Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14025 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 14025 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2585/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE E IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA EX D LGS N 270/99, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE e rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME
-intimato-
avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2358/2021 depositata il 24/06/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito l’ Avv. NOME COGNOME per parte ricorrente, ha concluso per accoglimento del ricorso.
Udito il P.G. che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La CTR. della Lombardia, con la sentenza n. 2358/11/2021, depositata in data 24 giugno 2021 e non notificata, rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ed in amministrazione straordinaria ex d.lgs. n. 270/1999 avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnazione proposta dalla predetta società nei confronti del Comune di Concorezzo avverso un avviso di accertamento relativo ad IMU annualità 20142018.
La società contribuente proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’ ente impositore rimaneva intimato.
Il Consigliere designato formulava, in data 6 ottobre 2023, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., proposta di definizione accelerata, rilevando la manifesta infondatezza dei motivi formulati dalla società.
Quest’ultima ha avanzato richiesta di decisione ai sensi dell’art. 380-bis. c.p.c., illustrando le proprie ragioni anche con memoria ex art. 380bis .1. c.p.c.
Il P.G., con memoria in atti, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza interlocutoria è stata disposta la trattazione della causa in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3. c.p.c., violazione dell’art. 91 c.p.c. assumendo che la C.T.R., avendo integrato la sentenza di
primo grado del tutto carente in punto di motivazione, non avrebbe potuto confermare la statuizione con la quale la C.T.P. ne aveva disposto la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese di lite del primo grado di giudizio.
Con il secondo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3. c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 6, d.lgs. 504/1992 e dell’ art. 9, comma 7, d.lgs. 23/2011 nonché degli artt. 1, 18, 19, 20, 36, 48, 54 e 57 d.lgs. 270/1999 ed, ancora, dell’ art. 112 c.p.c. e degli artt. 42, 43, 51, 52 e 111 legge fallimentare, assumendo che la disposizione dettata dall’art. 10, comma 6, d.lgs. n. 504 del 1992, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, è da ritenere applicabile anche alle procedure di amministrazione straordinaria che si svolgono ai sensi del d.lgs. n. 270 del 1999 quando il programma di liquidazione non preveda la continuità aziendale.
Il primo motivo è privo di fondamento.
3.1. Rileva il Collegio che appare corretta in diritto la pronunzia della C.T.R. la quale ha condivisibilmente e con congrue argomentazioni ritenuto che la sentenza primo grado risultava correttamente motivata, dovendosi, sotto altro profilo, considerare che, in ogni caso, in ragione della totale soccombenza di parte contribuente, le spese di entrambi i gradi di giudizio sono state, nel rispetto del disposto di cui all’art. 91 c.p.c., poste a carico della stessa.
Anche il secondo motivo va rigettato.
4.1. La questione posta con tale motivo attiene all’accertamento se la disposizione dettata dall’art. 10, comma 6, d.lgs. n. 504 del 1992 (applicabile ratione temporis ) sia applicabile anche alle procedure di amministrazione straordinaria che si svolgono ai sensi del (allora vigente) d.lgs. n. 270 del 1999, quando il programma di liquidazione non preveda la continuità aziendale.
Occorre ricordare che la disciplina prevista in materia di IMU dall’art. 10, comma 6, del d.lgs. n. 504/1992, consente alle imprese in
fallimento ed in liquidazione coatta amministrativa di differire il versamento dell’IMU dovuta sugli immobili ricompresi nel fallimento, al momento in cui si perfeziona la cessione degli stessi.
In ordine alle disposizioni di riferimento va, in primo luogo, richiamato l’art. 36 del assimila detta procedura alla L.C.A.; la norma stabilisce, in particolare, che: ‘
In particolare la prima norma ha indotto una parte della dottrina ed anche della giurisprudenza di merito ad affermare che, in virtù del rinvio operato dall’art. 36 appena citato, debbano ritenersi applicabili anche alla amministrazione straordinaria, quando non diversamente stabilito, non solo le norme che disciplinano lo svolgimento della procedura concorsuale di liquidazione coatta amministrativa, ma anche quelle che concernono profili non strettamente
procedimentali. L’art. 36, in sostanza, secondo i sostenitori di tale impostazione, richiamerebbe tutto il coacervo delle disposizioni applicabili alla liquidazione coatta amministrativa anche quando non funzionali ad integrare le lacune della disciplina dettata dal d.lgs. n. 270/1999.
4.2. Il primo profilo da affrontare è se ci si trovi in presenza o meno di una norma agevolativa.
Secondo la società contribuente tale disposizione non è affatto connotata da una funzione agevolativa, prevedendo per i contribuenti sottoposti a fallimento ovvero a liquidazione coatta amministrativa, esclusivamente un differente periodo d’imposta del tributo e della sua eventuale liquidazione.
Si assume che il regime previsto dalla richiamata disposizione consente, infatti, alle imprese in fallimento ed in liquidazione coatta amministrativa esclusivamente di differire il versamento dell’IMU dovuta sugli immobili ricompresi nel fallimento ovvero nella proceduta di liquidazione coatta amministrativa, al momento in cui si perfeziona la cessione degli stessi.
Si è affermato, da parte di certa dottrina, che il mero differimento temporale del pagamento dell’IMU non possa costituire un’agevolazione fiscale, seppure esso sia stato disposto da una legge; il che consentirebbe di affermare che non ci si trovi in presenza di una norma di carattere eccezionale, bensì di una norma ordinaria. Essa, infatti, non implicherebbe alcuna deroga ai principi generali di applicazione del tributo IMU in quanto non ne modifica la base imponibi le, né l’aliquota del prelievo, né dispone nuove esclusioni o esenzioni rispetto a quelle contenute nell’impianto normativo che regola il tributo; essa dispone solamente il differimento dei tempi del suo pagamento.
La tesi che propugna la parte contribuente è di una interpretazione ‘estensiva’ della norma, tesi la quale muove dalla considerazione secondo cui nell’ipotesi in cui la procedura di amministrazione
straordinaria sia finalizzata alla liquidazione dei beni dell’imprenditore, e non anche alla prosecuzione della sua attività, tale tipologia di procedura concorsuale, sia sotto il profilo funzionale che strutturale, presenta importanti punti di contatto con la procedura fallimentare, specie sotto il profilo del rispetto della par condicio creditorum e del regime dei crediti (in tal senso viene il rilievo l’art.20 della richiamata legge che disciplina l’amministrazione straordinaria, secondo cui ‘ 1. I crediti sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio del debitore dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza sono soddisfatti in prededuzione, a norma dell’ articolo 111, primo comma, numero 1), della legge fallimentare ‘. ).
Tuttavia giova replicare che plurime ragioni depongono nel senso della configurabilità di una vera e propria agevolazione, come, peraltro, già affermato da questa Corte con le pronunzie Cass. nn. 7397/2019 e 19681/2023, dovendosi ritenere pienamente condivisibili le argomentazioni ivi svolte unitamente alle considerazioni formulate dalla Procura Generale nelle proprie conclusioni scritte.
Invero affinché una norma possa ascriversi tra quelle agevolatrici non occorre che stabilisca una totale esenzione dal tributo ma appare sufficiente che, come nel caso in esame, detti un regime speciale che esenta il contribuente dal pagamento di interessi e sanzioni o prevede tempi e modi di pagamento differenti da quelli ordinari.
In dottrina si parla, in generale, di agevolazione ogniqualvolta ci si trovi in presenza di una deroga al regime ordinario. Si è affermato che l’effetto dell’agevolazione è sempre la diminuzione del peso dell’imposta da ottenersi tramite i più disparati strumenti: esenzioni, deduzioni dalla base imponibile, detrazioni dell’imposta, riduzione delle aliquote, regimi sostitutivi, sospensione dell’im posta, crediti d’imposta.
L’art. 10, comma 6, d.lgs. n. 504/1992 è connotato, invero da una contribuenti sottoposti a fallimento ovvero a liquidazione coatta amministrativa, d’imposta del tributo e di esclusione della debenza di sanzioni ed interessi, chiara funzione agevolativa, prevedendo, per i un regime più favorevole, in punto di (più elastico) periodo elemento questo che evidenzia la natura ‘eccezionale’ della norma. D’altra parte, al di là delle indubbie ‘affinità’, sotto il profilo tecnico -liquidatorio, fa procedure, trattasi pur sempre di procedure concorsuali ‘ontologicamente’ diverse e con presupposti, finalità ed effetti non certo sovrapponibili.
Né rileva, in modo determinante, che il tribunale competente abbia dichiarato la cessazione dell’esercizio dell’impresa e disposto la dismissione dei beni per il soddisfacimento dei crediti ammessi al passivo (art. 73 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270), atteso che l’eccezionalità dell’art. 10, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, prescinde dai possibili sbocchi procedurali dell’amministrazione straordinaria.
Del resto, nel campo tributario esistono altri regimi ‘speciali’ circoscritti solamente a talune procedure.
Ad esempio, in materia di imposte sui redditi, l’art. 183, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (in seguito T.U.I.R.), come noto, dispone che il reddito del periodo che intercorre, indipendentemente dalla sua durata, dalla dichiarazione di fallimento al termine della procedura fallimentare (c.d. maxi-periodo fallimentare) è determinato in misura pari alla differenza tra il patrimonio netto iniziale (determinato sulla base del bilancio redatto dal curatore ai sensi del comma 1 della disposizione in commento) ed il ‘residuo attivo’. Peraltro, il patrimonio netto è considerato nullo, qualora le passività siano pari o superiori alle attività, da che ne consegue che, fino a che le attività non abbiano superato le passività, non potrà configurarsi nessuna emersione di materia imponibile.
Analoghe esigenze hanno, poi, condotto il legislatore ad adottare previsioni particolari in materia di determinazione del reddito delle imprese in concordato preventivo. In tale ottica gli artt. 86, comma 5, e 88, comma 4, del T.U.I.R. dispongono l’irrilev anza fiscale, rispettivamente, delle plusvalenze emergenti dalla cessione di beni ai creditori in sede di concordato preventivo, e delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti dell’impresa a seguito della omologazione della proposta concordataria.
4.3. Non può del resto sottacersi che il rinvio operato dall’art. 36 d.lgs. n. 270 del 1999 è evidentemente finalizzato a regolamentare lo svolgimento della procedura concorsuale di amministrazione straordinaria relativamente agli aspetti che non siano stati oggetto di normazione esplicita. Non è, invece, plausibile che detto richiamo possa essere letto nel senso che ogni disposizione riferibile alla liquidazione coatta amministrativa deve considerarsi automaticamente applicabile anche alla amministrazione straordinaria. Alla luce di tali considerazioni sembra, perciò, potersi concludere affermando che il rinvio di cui all’art. 36 d.lgs. n. 270 del 1999 non è dirimente.
Non appare, del resto, in alcun modo praticabile la prospettata integrazione ‘estensiva’ della disposizione in esame, con applicazione del citato regime anche agli immobili detenuti da imprese che abbiano avviato una procedura di amministrazione straordinaria di tipo liquidatorio.
Va ricordato che secondo le Sezioni unite di questa Corte (vedi Cass. civ., sez. un. 3 giugno 2015, n. 11373) costituisce caposaldo dell’ordinamento tributario, nonché «principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e condiviso dalla prevalente dottrina, che le norme fiscali di agevolazione sono norme di ‘stretta interpretazione’, nel senso che non sono in alcun modo applicabili a casi e situazioni non riconducibili al relativo significato letterale». Invero, puntualizzano le Sezioni unite, le norme che
riconoscono agevolazioni o benefici fiscali in deroga all’ordinario regime d’imposizione «sono norme ad interpretazione rigida ed anelastica, in quanto rigorosamente legata al dato letterale. Ed è la centralità stessa del criterio nel sistema dell’imposizi one, al fine del perseguimento degli equilibri cui l’imposizione deve mirare in ottemperanza ai principi di cui agli artt. 23, 53 e 81 Cost. (cfr. C. cost. 10/2015) » a rendere ineludibile l’osservanza di tale regula iuris.
A questo riguardo, attesa la ‘specialità’ dell’ordinamento tributario, l’interpretazione analogica non trova applicazione né per le norme impositive, né per quelle sanzionatorie e/o agevolative.
4.4. Come osservato dalla Procura Generale, con considerazioni pienamente condivisibili, non appare possibile ipotizzare che il d.lgs. n. 504/1992 possa essere interpretato oltre il suo tenore letterale per ovviare ad una possibile dimenticanza del legislatore cui occorre rimediare proponendo una lettura costituzionalmente orientata delle norme in esame. A conferma di tale conclusione oltre al rilievo della inapplicabilità dell’art. 10 citato al di fuori dei casi espressamente contemplati in virtù dell’art . 14 delle preleggi, va richiamato, in modo significativo, l’art. 1, comma 768, ultimo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (‘Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 20202022’), in tem a di c.d. ‘nuova IMU’, che ha conservato una formulazione similare alla norma previgente, secondo cui: «Per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa, il curatore o il commissario liquidatore sono tenuti al versamento della tassa dovuta per il periodo di durata dell’intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili», ribadendo l’esclusione dal beneficio per le imprese e le società in amministrazione straordinaria.
Poiché il d.lgs. n. 270 del 1999 era già entrato in vigore e, dunque, la previsione avrebbe potuto essere colmata nel 2019 quando è stata
introdotta la nuova IMU, in tale ultima occasione, ove il legislatore lo avesse voluto, avrebbe potuto estendere la disciplina di favore a tutte le procedure concorsuali con finalità solo liquidatorie, in quanto tali caratterizzate da una eadem ratio, dato questo che appare suffragare l’ interpretazione della normativa in esame nei termini anzi cennati.
Nel dare continuità ai richiamati precedenti, il ricorso va, dunque, rigettato alla stregua del seguente principio di diritto: ‘ la disciplina dell’art. 10 d.lgs. 504/1992, integrando una deroga al regime impositivo generale, è da ritenersi di stretta interpretazione e poiché tale norma fa espresso riferimento al fallimento e alla liquidazione coatta amministrativa, non è possibile farne applicazione analogica ovvero ‘estensiva’ all’amministrazione straordinaria anche allorquando abbia finalità liquidatoria ‘.
Essendo l’ente impositore rimasto intimato, ai sensi dell’ art. 380 bis . c.p.c., la società contribuente va condannata solamente al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende liquidata come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al versamento della somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.; ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione