Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17816 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17816 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
Amministratore di fatto-sanzioni
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24965/2020 R.G. proposto da:
DEL NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato, dalla quale è difesa ope legis ;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5325/2019 depositata in data 20 dicembre 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nell ‘ udienza pubblica del 2/04/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
udito il PM, in persona del sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME;
udito l’avv. NOME COGNOME per il ricorrente;
udito l’avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale (CTR) della Lombardia rigettava gli appelli, previa loro riunione, proposti da NOME COGNOME contro due sentenze della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano che ne aveva respinto i ricorsi contro due atti di irrogazione di sanzioni, per gli anni 2012 e 2013, emessi nei suoi confronti quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, nei cui confronti, per i medesimi anni, erano effettuate riprese Ires, Irap e Iva, alla luce delle omesse dichiarazioni fiscali.
In particolare, i giudici lombardi, perimetrato l’oggetto del giudizio nell ‘ applicazione delle sole sanzioni e non nella richiesta dei tributi accertati nei confronti della società, evidenziavano che l ‘art. 7 d.l. n. 269/2003, che prevede che le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche se gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare la sua responsabilità sul concorso ex art. 9 d.lgs. n. 472/1997, tuttavia non sia applicabile nei casi, come quello in esame, in cui l’ente societario sia costituito artificiosamente a fini tributari e costituisca una mera fictio , in quanto la disposizione presuppone che la persona fisica autrice della violazione abbia agito nell’interesse e a beneficio della società amministrata
mentre in casi siffatti non vi è differenza tra trasgressore e contribuente; nel caso di specie, evidenziavano gli elementi da cui emergeva che la società fosse una mera cartiera, fittiziamente interposta; evidenziavano ancora che il ricorrente neanche aveva contestato il suo ruolo centrale nello schema fraudolento ma solo di essere estraneo al ruolo di amministratore di fatto della società; evidenziato che egli aveva tratto beneficio alla spartizione del bottino fiscale creato con le cessioni intracomunitarie, illustravano gli elementi che deponevano per la responsabilità di questi, complice nell’attività criminosa di COGNOME NOME, legale rappresentante della società ed esaminavano infine criticamente le deduzioni difensive al riguardo.
Contro tale decisione propone ricorso il contribuente sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per l ‘udienza pubblica del 2 aprile 2025, per la quale l’ufficio del PM ha depositato memoria con cui ha chiesto pronunciarsene l’inammissibilità o il rigetto .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.l. n. 269/2003, lamentando la contraddittorietà della motivazione laddove la CTR, pur ritenendo che tale disposizione valga anche per il caso di amministratore di fatto, ha comunque ritenuto applicabili le sanzioni nei suoi confronti, dopo averlo qualificato tale, e senza accertare il vantaggio che avrebbe conseguito.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2639, primo comma, c.c. e 9 d.lgs. n. 472 del 1997, censurando la statuizione con cui la CTR lo ha ritenuto
amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, censurando l ‘ idoneità degli elementi fattuali valorizzati.
Il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
In deroga al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione stabilito dall’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 472/1997, l’art. 7 d.l. n. 269/2003, convertito con l. n. 326/2003, ha disposto che «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società od enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica», limitando a quest’ultima, anche quando sia gestita da un amministratore di fatto (Cass. n. 25284/2017; Cass. n. 28331/2018; Cass. n. 10975/2019; Cass. n. 29038/2021; Cass. n. 1946/2023; Cass. n. 20697/2024), le sanzioni amministrative tributarie per le violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
Questa stessa Corte ha precisato, peraltro, che l’applicazione della norma eccezionale introdotta dall’art. 7 cit. presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore; viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore del la società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustif ica l’applicazione dell’art. 7,
cit., diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la disciplina generale di cui al d.lgs. n. 472/1997 cosicché la sanzione tributaria pecuniaria colpisce la persona fisica (Cass. n. 12334/2019; Cass. n. 25757/2020; Cass. n. 29038/2021; Cass. n. 10651/2022; Cass. n. 1946/2023).
In questa prospettiva si è pure affermato che il principio ex art. 7 cit. non opera nell’ipotesi di società «cartiera», atteso che, in tal caso, la società è una mera fictio , utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto ( Cass. n. 19716/2013; Cass. n. 5924/2017; Cass. n. 10975/2019; Cass. n. 12334/2019; Cass. n. 29038/2021; Cass. n. 36003/2021; Cass. n. 23231/2022; Cass. n. 14364/2022; Cass. n. 26057/2023; Cass. n. 1946/2023).
Quindi, la qualità di amministratore di fatto di una società non comporta, di per sé, la sua responsabilità per le sanzioni riferibili alla società di capitali, di cui risponde «esclusivamente» l’ente ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 269/2003, richiedendosi, secondo ta le giurisprudenza, anche la strumentalizzazione dello schema societario per il perseguimento di fini propri ovvero l’artificiosa costituzione della società per fini illeciti e personali, sicché in tali casi non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente.
L’orientamento giurisprudenziale in questione è stato peraltro significativamente recepito dal legislatore con la novella operata dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 87 del 14 giugno 2024 che, riformando la materia delle sanzioni, ha così statuito sul punto: «Modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. 1. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 2, dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. La sanzione pecuniaria relativa al rapporto tributario proprio di società o enti, con o senza personalità giuridica di cui agli
articoli 5 e 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è esclusivamente a carico della società o ente. Resta ferma, nella fase di riscossione, la disciplina sulla responsabilità solidale e sussidiaria prevista dal codice civile per i soggetti privi di personalità giuridica. Se è accertato che la persona giuridica, la società o l’ente privo di personalità giuridica di cui al primo periodo sono fittiziamente costituiti o interposti, la sanzione è irrogata nei confronti del soggetto che ha agito per loro conto».
Nel caso di specie, i giudici di appello si sono attenuti a tali principi, dopo averli esplicitamente richiamati e condivisi (con il che la infondatezza in diritto della prima parte del motivo) e, con accertamento in fatto analogo a quello effettuato dai primi giudici ed incensurabile in questa sede sotto il profilo della dedotta violazione di legge (con conseguente inammissibilità della relativa censura), hanno accertato l’inesistenza della società RAGIONE_SOCIALE, evidenziando che non aveva tenuto alcun documento contabile, aveva dichiarato una sede legale inesistente, poi spostandola in luogo ove nulla che la riguardasse potesse essere rintracciato, che era inesistente presso la CCIA né aveva presentato dichiarazioni fiscali, che gli stessi amministratori si erano succeduti rapidamente per poi rendersi irreperibili, concludendo che si trattasse di una mera cartiera; hanno evidenziato poi gli elementi che inducevano a ritenere il COGNOME amministratore di fatto della società, che aveva partecipato, attraverso la RAGIONE_SOCIALE, operante nello stesso settore commerciale, alla spartizione del bottino derivante dalla frode.
Occorre appena evidenziare che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo
della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (di recente, tra le tante, Cass. 25/03/2025, n. 7871; Cass. 19/09/2024, n. 25182); peraltro nel caso di specie si è in presenza di una cd. doppia conforme, il che preclude la deduzione del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, primo co mma, n. 5 c.p.c .
Il secondo motivo è anche esso in parte infondato e in parte inammissibile.
Questa Corte ha evidenziato che «in tema di società, la persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza» (Cass. 19/01/2022, n. 1546).
Il giudice di appello ha evidenziato che il ricorrente gestiva i rapporti con i fornitori esteri e i trasportatori; ha evidenziato altresì la gestione diretta della merce prelevata dal deposito in uso alla Teman; infine ha esaminato singolarmente, escludendone, la rilevanza, gli elementi dedotti dal contribuente (pagina 6 della sentenza) e in definitiva ha ritenuto, sulla base del quadro probatorio prima indicato, che l’attività svolta dal COGNOME fosse equiparabile ad una vera e propria ingerenza nella gestione della società e che tale partecipazione fosse stata continuativa e sistematica, conformemente ai criteri di individuazione dell’amministratore di fatto (con il che la infondatezza della censura), anche sul punto dovendosi segnalare che non è possibile in questa sede censurare la selezione e la valutazione degli elementi probatori raccolti nel giudizio, attività che tipicamente
compete al giudice del merito (con il che la inammissibilità della censura laddove mira ad una rivalutazione degli stessi).
Concludendo, i motivi vanno respinti.
Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 2 aprile 2025.