Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30638 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 30638 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13719/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE (P_IVA) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE NAPOLI n. 9627/2017 depositata il 13/11/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME. Udite le conclusioni come ‘infra’ rassegnate dal Pubblico Ministero e dalle parti.
FATTI DI CAUSA
In punto di fatto, dagli atti di causa (sentenza in epigrafe; ricorso per cassazione e controricorso), si evince che RAGIONE_SOCIALE era stata sottoposta a verifica fiscale, esitata in PVC della Guardia di Finanza di Napoli, in recepimento del quale, l’Ufficio di Napoli dell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate, con avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, considerata l’irreperibilità della documentazione contabile, determinava induttivamente ex art. 39, comma 2, DPR n. 600 del 1973, in relazione all’a.i. 2011, un maggior reddito d’impresa, recuperando altresì una maggiore IVA determinata sull’ammontare di beni ceduti in evasione d’imposta, con conseguenti recuperi ai fini delle imposte sia dirette che indirette, oltre interessi e sanzioni.
La società – di cui COGNOME NOME (‘ soggetto a cui era riconducibile la proprietà della società, sia direttamente che per il tramite di quote societarie intestate alla moglie o a società fiduciarie, artatamente interposte ‘: p. 2 ric.) aveva ricoperto la carica di amministratore unico dal 12 dicembre 2001 al 9 ottobre 2009, allorquando, a seguito di delibera assembleare straordinaria, giusta processo verbale notarile iscritto nel registro delle imprese il 20 ottobre 2009, gli subentrava il cittadino rumeno COGNOME NOME , con contestuale trasferimento della sede dalla INDIRIZZO alla INDIRIZZO di Arienzo – era cessata dal 22 dicembre 2009, a seguito di ulteriore trasferimento della sede – dall’Ufficio ritenuto fittizio – dalla predetta INDIRIZZO di Arienzo in Romania (precisamente, all’indirizzo di NOME
INDIRIZZO, rivelatosi l’ultimo domicilio noto del Voicolescu, tuttavia colà, come anche in Italia, irreperibile).
L’avviso era notificato sia al COGNOME, nella qualità di ‘ legale rappresentante e rappresentante di fatto ‘ sia al COGNOME, nella qualità di (ultimo) legale rappresentante (p. 2 ric.; p. 3 controric.).
Il COGNOME impugnava l’avviso innanzi alla CTP di Napoli, la quale, con sentenza n. 16051 del 3 ottobre 2016, accoglieva il ricorso, osservando (come da sentenza in epigrafe) ‘ la predetta società era stata cancellata dal registro delle imprese nel dicembre 2009 e che il PVC della GdF era datato 12 novembre 2013 ; che pertanto la pretesa erariale era successiva alla estinzione della società; che il COGNOME, come rappresentante legale e amministratore di fatto, non poteva essere più soggetto passivo nell’accertamento né in un eventuale giudizio; che non trovava applicazione il differimento quinquennale ex art. 2945/2 c.c. e che, infine, non vi erano elementi per ritenere che ci fosse stata una ultrattività della società dopo l’estinzione ‘.
L’Ufficio proponeva appello, rigettato dalla CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, richiamando integralmente la motivazione della sentenza di primo grado e soggiungendo che ‘ non vi è prova che il COGNOME abbia svolto le funzioni di amministratore di fatto o si sia ingerito nella gestione della società successivamente alla sua decadenza dalla carica di rappresentante legale o che la stessa società abbia continuato ad operare in Italia pur dopo la sua cancellazione per trasferimento all’estero. Invero, dalla natura fittizia del trasferimento all’estero della società non scaturisce l’effetto di una presunta ultrattività dopo la cancellazione che valga a superare il disposto dell’art. 2495 c.c. e ancor meno a radicare una legittimazione passiva del COGNOME nel presente giudizio ‘.
Propone ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi, cui resiste il COGNOME con controricorso. Il Pubblico Ministero presso questa Suprema Corte, in persona del AVV_NOTAIO, giusta requisitoria scritta del 18 giugno 2025, conclude per l’accoglimento del ricorso.
All’odierna pubblica udienza, dopo breve discussione, il Pubblico Ministero, in persona del medesimo AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, reitera le conclusioni come innanzi; i difensori delle parti, nelle persone dell’AVV_NOTAIO, per l’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza dell’RAGIONE_SOCIALE, e dell’AVV_NOTAIO, in rappresentanza del contribuente, si riportano alle rispettive conclusioni come in atti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rilevarsi che manifestamente infondate sono le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate in controricorso.
1.1. Invero il ricorso – a differenza di quanto affermato in controricorso -non si affida affatto alla tecnica della mera fotocopiatura e spillatura di atti e documenti di causa, atteso che le fotoriproduzioni introdottevi rispondono, finanche dichiaratamente, all’esigenza di assolvere all’onere di autosufficienza. Esso, esposti sinteticamente ma chiaramente i fatti rilevanti e lo svolgimento del giudizio, con essenziale indicazione di documenti ed atti, si articola in motivi tutti autonomamente e compiutamente rubricati e formulati, enucleando con precisione le violazioni in tesi affliggenti la sentenza impugnata, a loro volta ragguagliate a consoni paradigmi censori.
Ciò detto, assume priorità logica il quarto motivo di ricorso, inteso a denunciare nullità della sentenza impugnata, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per sostanziale difetto di motivazione.
2.1. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata palesa una (condivisibile o meno, ma comunque) effettiva motivazione, sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista contenutistico, tanto che la ricorrente RAGIONE_SOCIALE con detta motivazione ampiamente si confronta nei primi tre motivi. In tal guisa, la sentenza impugnata supera la soglia del cd. minimo costituzionale, esulando per l’effetto il denunciato ‘error in procedendo’ (Cass. Sez. U n. 8053 del 2014).
I restanti primi tre motivi, per sostanziale sovrapponibilità di censure, possono essere enunciati e trattato congiuntamente.
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, 2697 e 2495 cod. civ. e delle ‘ norme in tema di estinzione delle società di capitali ‘, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., giacché la CTR ha omesso di considerare gli elementi addotti dall’Ufficio per dimostrare che il COGNOME ‘ aveva effettuato una serie di fittizi trasferimenti di sede, di fittizi affidamenti di incarichi societari e, di fatto, l’occultamento/distruzione delle scritture contabili obbligatorie , stato ritenuto amministratore di fatto e vero ‘dominus’ della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ anche successivamente al 09.10.2009 ‘. ‘ ali dati ed elementi comprovano la fittizietà della cancellazione della società dal registro delle imprese e, di conseguenza, l’inapplicabilità al caso in esame dell’art. 2495 del codice civile ‘.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., non avendo la sentenza impugnata ‘ posto a base della decisione l’atto impositivo impugnato nella parte in cui recepisce le circostanze -indizi univoci a carico del sig. COGNOME riportati dal p.v.c. ‘. Ne discende,
altresì, la violazione delle regole sull’onere della prova, ‘ regolarmente assolto dall’Ufficio ‘.
Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di fatti decisivi e controversi, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in riferimento alla ‘ serie di indizi a carico del signor COGNOME ‘, di cui al motivo precedente.
Sono fondati, pur per ragioni parzialmente diverse da quelle addotte dall’RAGIONE_SOCIALE, il primo ed il secondo motivo, assorbito il terzo.
La sentenza impugnata attribuisce decisivo rilievo all’elemento della cancellazione della società, di cui il COGNOME aveva da tempo dismesso la carica amministrativa, dal registro delle imprese, in tal guisa, tuttavia, ignorando la tesi agenziale, che invece era doverosamente tenuta a sottoporre a verifica, secondo cui unico ‘dominus’ della società è sempre stato il COGNOME, sia quando era amministratore di diritto, sia dopo, quando, sulla carta, gli è subentrato il COGNOME.
In effetti, l’avviso di accertamento per cui è causa attinge il COGNOME personalmente, nella qualità di ‘ legale rappresentante e rappresentante di fatto ‘. Il COGNOME è cioè chiamato a rispondere per violazioni a lui direttamente riferibili, quale ‘deus ex machina’ della società, per tutto il periodo della sua attività amministrativa, così quello in cui era ‘ legale rappresentante ‘, ossia dal 12 dicembre 2001 al 9 ottobre 2009, come quello successivo, in cui ha solo formalmente dismesso la carica in favore del mero prestanome COGNOME, ma ha seguitato ad agire quale ‘ rappresentante di fatto ‘: tanto più che, nella prospettazione agenziale complessivamente riguardata (siccome riassunta in specie nel primo motivo), al medesimo era altresì imputabile la proprietà della società (dapprima detenuta per il tramite della moglie e di società interposte, dappoi per il tramite dello stesso COGNOME, cui, in
aggiunta ai poteri amministrativi, era stata altresì trasferita la titolarità delle quote).
In relazione ad un contesto di tal fatta, sovviene quanto recentemente questa Suprema Corte ha avuto modo di precisare in una sentenza di ampio respiro sistematico sulla responsabilità del ‘dominus’, non solo per le sanzioni ex art. 7 d.l. n. 269 del 2003 (giusta approdi ormai consolidati in giurisprudenza: cfr., da ult., Cass. n. 29038 del 2021), ma per l’interezza del debito tributario, comprensivo di imposte, sia dirette che indirette, e sanzioni. Il riferimento cade sull’insegnamento, che il Collegio espressamente ribadisce e condivide, impartito da Cass. n. 1358 del 2023, secondo cui, in tema di accertamento nei confronti di chi abbia gestito ‘uti dominus’ una società di capitali, ridotta a mero schermo, si determina, ai sensi dell’art. 37, comma 3, DPR n. 600 1973, una vera e propria traslazione in capo al medesimo del reddito d’impresa, con il necessario seguito del debito d’imposta considerato ‘in blocco’. Segnatamente, in motivazione, parr. 2.4 ss., p. 7 ss., la sentenza citata osserva che:
2.4. l meccanismo che, nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi è quello previsto dall’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 che dispone: «In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona».
2.4.1. La norma prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria
rappresentato dal possesso effettivo di un reddito «per interposta persona».
2.4.2. Giova sottolineare che, come costantemente ribadito dalla Corte, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 22/05/2019; Cass. n. 4168 del 21/02/2018; Cass. n. 17833 del 19/07/2017; Cass. n. 25129 del 7/12/2016; già Cass. S.U. n. 9961 del 13/11/1996).
2.4.3. L’oggetto della prova incombente sull’Amministrazione finanziaria, peraltro, non attiene agli elementi costitutivi dell’interposizione ma solo – come precisa la norma – che «egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona»: la funzione della norma, dunque, è quella di evitare che il contribuente (effettivo possessore) si sottragga al prelievo occultando all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito.
2.4.4. In altri termini, il possesso del reddito «per interposta persona» costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo: la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e
della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità .
2.4.6. Nel caso di reddito d’impresa ha rilievo, di norma, la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito (i.e. la società); tuttavia, tale ruolo, per assumere incidenza, deve «assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perché deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi, anche ai fini Irap e Iva) al soggetto persona fisica interponente come se fosse stato prodotto da quest’ultimo» (così Cass. n. 5276 del 2022, cit.).
2.4.7. Ciò significa che la posizione dell’interponente non è quella di mero gestore dell’ente collettivo – condizione che, in quanto tale, sarebbe significativa ai fini reddituali solo nelle società di persone interposte e, in caso di socio, a fondamento del maggior reddito da partecipazione ai fini Irpef – ma di soggetto che disponga uti dominus delle risorse del soggetto interposto.
2.4.8. Come si è osservato, del resto, nell’ipotesi in questione, «si configura, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della RAGIONE_SOCIALE, ossia di chi eserciti professionalmente con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società (Cass., Sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1439; Cass., Sez. I, 16 gennaio 1999, n. 405; Cass., Sez. I, 9 agosto 2002, n. 12113; Cass., Sez. I, 13 marzo 2003, n. 3724; Cass., Sez. U., 29 novembre 2006, n. 25275; Cass., Sez. I, 6 marzo 2017, n. 5520; Cass.,
Sez. I, 3 giugno 2020, n. 10495)» (così, sempre la già citata Cass. n. 5276 del 2022).
2.4.9. Ne deriva che, in tale ipotesi, la prova che incombe sull’Amministrazione finanziaria ha ad oggetto il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale, quindi, da dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società.
La CTR ha completamente misconosciuto la natura personale dell’avviso notificato al COGNOME, così cadendo in una duplice censurabile affermazione, laddove sostiene che ‘ dalla natura fittizia del trasferimento all’estero della società non scaturisce l’effetto di una presunta ultrattività dopo la cancellazione che valga a superare il disposto dell’art. 2495 c.c. e ancor meno a radicare una legittimazione passiva del COGNOME nel presente giudizio ‘.
Il ‘thema’ della ritenuta (ma in realtà non ricorrente, come subito si dirà) inesistenza della società è (viepiù erroneamente) evocato fuori contesto, atteso che, alla stregua di quanto precede, a venire in linea di conto non è la posizione della società, rappresentata dall’amministratore formalmente in carica COGNOME, cui in effetti correttamente è stato notificato l’avviso ai sensi dell’art. 145 cod. proc. civ., ma la posizione del COGNOME, per violazioni a lui ‘ex se’ riferibili, quale unico e reale ‘dominus’ della società, utilizzata alla stregua di una sua propaggine per fini personali, sia nel periodo in cui era amministratore di diritto, sia nel periodo successivo, entro cui si colloca l’a.i. interessato dall’accertamento (2011).
Peraltro, come anticipavasi, a prescindere dall’evocazione fuori contesto del suddetto ‘thema’, è comunque ad osservarsi che,
per costante insegnamento, ‘ in tema di avviso di accertamento, la cancellazione dal registro delle imprese di una società a seguito del trasferimento della sua sede sociale all’estero ‘ di per sé ‘ non determina alcun effetto estintivo ex art. 2945 c.c., sicché nell’ambito dei rapporti fiscali rimangono fermi sia la titolarità passiva delle obbligazioni tributarie che la capacità della persona giuridica contribuente ‘ (Cass. nn. 11632 del 2024; 16775 del 2020). Conseguentemente, ‘ la cancellazione della società dal registro delle imprese per trasferimento della sede sociale all’estero implica la cessazione della sua attività, sicché tale società, non venendo meno, non perde la sua legittimazione processuale ad agire o resistere in giudizio ‘ (Cass. n. 3375 del 2020). La fittizietà del trasferimento rileva a fondare la competenza dell’Ufficio all’accertamento, con correlativo radicamento, in sede impugnatoria, della giurisdizione italiana. Invero – come recentemente ribadito da questa Suprema Corte (Cass. n. 1075 del 2025) – qualora il trasferimento all’estero della sede di una società sia fittizio, essa, così a fini fiscali come, secondo quanto già ritenuto, a fini fallimentari (Cass. n. 10356 del 2021), deve ritenersi avente sede in Italia, ove è imputabile il centro effettivo dei suoi affari ed interessi. Il richiamo alla giurisprudenza fallimentare comporta che, anche in ambito tributario, il trasferimento fittizio – che si rivela tale in quanto il trasferimento di sede non sia stato seguito dal trasferimento effettivo dell’attività imprenditoriale (Cass. Sez. U n. 3059 del 2016): in specie, dunque, nei casi, come quello che ne occupa, in cui nella nuova sede non sia effettivamente esercitata alcuna attività economica e, ‘a fortiori’, non sia stato spostato il centro amministrativo ed organizzativo dell’attività d’impresa -‘ non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione
dell’attività imprenditoriale, che continua ad essere svolta nel territorio dello Stato ‘ (Cass. n. 43 del 2017).
13.1. Donde la CTR ha altresì errato nel ritenere la (sopravvenuta) inesistenza della società: la quale, invece, siccome solo trasferita all’estero, per di più fittiziamente, seguita ad esistere in Italia, seguitando – alla stregua della tesi dell’RAGIONE_SOCIALE – a contemplare il COGNOME quale amministratore di fatto (in aggiunta al COGNOME quale amministratore di diritto).
Altro concorrente errore compiuto dalla CTR (su cui impinge più particolarmente il secondo motivo) consiste in ciò che, onde pervenire all’annullamento dell’avviso, ha valorizzato la cessazione, ‘illo tempore’, del COGNOME dalla carica amministrativa, con subentro del COGNOME, siccome risultante dai registri camerali.
14.1. Essa ha così pretermesso di ricostruire l’effettiva posizione del medesimo in seno alla società, a prescindere dalle risultanze formali, valutando il complesso degli indizi addotti dall’Ufficio per dimostrare che in realtà egli, dapprima quale amministratore di diritto, dappoi quale amministratore di fatto, disponeva ‘uti dominus’ della società, a lui riconducibile anche sul piano dell’assetto partecipativo.
14.2. Ne consegue il patente malgoverno delle regole che presiedono la prova presuntiva, in relazione alle quali – oltre a quanto osservato da Cass. n. 1358 del 2023, cit., sullo specifico tema della traslazione dei debiti tributari al ‘dominus’ di una società schermo – questa Suprema Corte in generale da tempo insegna che ‘ il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre
una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento ‘ (così già Cass. n. 9059 del 2018). In specificazione del principio di cui innanzi si precisa che ‘ il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del
molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi ‘ (Cass. n. 9054 del 2022).
In definitiva, in accoglimento del primo e del secondo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo e rigettato il quarto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 10 settembre 2025.
Il Consigliere relatore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME