulla persona che ha firmato l’avviso di ricevimento di atto notificato ex art. 26, giova rilevare che nella fattispecie opera l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 cpc. Si ritiene infatti comunemente che la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicché il rinvio disposto dall’articolo 26, comma 5, del DPR n. 602 del 1973, (in tema di notifica della cartella di pagamento) all’articolo 60 del DPR n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di nullità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 c.p.c. (Ordinanza n. 16826 del 24 maggio 2022). Infine, a tutto voler concedere , la nullità della notifica avrebbe al più consentito la remissione in termini del contribuente per la formulazione di contestazioni di merito: “È ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 d.lgs. n° 546 del 1992” (Cass. SSUU 12/10/2015 N. 19704). In relazione a quanto
esposto, voglia la Corte in primo luogo: precisare che la notifica avvenuta ex art. 26 dpr 602/1973 presso il domicilio fiscale del contribuente ed ivi ricevuta è valida a prescindere dalla identificazione della persona che ha firmato l’avviso di ricevimento in tale sede; in secondo luogo, che in relazione alla notifica degli atti tributari, trova applicazione il principio di sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 cpc; infine, che l’invalidità della notifica della cartella di pagamento non determina l’estinzione della obbligazione tributaria ipso facto, ma consente al contribuente, venutone a conoscenza di impugnarla unitamente al ruolo’.
2.1. La tesi secondo cui in quanto giunta al domicilio fiscale e avendo poi la società contribuente impugnato l’estratto di ruolo la notifica non poteva essere considerata invalida anche se la sottoscrizione sia pacificamente apocrifa non è fondata, dal momento che qui non si tratta di atto che abbia raggiunto lo scopo (visto che l’impugnativa avvenne sulla base dell’estratto di ruolo e non a seguito della notifica invalida) né di sottoscrizione illeggibile, ma di notifica sottoscritta da uno sconosciuto sotto mentite spoglie dell’amministratore.
Quanto poi alla richiesta, formulata dalla parte ricorrente, di statuirsi che ‘l’invalidità della notifica della cartella di pagamento non determina l’estinzione della obbligazione tributaria ipso facto, ma consente al contribuente, venutone a conoscenza di impugnarla unitamente al ruolo’, la stessa è del tutto estranea al giudizio d’appello. Come ricordato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE nel ricorso, i motivi d’appello erano i seguenti ‘1. illegittimità della pronuncia laddove la CTP ha affermato l’esistenza e la legittimità della cartella di pagamento anche in caso di difetto di notifica con conseguente illegittimo diniego della richiesta di sospensione del processo ex art. 39 del Dlgs n. 546/92’ (pag. 7 dell’appello della società); ‘2. illegittimità della sentenza impugnata laddove la CTP ha
confermato la competenza territoriale della DPIII di Roma ad eseguire l’iscrizione a ruolo contestata’ (pag. 18 dell’appello della società); ‘3. illegittimità della sentenza laddove la CTP ha ritenuto insussistente il vizio di motivazione della cartella di pagamento’ (pag. 22 dell’appello della società)’ e la decisione ha preso in esame gli stessi, per cui null’altro andava statuito da parte della CGT d’appello.
In conclusione il ricorso dev’essere respinto con aggravio di spese in capo alla parte ricorrente.
Nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna le ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese che liquida in complessivi € 16.000,00 oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 % dell’onorario, i.v.a. e c.p.a. se dovute, ed oltre ad esborsi per € 200,00.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2025
Il Presidente (NOME COGNOME)