Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30633 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 30633 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/11/2025
SENTENZA
sui seguenti ricorsi riuniti:
– ricorso iscritto al n. 18711/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE NAPOLI n. 552/2017 depositata il 24/01/2017;
– ricorso iscritto al n. 30590/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso la SENTENZA di COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE NAPOLI n. 5814/2018 depositata il 15/06/2018.
Udite le relazioni delle rispettive cause svolte nella pubblica udienza del 10/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME. Udite le conclusioni come ‘infra’ rassegnate nelle rispettive cause dal Pubblico Ministero e dalle parti.
FATTI DI CAUSA
Causa n. 18711 del 2017 R.G.
1. In punto di fatto, dagli atti di causa (sentenza in epigrafe; ricorso per cassazione e controricorso), si evince che RAGIONE_SOCIALE era stata sottoposta a verifica fiscale, esitata in PVC della Guardia di Finanza di Napoli, in recepimento del quale, l’Ufficio di Napoli dell’Agenzia delle entrate, con avviso di accertamento n.
NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO, considerata l’irreperibilità della documentazione contabile, determinava induttivamente ex art. 39, comma 2, DPR n. 600 del 1973, in relazione all’a.i. 2007, un maggior reddito d’impresa, disconoscendo altresì l’importo dell’IVA indicata in detrazione per acquisti non documentati, con conseguenti recuperi ai fini delle imposte sia dirette che indirette, oltre interessi e sanzioni.
La società – di cui COGNOME NOME (‘ soggetto a cui era riconducibile la proprietà della società, sia direttamente che per il tramite di quote societarie intestate alla moglie o a società fiduciarie, artatamente interposte ‘: p. 2 ric.) aveva ricoperto la carica di amministratore unico dal 12 dicembre 2001 al 9 ottobre 2009, allorquando, a seguito di delibera assembleare straordinaria, giusta processo verbale notarile iscritto nel registro delle imprese il 20 ottobre 2009, gli subentrava il cittadino rumeno COGNOME NOME , con contestuale trasferimento della sede dalla INDIRIZZO alla INDIRIZZO di Arienzo – era cessata dal 22 dicembre 2009, a seguito di ulteriore trasferimento della sede – dall’Ufficio ritenuto fittizio – dalla predetta INDIRIZZO di Arienzo in Romania (precisamente, all’indirizzo di Jud Braila INDIRIZZO, rivelatosi l’ultimo domicilio noto del Voicolescu, tuttavia colà, come anche in Italia, irreperibile).
L’avviso era notificato sia al COGNOME, nella qualità di ‘ legale rappresentante e rappresentante di fatto ‘ sia al COGNOME, nella qualità di (ultimo) legale rappresentante (p. 2 ric.; p. 3 controric.).
Il COGNOME impugnava l’avviso innanzi alla CTP di Napoli, la quale, con sentenza n. 19103/29/15 depositata l’11 agosto 2015, accoglieva il ricorso, ritenendo che, ai sensi dell’art. 2495, comma 2, cod. civ., a decorrere dal 1° gennaio 2004, ‘ per le società di capitali vale la regola del venir meno della capacità e legittimazione di esse, anche se perdurano rapporti o azioni in cui le stesse
società sono parti ‘, talché ‘ l’avviso di accertamento impugnato, notificato ad una società da tempo cancellata ed estinta, va annullato in quanto privo di efficacia ‘.
4. L’Ufficio proponeva appello, rigettato dalla CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, osservando, in motivazione, che, stante l’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese e la cessazione del COGNOME dalla carica amministrativa, nei soli di confronti del COGNOME ‘ l’A.F. avrebbe potuto esigere il recupero del credito nei limiti degli utili distribuiti come risultanti dal bilancio di liquidazione, La circostanza che il Sig. COGNOME sia legale rappresentante di fatto della società non risulta provata ed è in contrasto con quanto emerge dalla visura camerale. La società non esiste più per cui se il contribuente è il rappresentante di fatto di altro soggetto giuridico la circostanza risulta del tutto irrilevante ai fini del richiesto recupero . L’appello va respinto in quanto dal momento della cancellazione la società non può più essere destinataria di atti impositivi, e richieste di pagamento che vanno, invece, rivolte ai soci nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione ex art. 2495 ‘.
5. Propone ricorso per cassazione l’Agenzia con quattro motivi, cui resiste il COGNOME con controricorso. Il Pubblico Ministero presso questa Suprema Corte, in persona del AVV_NOTAIO, giusta requisitoria scritta del 18 giugno 2025, conclude per l’accoglimento del ricorso.
All’odierna pubblica udienza, dopo breve discussione, il Pubblico Ministero, in persona del medesimo AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, reitera le conclusioni come innanzi; i difensori delle parti, nelle persone dell’AVV_NOTAIO, per l’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza dell’Agenzia, e dell’AVV_NOTAIO
COGNOME, in rappresentanza del contribuente, si riportano alle rispettive conclusioni come in atti.
Causa n. 30590 del 2019 R.G.
La causa ha ad oggetto l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO notificato a COGNOME NOME , in relazione all’a.i. 2007, per redditi da partecipazione, sul presupposto che al medesimo fosse ascrivibile la titolarità di RAGIONE_SOCIALE , con riferimento alla quale il COGNOME era stato attinto, ‘ nella pretesa qualità di ‘legale rappresentante e rappresentante di fatto’ ‘ (p. 4 ric.) dall’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, oggetto a sua volta della causa n. 18711 del 2017 R.G., di cui innanzi.
Alla stregua di quanto emerge dagli atti della presente causa (sentenza in epigrafe e ricorso per cassazione), in aggiunta all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, il COGNOME era altresì attinto dall’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, oggetto della presente causa, ‘ con il quale presumendosi ulteriormente che la compagine societaria della RAGIONE_SOCIALE fosse a lui totalmente ascrivibile gli veniva accertato un reddito da capitale di euro 202.116,00, sulla base della presunzione di distribuzione ai soci degli utili accertati in capo a società a ristretta base sociale ‘ (p. 4 ric.).
Il COGNOME impugnava anche questo secondo avviso.
La CTP di Napoli, con sentenza n. 13106/30/2016, rigettava il ricorso.
Il COGNOME proponeva appello, respinto dalla CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, osservando:
-la società è stata cancellata dal registro delle imprese il 22 dicembre 2009, non potendo da allora più essere destinataria di atti impositivi;
-ne è scaturito un fenomeno successorio, ‘ in virtù del quale le obbligazioni della società si trasferiscono ai soci ‘;
-‘ la circostanza che il sig. COGNOME, in base ai puntuali accertamenti della GdF, riportati nel PVC , sia considerato legale rappresentante di fatto della società assume particolare rilievo per quanto concerne le sue precise responsabilità . Infatti sempre al sig. COGNOME era riconducibile direttamente o indirettamente la proprietà della società con la conseguente piena titolarità ‘;
-‘ quanto riportato in narrativa dimostra che le società estere erano solo società di comodo per ostacolare l’attività di accertamento dell’ufficio e celare la effettiva proprietà ed amministrazione dell’impresa ‘;
Propone ricorso per cassazione il COGNOME con tre motivi. L’Agenzia si costituisce ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza. Il Sost. Proc. Gen., in persona del AVV_NOTAIO, deposita conclusioni scritte addì 18 giugno 2025, mediante le quali chiede il rigetto del ricorso.
All’odierna pubblica udienza, dopo breve discussione, il Pubblico Ministero, in persona del medesimo AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, reitera le conclusioni come innanzi; i difensori delle parti, nelle persone dell’AVV_NOTAIO, in rappresentanza del contribuente, e dell’AVV_NOTAIO, per l’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza dell’Agenzia, si riportano alle rispettive conclusioni come in atti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve darsi atto, sussistendo evidenti ragioni di connessione, della riunione della causa n. 30590 del 2019 R.G. alla causa n. 18711 del 2017 R.G.
Nell’ordine logico di esame dei ricorsi, assume rilievo prioritario quello di cui alla causa n. 18711 del 2017 R.G.
In riferimento, dunque, a tale causa, preliminarmente deve rilevarsi che manifestamente infondate sono le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate in controricorso.
3.1. Il ricorso -a differenza di quanto affermato in controricorso -non si affida affatto alla tecnica della mera fotocopiatura e spillatura di atti e documenti di causa, atteso che le fotoriproduzioni introdottevi rispondono, finanche dichiaratamente, all’esigenza di assolvere all’onere di autosufficienza. Esso, esposti sinteticamente ma chiaramente i fatti rilevanti e lo svolgimento del giudizio, con essenziale indicazione di documenti ed atti, si articola in motivi tutti autonomamente e compiutamente rubricati e formulati, enucleando con precisione le violazioni in tesi affliggenti la sentenza impugnata, a loro volta ragguagliate a consoni paradigmi censori.
Ciò detto, assume priorità il quarto motivo, siccome inteso a denunciare nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per sostanziale difetto di motivazione.
4.1. Esso è manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata palesa una (condivisibile o meno, ma comunque) effettiva motivazione, sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista contenutistico, tanto che la ricorrente Agenzia con detta motivazione ampiamente si confronta nei primi tre motivi. In tal guisa, la sentenza impugnata supera la soglia del cd. minimo costituzionale, esulando per l’effetto il denunciato ‘error in procedendo’ (Cass. Sez. U n. 8053 del 2014).
I restanti primi tre motivi, per sostanziale sovrapponibilità di censure, possono essere enunciati congiuntamente.
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 3, cod. proc. civ., giacché l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui la società difetterebbe di legittimazione processuale a seguito della cancellazione dal registro delle imprese contrasta con il fatto che l’Ufficio aveva provato, sulla base degli esiti delle indagini, compiute anche con il coinvolgimento del collaterale organo rumeno, che il RAGIONE_SOCIALE ‘ aveva effettuato una serie di fittizi trasferimenti di sede, di fittizi affidamenti di incarichi societari e, di fatto, l’occultamento/distruzione delle scritture contabili obbligatorie , stato ritenuto amministratore di fatto e vero ‘dominus’ della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ anche successivamente al 09.10.2009 ‘. ‘ ali dati ed elementi comprovano la fittizietà della cancellazione della società dal registro delle imprese e, di conseguenza, l’inapplicabilità al caso in esame dell’art. 2495 del codice civile ‘.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., non avendo la sentenza impugnata ‘ dato conto di aver preso in esame la prova dell’Ufficio circa l’amministrazione di fatto della società RAGIONE_SOCIALE costituita dall’avviso di accertamento e dal PVC della GdF in esso richiamato ‘.
Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di fatti decisivi e controversi, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in riferimento alla ‘ serie di indizi a carico del signor COGNOME ‘, di cui al motivo precedente.
Sono fondati, pur per ragioni parzialmente diverse da quelle addotte dall’Agenzia, il primo ed il secondo motivo, suscettibili pertanto di trattazione congiunta, con conseguente assorbimento del terzo.
La sentenza impugnata attribuisce decisivo rilievo all’elemento della cancellazione della società, di cui il RAGIONE_SOCIALE aveva
da tempo dismesso la carica amministrativa, dal registro delle imprese, in tal guisa, tuttavia, ignorando la tesi agenziale, che invece era doverosamente tenuta a sottoporre a verifica, secondo cui unico ‘dominus’ della società è sempre stato il COGNOME, sia quando era amministratore di diritto, sia dopo, quando, (quantomeno) sulla carta, gli è subentrato il COGNOME.
11. In effetti, l’avviso di accertamento per cui è causa attinge il COGNOME personalmente, nella qualità di ‘ legale rappresentante e rappresentante di fatto ‘. Il COGNOME è cioè chiamato a rispondere per violazioni a lui direttamente riferibili, quale ‘deus ex machina’ della società, per tutto il periodo della sua attività amministrativa, così quello in cui era ‘ legale rappresentante ‘, ossia dal 12 dicembre 2001 al 9 ottobre 2009, come quello successivo, in cui ha solo formalmente dismesso la carica in favore del mero prestanome COGNOME, ma ha seguitato ad agire quale ‘ rappresentante di fatto ‘: tanto più che, nella prospettazione agenziale complessivamente riguardata (siccome riassunta in specie nel primo motivo), al medesimo era altresì imputabile la proprietà della società (dapprima detenuta per il tramite della moglie e di società interposte, dappoi per il tramite dello stesso COGNOME, cui, in aggiunta ai poteri amministrativi, era stata altresì trasferita la titolarità delle quote).
12. In relazione ad un contesto di tal fatta, sovviene quanto recentemente questa Suprema Corte ha avuto modo di precisare in una sentenza di ampio respiro sistematico sulla responsabilità del ‘dominus’, non solo per le sanzioni ex art. 7 d.l. n. 269 del 2003 (giusta approdi ormai consolidati in giurisprudenza: cfr., da ult., Cass. n. 29038 del 2021), ma per l’interezza del debito tributario, comprensivo di imposte, sia dirette che indirette, e sanzioni. Il riferimento cade sull’insegnamento, che il Collegio espressamente ribadisce e condivide, impartito da Cass. n. 1358 del 2023, secondo cui, in tema di accertamento nei confronti di chi abbia gestito ‘uti
dominus’ una società di capitali, ridotta a mero schermo, si determina, ai sensi dell’art. 37, comma 3, DPR n. 600 1973, una vera e propria traslazione in capo al medesimo del reddito d’impresa, con il necessario seguito del debito d’imposta considerato ‘in blocco’. Segnatamente, in motivazione, parr. 2.4 ss., p. 7 ss., la sentenza citata osserva che:
2.4. l meccanismo che, nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi è quello previsto dall’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 che dispone: «In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona».
2.4.1. La norma prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria rappresentato dal possesso effettivo di un reddito «per interposta persona».
2.4.2. Giova sottolineare che, come costantemente ribadito dalla Corte, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 22/05/2019; Cass. n. 4168 del 21/02/2018; Cass. n. 17833 del 19/07/2017; Cass. n.
25129 del 7/12/2016; già Cass. S.U. n. 9961 del 13/11/1996).
2.4.3. L’oggetto della prova incombente sull’Amministrazione finanziaria, peraltro, non attiene agli elementi costitutivi dell’interposizione ma solo – come precisa la norma – che «egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona»: la funzione della norma, dunque, è quella di evitare che il contribuente (effettivo possessore) si sottragga al prelievo occultando all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito.
2.4.4. In altri termini, il possesso del reddito «per interposta persona» costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo: la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità .
2.4.6. Nel caso di reddito d’impresa ha rilievo, di norma, la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito (i.e. la società); tuttavia, tale ruolo, per assumere incidenza, deve «assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perché deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi,
anche ai fini Irap e Iva) al soggetto persona fisica interponente come se fosse stato prodotto da quest’ultimo» (così Cass. n. 5276 del 2022, cit.).
2.4.7. Ciò significa che la posizione dell’interponente non è quella di mero gestore dell’ente collettivo – condizione che, in quanto tale, sarebbe significativa ai fini reddituali solo nelle società di persone interposte e, in caso di socio, a fondamento del maggior reddito da partecipazione ai fini Irpef – ma di soggetto che disponga uti dominus delle risorse del soggetto interposto.
2.4.8. Come si è osservato, del resto, nell’ipotesi in questione, «si configura, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della RAGIONE_SOCIALE, ossia di chi eserciti professionalmente con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società (Cass., Sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1439; Cass., Sez. I, 16 gennaio 1999, n. 405; Cass., Sez. I, 9 agosto 2002, n. 12113; Cass., Sez. I, 13 marzo 2003, n. 3724; Cass., Sez. U., 29 novembre 2006, n. 25275; Cass., Sez. I, 6 marzo 2017, n. 5520; Cass., Sez. I, 3 giugno 2020, n. 10495)» (così, sempre la già citata Cass. n. 5276 del 2022).
2.4.9. Ne deriva che, in tale ipotesi, la prova che incombe sull’Amministrazione finanziaria ha ad oggetto il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale, quindi, da dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società.
La CTR ha completamente misconosciuto la natura personale dell’avviso notificato al COGNOME, così cadendo in una duplice censurabile affermazione, laddove sostiene
-sia che ‘ la società non esiste più ‘, talché ‘ dal momento della cancellazione la società non può più essere destinataria di atti impositivi, e richieste di pagamento che vanno, invece, rivolte ai soci nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione ex art. 2495 ‘;
-sia che ‘ se il contribuente è il rappresentante di fatto di altro soggetto giuridico la circostanza risulta del tutto irrilevante ai fini del richiesto recupero ‘.
13.1. Il ‘thema’ della ritenuta (ma in realtà non ricorrente, come subito si dirà) inesistenza della società è (viepiù erroneamente) evocato fuori contesto, atteso che, alla stregua di quanto precede, a venire in linea di conto non è la posizione della società, rappresentata dall’amministratore formalmente in carica COGNOME, cui in effetti correttamente è stato notificato l’avviso ai sensi dell’art. 145 cod. proc. civ., ma la posizione del COGNOME, per violazioni a lui ‘ex se’ riferibili, quale unico e reale ‘dominus’ della società, utilizzata alla stregua di una sua propaggine per fini personali, sia nel periodo in cui era amministratore di diritto, periodo entro il quale si colloca l’anno d’imposta oggetto di accertamento (2007), sia successivamente.
Peraltro, come anticipavasi, a prescindere dall’evocazione fuori contesto del suddetto ‘thema’, è comunque ad osservarsi che, per costante insegnamento, ‘ in tema di avviso di accertamento, la cancellazione dal registro delle imprese di una società a seguito del trasferimento della sua sede sociale all’estero ‘ di per sé ‘ non determina alcun effetto estintivo ex art. 2945 c.c., sicché nell’ambito dei rapporti fiscali rimangono fermi sia la titolarità passiva delle obbligazioni tributarie che la capacità della persona giuridica contribuente ‘ (Cass. nn. 11632 del 2024; 16775 del 2020). Conseguentemente, ‘ la cancellazione della società dal registro delle imprese per trasferimento della sede sociale
all’estero implica la cessazione della sua attività, sicché tale società, non venendo meno, non perde la sua legittimazione processuale ad agire o resistere in giudizio ‘ (Cass. n. 3375 del 2020). La fittizietà del trasferimento rileva a fondare la competenza dell’Ufficio all’accertamento, con correlativo radicamento, in sede impugnatoria, della giurisdizione italiana. Invero – come recentemente ribadito da questa Suprema Corte (Cass. n. 1075 del 2025) – qualora il trasferimento all’estero della sede di una società sia fittizio, essa, così a fini fiscali come, secondo quanto già ritenuto, a fini fallimentari (Cass. n. 10356 del 2021), deve ritenersi avente sede in Italia, ove è imputabile il centro effettivo dei suoi affari ed interessi. Il richiamo alla giurisprudenza fallimentare comporta che, anche in ambito tributario, il trasferimento fittizio – che si rivela tale in quanto il trasferimento di sede non sia stato seguito dal trasferimento effettivo dell’attività imprenditoriale (Cass. Sez. U n. 3059 del 2016): in specie dunque nei casi, come quello che ne occupa, in cui nella nuova sede non sia effettivamente esercitata alcuna attività economica e, ‘a fortiori’, non sia stato spostato il centro amministrativo ed organizzativo dell’attività d’impresa -‘ non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell’attività imprenditoriale, che continua ad essere svolta nel territorio dello Stato ‘ (Cass. n. 43 del 2017).
14.1. Donde la CTR ha altresì errato nel ritenere la (sopravvenuta) inesistenza della società: la quale, invece, siccome solo trasferita all’estero, per di più fittiziamente, seguita ad esistere in Italia, per l’effetto seguitando -alla stregua della tesi dell’Agenzia – a contemplare il COGNOME quale amministratore di fatto (in aggiunta al COGNOME quale amministratore di diritto).
Altro concorrente errore compiuto dalla RAGIONE_SOCIALE (su cui impinge più particolarmente il secondo motivo) consiste in ciò che, onde
pervenire all’annullamento dell’avviso, ha valorizzato la cessazione, ‘illo tempore’, del COGNOME dalla carica amministrativa, con subentro del COGNOME, siccome risultante dai registri camerali.
In tal guisa, essa, tra l’altro non considerando che l’a.i. oggetto di accertamento cade nel periodo in cui il COGNOME era amministratore di diritto, ha pretermesso di ricostruire l’effettiva posizione del medesimo in seno alla società, a prescindere dalle risultanze formali, valutando il complesso degli indizi addotti dall’Ufficio per dimostrare che in realtà egli, dapprima quale amministratore di diritto, dappoi quale amministratore di fatto, disponeva ‘uti dominus’ della società, a lui riconducibile anche sul piano dell’assetto partecipativo.
15.1. Ne consegue il patente malgoverno delle regole che presiedono la prova presuntiva, in relazione alle quali – oltre a quanto osservato da Cass. n. 1358 del 2023, cit., sullo specifico tema della traslazione dei debiti tributari al ‘dominus’ di una società schermo – questa Suprema Corte in generale da tempo insegna che ‘ il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve
ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento ‘ (così già Cass. n. 9059 del 2018). In specificazione del principio di cui innanzi precisa poi questa S.C. che ‘ il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi ‘ (Cass. n. 9054 del 2022).
In definitiva, in accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso di cui alla causa n. 18711 del 2017 R.G., la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
Ciò consente di procedere alla disamina del ricorso di cui alla causa n. 30590 del 2019 R.G.
Con il primo motivo di tale ricorso si denuncia ‘ nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 295 c.p.c. ‘, giacché la CTR, come già la CTP, sulla base del rapporto di pregiudizialità dell’avviso di accertamento societario rispetto all’avviso di accertamento personale, avrebbero dovuto sospendere il giudizio relativo all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, che ne occupa, in attesa dell’esito dell’impugnazione dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
19.1. È inammissibile perché, disposta la riunione delle cause che ne occupano, ed avuto riguardo all’esito del giudizio, come innanzi, nella causa n. 18711 del 2017 R.G., è venuto a difettare alcun concreto interesse a sorreggere la censura.
19.2. È comunque infondato per le ragioni che seguono.
Costituisce, ben vero, insegnamento ricevuto quello a termini del quale ‘ la validità dell’avviso in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa, costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati ‘ (così, da ult., Cass. n. 2743 del 2025). Tuttavia, nel caso di specie, l’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO non costituisce affatto ‘ presupposto indefettibile ‘ dell’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO. Alla stregua di quanto ‘funditus’ già visto in riferimento alla causa n. 18711 del 2017 R.G., l’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO, siccome notificato al COGNOME ‘ nella pretesa qualità di ‘legale rappresentante e rappresentante di fatto’ ‘ (come del resto riferito anche dal ricorso per cassazione nella presente causa n. 30590 del 2019 R.G.), ha attinto il COGNOME personalmente. In altri termini, detto avviso non è il cd. avviso sociale cui si riferisce il motivo: avviso invece effettivamente notificato al legale rappresentante COGNOME in una situazione di perdurante esistenza della società, siccome bensì
cancellata dal registro delle imprese, ma per mero, e viepiù fittizio, trasferimento all’estero (con conseguente inconfigurabilità in ogni caso – a differenza di quanto opinato nella sentenza impugnata – di ‘ alcun effetto estintivo ex art. 2945 c.c. ‘).
Così inquadrato l’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO, esso non costituisce l’antecedente logico -giuridico dell’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO, siccome anzi entrambi, a diverso titolo e per riprese diverse, personalmente notificati al COGNOME in relazione all’accertamento che ha colpito la società e per questa il COGNOME, unico soggetto, nella qualità di legale rappresentante, legittimato a proporre impugnazione in nome e per conto della medesima, differentemente dal rappresentante di fatto (come ancora di recente ribadito da Cass. n. 36034 del 2021). Né, d’altronde, il COGNOME, in entrambe le cause, allega di aver impugnato l’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO spendendo una posizione diversa da quella personale, giacché, al contrario, come ricordato ancora nella presente causa (p. 4 ric.), ha contestato la sua ‘ carenza di legittimazione passiva ‘.
Gli ulteriori due motivi, per comunanze di censure, possono essere illustrati congiuntamente.
Con il secondo si denuncia ‘ nullità della sentenza impugnata per mancanza assoluta dei suoi requisiti essenziali (violazione dell’art. 36 del D.Lgs. 546/1992 e dell’art. 111 della Costituzione in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. ‘, risultando la sentenza impugnata sostanzialmente priva di motivazione. In particolare, ‘ lascia stupiti ‘ la ‘ supposta ‘identificazione tra il reddito della società ed il reddito proprio’ ‘, sulla base della quale ‘ i giudici di secondo grado hanno ritenuto di poter rigettare l’appello del contribuente ‘.
Con il terzo si denuncia ‘ violazione degli artt. 39 e segg. Del DPR 600/73 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3,
c.p.c. ‘. ‘ La questione sollevata dal COGNOME con il ricorso introduttivo e ribadita con l’atto di appello è che lo stesso COGNOME è stato socio della RAGIONE_SOCIALE solo con l’1% e, peraltro, solo fino al 2006. Di conseguenza in assenza di qualsiasi elemento fornito dall’Ufficio accertatore nel corso dei due giudizi di merito risulta del tutto illegittima l’attribuzione all’odierno ricorrente del 100% del maggior reddito accertato alla società ‘.
24. È fondato il secondo motivo, conseguentemente assorbito il terzo.
24.1. La CTR, sin già in esordio della sentenza impugnata, quanto allo svolgimento del processo, pare non cogliere che, con l’avviso di accertamento per cui è causa, al COGNOME non è attribuito il maggior reddito sociale, ma il reddito da partecipazione, in funzione della ristretta base, derivantegli dal maggior reddito sociale. Invero, erroneamente, essa scrive che ‘ l sig. COGNOME appella la sentenza con la quale si rigettava il ricorso prodotto contro l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno di imposta 2007 sulla presunzione che allo stesso fosse attribuibile il maggior reddito accertato in capo alla società pari ad euro 20.116,00 ‘. Il fraintendimento in cui cade la CTR permane nello sviluppo propriamente motivazionale della sentenza impugnata, in conclusione del quale afferma, come subito si vedrà apoditticamente, che ‘ il COGNOME è di fatto il socio unico della società ‘, così realizzandosi ‘ una sorta di identificazione tra il reddito della società e quello proprio ‘.
In realtà, come emerge dal ricorso (p. 4), il maggior reddito d’impresa accertato in capo alla società ammonta ad euro 660.142,00, mentre la somma di euro 202.116,00 corrisponde al reddito da partecipazione attribuito al COGNOME in ragione della totale ascrizione al medesimo della ‘ compagine societaria ‘.
24.1.1. Ulteriormente, nella parte della sentenza dedicata ai ‘ motivi della decisione ‘, la CTR – dopo essersi incongruamente diffusa sugli effetti della ritenuta cessazione della società, cessazione che invece, come già detto, non sussiste – assegna altrettanto incongruamente ‘ particolare rilievo ‘ alla qualità di ‘ legale rappresentante di fatto ‘ ‘ per quanto concerne le sue precise responsabilità ‘, qualità che invece non viene in linea di conto agli effetti dell’attribuzione al COGNOME del reddito da partecipazione.
In appresso, confondendo il piano dell’amministrazione e quello della proprietà, utilizza il secondo ad esplicazione del primo, affermando che ‘ nfatti sempre al sig. COGNOME era riconducibile direttamente o indirettamente la proprietà della società con la conseguente piena titolarità ‘.
E, sul piano della proprietà, richiama ‘ quanto riportato in narrativa ‘ per trarne la dimostrazione ‘ che le società estere erano solo società di comodo ‘, concludendo che, ‘ in base alle indagini effettuate, risulta accertato che il COGNOME è di fatto il socio unico della società ‘.
24.2. Ora, nello ‘ svolgimento del processo ‘, le ‘ società estere ‘ sono evocate nell’illustrazione della posizione agenziale in appello, a proposito della quale leggesi testualmente: ‘ Appare chiaro che le indicate società estere ‘ -per vero in sentenza non affatto ‘ indicate ‘ prima – ‘ erano solo società di comodo per ostacolare eventuali accertamenti dell’Amministrazione Finanziaria e dietro cui celare la effettiva proprietà ed amministrazione di impresa. Evidenzia che in occasione della redazione del verbale di assemblea del 9.10.2009 in cui si deliberava il trasferimento della sede legale e la nomina di un nuovo rappresentante, le società estere (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE) erano rappresentate dal nipote del
citato COGNOME. Evidenzia ancora la cessione del 4% delle quote della RAGIONE_SOCIALE società riconducibile alla moglie del COGNOME ‘.
24.2.1. Alla luce del tenore testuale della sentenza impugnata, l’assunto della CTR in ordine alla natura di ‘ società di comodo ‘ delle ‘ società estere ‘ è meramente assertivo: non sono affatto esplicate le ragioni di un tale giudizio ed ‘a monte’ non sono neppure indicate le partecipazioni detenute da dette ‘ società estere ‘ con specifico riguardo all’a.i. accertato. Né vi supplisce il riferimento alle ‘ indagini effettuate ‘, di cui la sentenza impugnata non rende minimamente conto, ‘a fortiori’ omettendo di specificarne gli esiti.
24.3. Più in generale, la motivazione della sentenza impugnata sul punto essenziale della sostanziale riconducibilità, in detto a.i., anche per il tramite di soggetti interposti, dell’intero assetto proprietario al RAGIONE_SOCIALE, sebbene formalmente socio solo all’1% sino al 2006, si limita a frammentati, estemporanei ed incompleti rimandi alla prospettazione agenziale, che si intuisce dallo ‘ svolgimento del processo ‘ più ampia ed approfondita, senza, in ogni casi, il benché minimo approfondimento critico, pur doveroso.
Ne consegue che la sentenza impugnata esibisce una motivazione esistente graficamente, ma non contenutisticamente (Cass. Sez. U n. 8053 del 2014).
In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di ricorso di cui alla causa n. 30590 del 2019 R.G., rigettato il primo ed assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
Dato atto della riunione della causa n. 30590 del 2019 R.G. alla causa n. 18711 del 2017 R.G. , così decide:
-quanto al ricorso di cui alla causa n. 18711 del 2017 R.G. ,
–in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo e rigettato il quarto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese;
-quanto al ricorso di cui alla causa n. 30590 del 2019 R.G. ,
–in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 10 settembre 2025.
Il Consigliere relatore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME