Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8837 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8837 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10362/2017 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. NAPOLI n. 9105/2016 depositata il 18/10/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha emesso avviso di accertamento per l’anno 2009 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali soci occulti e amministratori di fatto, recante il recupero di materiale imponibile, con determinazione di maggiori IRES, IRAP e IVA e sanzioni, a seguito di una complessa indagine della Guardia di finanza dalla quale era emerso che il COGNOME e il NOME, con la complicità di terzi soggetti, sotto lo schermo della RAGIONE_SOCIALE e di altre società, tutte amministrate da COGNOME, prive di beni strumentali e con sedi fittizie, avevano fornito manodopera ad imprese operanti nel settore edilizio realizzando sistematiche violazioni della normativa fiscale attraverso dichiarazioni fiscali infedeli riportanti costi e crediti IVA inesistenti per svariati milioni di euro, questi ultimi utilizzati in compensazione RAGIONE_SOCIALE ritenute IRPEF e dei contributi previdenziali e assistenziali per i dipendenti. .
Il COGNOME e il COGNOME hanno proposto ricorso che la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli ha rigettato.
Anche l’appello proposto da i predetti è stato rigettato: la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania, con la sentenza in epigrafe, ha osservato che l’atto era stata notificato ai ricorrenti non quali legali rappresentanti della società ma quali amministratori di fatto, chiamati a rispondere RAGIONE_SOCIALE sanzioni per fatto proprio; nel merito, la CTR ha accertato l’ingerenza dei ricorrenti nella gestione della società, sulla scorta RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dai committenti e dai dipendenti della società, il cui amministratore formale era risultato irreperibile.
Il COGNOME e il COGNOME hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su quattro motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2
comma 2 del d.lgs. n. 472/1997, 60 d.P.R. n. 600/1973 e 145 c.p.c. in quanto erroneamente l’atto emesso nei confronti della società era stato notificato ai ricorrenti quali pretesi amministratori di fatto, nei cui confronti non era stata avanzata alcuna pretesa neppure per le sanzioni.
1.1. Il motivo è inammissibile perché è fondato su una errata lettura dell’atto impugnato e trascura del tutto la decisione sul punto della CTR: l’atto, come chiaramente riportato dal Giudice d’appello , è stato notificato al COGNOME e al COGNOME non per la società, come suoi rappresentanti, ma in proprio in quanto amministratori di fatto, che possono essere chiamati a rispondere RAGIONE_SOCIALE sanzioni (v. par. 4).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2639 c.c., in quanto l’attribuzione della qualità di amministratore di fatto presuppone lo svolgimento di attività riconducibili alle funzioni attribuite dalla legge agli amministratori di diritto che, in questo caso, non erano state usurpate, perché dalle dichiarazioni di terzi poteva desumersi soltanto lo svolgimento di compiti tecnici nell’ambito dei cantieri aperti dalla società.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile e, comunque, è infondato. In primo luogo, è inconferente il riferimento all’art. 2639 c.c. che riguarda la responsabilità penale dell’amministratore di fatto; inoltre, il motivo contraddice l’ accertamento in fatto svolto dalla CTR la quale ha concluso che i due ricorrenti svolgevano « sistematicamente e continuativamente ogni attività decisionale, riconducibile alla società di cui gestivano tutti gli aspetti economici, operativi e finanziari nei rapporti con clienti e dipendenti »; questo accertamento, poi, è in linea con l’orientamento di questa Corte in materia, in virtù del quale la persona « inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale
ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza » (Cass. n. 1546 del 2022).
Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2247 c.c. e 2462 c.c., laddove la CTR, affermando che le valutazioni che hanno condotto a riconoscere in capo ai ricorrenti la qualità di amministratori di fatto « hanno rilevanza ai fini della qualifica di soci occulti », ha erroneamente equiparato l’ amministratore di fatto al socio occulto, perché si tratta di figure ben distinte.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi . La sentenza non ha confuso le due figure ma ha osservato, in sostanza, che le emergenze che fondano l’accertamento della qualità di amministratore di fatto possono valere anche per accertare il ruolo di socio occulto ; l’affermazione non ha un preciso significato decisionale nel contesto della sentenza, atteso che la responsabilità della persona fisica per le violazioni tributarie riferibili alla società non richiede l’accertamento della qualità di socio occulto (v. par. 4).
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 comma 2 d.lgs. n. 472/1997 e 7 d.l. n. 269/2003 conv. dalla l. n. 326/2003, in quanto i ricorrenti sono estranei alla società e non devono rispondere RAGIONE_SOCIALE violazioni tributarie ad essa contestate.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. L’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, convertito poi in l. n. 326 del 2003, secondo cui « le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica », non opera qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore, anche di fatto, della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità
giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio; in questo caso, infatti, viene meno la ragione che giustifica l’applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (Cass. n. 1946 del 2023; Cass., 29038 del 2021; Cass. n. 12334 del 2019; Cass., n. 19716 del 2013; Cass. n. 5924 del 2017; Cass. n. 10975 del 2019). La CTR, laddove respinge le dedotte violazioni dell’art. 7 cit. osservando che gli appellanti sono stati « chiamati a rispondere di sanzioni amministrative per condotte proprie e non per conto della società », non si pone in contrasto con questo orientamento.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023.