Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9402 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9402 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1155/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. VERONA n. 733/2021 depositata il 31/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con più avvisi di accertamento l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha recuperato a tassazione ai fini IRPEF gli utili di partecipazione non dichiarati dalla RAGIONE_SOCIALE che il Sig. NOME COGNOME, quale socio e amministratore, e il Geom. NOME COGNOME, quale amministratore e
socio di fatto di detta società, unitamente ad un terzo, NOME COGNOME, avevano conseguito nell’anno d’imposta 2007.
Il Sig. NOME COGNOME ha impugnato l’avviso notificatogli sotto vari profili procedurali e di merito. Il Sig. NOME COGNOME, a sua volta, ha impugnato tempestivamente l’avviso, affermando di non essere mai stato né amministratore né socio di fatto della società, contestualmente contestando la legittimità della pretesa operata.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Verona adita ha accolto i ricorsi riuniti e ha annullato gli avvisi impugnati.
Avverso la sentenza ha proposto tempestivo appello l’RAGIONE_SOCIALE, che ha ribadito nel merito la correttezza dei recuperi effettuati nonché la legittimità della presunzione della divisione pro quota degli utili accertati in capo alla società, costituita di fatto dallo stesso COGNOME, dal COGNOME e dal COGNOME.
Nel corso del giudizio d’appello il COGNOME ha aderito alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie tributarie ex d.l. n. 119/2018.
Con la sentenza in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Veneto, dichiarata cessata la materia del contendere con conseguente estinzione del giudizio limitatamente alla posizione del COGNOME, ha accolto l’appello dell’Ufficio con riguardo al COGNOME.
La CTR ha osservato che dal PVC della Guardia di Finanza, emesso a seguito di una complessa attività di polizia giudiziaria svolta in materia di frodi realizzate nell’ambito del settore edilizio ai danni dell’Erario e di enti previdenziali da varie società e consistenti nella compensazione di oneri, imposte e tributi con falsi crediti IVA, creati con contabilizzazioni di costi inesistenti, emergevano chiari elementi indiziari anche in capo alla RAGIONE_SOCIALE; tutte le società coinvolte erano formalmente amministrate da legali rappresentanti nullatenenti (nel caso di specie fino al 2007, dal Sig. COGNOME operaio dipendente e nullatenente), irreperibili e di nazionalità
estera, con sede legale eletta in meri domicili postali e con sede amministrativa presso lo stesso studio di consulenza; dette società, che fornivano manodopera edile avevano breve durata, contabilizzavano costi inesistenti, al fine di utilizzare presunti crediti IVA da portare a compensazione con quanto dovuto a titolo IRPEF, contributi previdenziali e assistenziali dei dipendenti.
Ha aggiunto che la RAGIONE_SOCIALE, che aveva alle dipendenze decine di operai, era del tutto sprovvista di beni strumentali, era gestita di fatto da due geometri, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che ricoprivano il ruolo di amministratori di fatto, come emerso inequivocabilmente in sede d’indagine dalle dichiarazioni rese da terzi e, in particolare, dagli amministratori RAGIONE_SOCIALE società che si avvalevano dell’attività prestata dai lavoratori- dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, dalle dichiarazioni rese dagli stessi lavoratori, dalle dichiarazioni rese dai fornitori, dall’attività espletata dal COGNOME, che gestiva non solo gli aspetti tecnici dei vari cantieri ma altresì, in modo sistematico e continuativo, quelli organizzativi e amministrativi, determinando i compensi agli operai, fissando i prezzi e i lavori dei singoli subappalti.
Per quanto attiene agli utili extracontabili imputati a ciascuna parte appellata, data la « natura artificiosa e ingannevole » della RAGIONE_SOCIALE, non si poteva fare riferimento alla formale compagine sociale e all’unico socio di capitale, evidentemente semplice testa di legno, ma gli utili dovevano essere attribuiti ai soggetti che gestivano la società stessa, la sua contabilità e le disponibilità finanziarie, ovvero agli amministratori di fatto, così come individuati in sede d’indagine, che erano i « veri imprenditori e soci occulti ».
Il COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su quattro motivi.
11 . Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2639 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. , in quanto la CTR ha fatto meccanicamente discendere la qualità di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE in capo al geom. NOME COGNOME dalle dichiarazioni di terzi alla Guardia di Finanza le quali non provano né il ricorrente fosse l’amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE né che egli avesse tratto profitto dalle violazioni attribuite alla società , cosicché le conclusioni cui è giunto il Giudice a quo si rivelano meramente assertive.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 47 del D.P.R. n. 917/1986 e dell’art. 2247 c.c., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3) c.p.c., avendo la CTR erroneamente affermato la qualità di soci occulti degli amministratori di fatto, mentre nel nostro ordinamento giuridico non è concettualmente configurabile una persona fisica socia di fatto di una società di capitali, perché la figura del socio di fatto può essere individuata solo nell’ambito RAGIONE_SOCIALE società di persone irregolari, cioè non iscritte nel Registro RAGIONE_SOCIALE Imprese, ma non nell’ambito RAGIONE_SOCIALE società di capitali , e comunque richiede la sussistenza di una serie di presupposti (accordo con gli altri soci, conferimento in un fondo comune, affectio societatis , esteriorizzazione del vincolo), di cui nel caso in esame non si era data prova.
Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37, 3° comma, del D.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3) c.p.c., laddove la CTR, attribuendo gli utili « agli unici soggetti che gestivano la società stessa, la sua contabilità e le disponibilità finanziarie, ovvero gli amministratori di fatto, così come individuati in sede d’indagine, che erano i veri imprenditori e soci occulti» , ha violato l’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 secondo cui «in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di
cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona», non essendo stato provato che il geom. COGNOME avesse percepito e posseduto i redditi per cui è causa, interponendo fittiziamente la RAGIONE_SOCIALE
Con il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3) c.p.c. laddove la CTR ha erroneamente attribuito alle dichiarazioni rese dai terzi caratteri di gravità, precisione e concordanza, utilizzando una inammissibile ‘doppia presunzione’, nel senso che sull’accertamento del fatto ignoto dell’esercizi o dei poteri gestori da parte del COGNOME si sono innestati gli ulteriori fatti ignoti e presunti della qualità di socio occulto e del possesso e della percezione del reddito prodotto dall’attività di impresa.
Appare opportuno muovere dall’esame del terzo motivo con cui si deduce, in sostanza, la falsa applicazione dell’art. 37 comma 3 cit..
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. In tema di accertamento dei redditi, l’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, che non distingue tra interposizione fittizia e interposizione reale nella quale non vi è un accordo simulatorio tra le persone che prendono parte all’atto, richiede la prova, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti e che possono consistere, in caso di reddito di impresa, anche nella gestione uti dominus dell’impresa e RAGIONE_SOCIALE sue risorse finanziarie, che il contribuente sia l’effettivo possessore del reddito del soggetto interposto; spetta, poi, al contribuente dare la prova contraria dell’assenza di interposizione, o della mancata percezione, in tutto o in parte, dei redditi del soggetto interposto (Cass. n. 5276 del 2022). In caso di reddito di impresa, invero, diviene rilevante la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito. Tale ruolo deve,
tuttavia, essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso al soggetto persona fisica interponente, come se fosse stato prodotto da quest’ultimo. L’interponente non deve, pertanto, costituire un mero gestore dell’ente collettivo – la cui qualifica rileverebbe ai fini reddituali solo in caso di società di persone interposte, ovvero, in caso di socio, quale maggior reddito da partecipazione e solo ai fini IRPEF – dovendo accertarsi che l’interponente disponga RAGIONE_SOCIALE risorse del soggetto interposto uti dominus . Si configura, pertanto, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della RAGIONE_SOCIALE, ossia di chi eserciti professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento RAGIONE_SOCIALE società (Cass. n. 1439 del 1990; Cass. n. 405 del 1999; Cass. n. 12113 del 2002; Cass. sez. un. n. 25275 del 2006; Cass. n. 5520 del 2017; Cass. n. 10495 del 2020).
5.3. Nel caso in esame n on ricorre falsa applicazione dell’art. 37 comma 3 cit. perché la CTR ha individuato negli amministratori di fatto i « veri imprenditori » e, quindi, i reale possessori dei redditi prodotti dalla società; in altri termini, ha ritenuto, con accertamento in fatto incensurabile nel giudizio di legittimità, il totale asservimento della società (interposta), considerata « artificiosa e ingannevole », agli scopi e al vantaggio del COGNOME e dei suoi sodali (interponenti); tale accertamento risponde ad una comune regola di giudizio perché se gli amministratori di fatto hanno gestito e utilizzato lo schermo societario nel loro esclusivo interesse sorge la presunzione che pure dei proventi dell’attività essi abbiano tratto esclusivo beneficio (Cass. n. 23231 del 2022 in motivazione).
Passando al primo e al quarto motivo che possono essere esaminati congiuntamente, attenendo proprio ai profili di prova, tali
censure sono, per un verso, inammissibili e, per altro verso, infondate.
6.1. I motivi sono inammissibili in quanto sotto il paradigma della violazione di legge si cerca in realtà di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal Giudice di merito, incensurabile nel giudizio di legittimità se correttamente motivato (Cass. sez. un., n. 34476 del 2019); oltretutto, la critica si svolge in termini non coerenti con le regole in materia – fondate « sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza » (Cass. n. 18327 del 2023; Cass. n. 9054 del 2022) – in quanto si adotta una prospettiva atomistica, esaminandosi soltanto una parte degli elementi a disposizione e cioè evidenziandosi stralci di dichiarazioni rese da alcuni informatori, nel tentativo di dimostrare che, invece, il COGNOME era estraneo alla gestione della società dalla quale non aveva tratto alcun vantaggio o beneficio.
6.2. Gli stessi elementi riportati dal ricorrente, peraltro, confermano l’accertamento della CTR e il ruolo centrale del COGNOME nei rapporti esterni con i terzi, con i quali venivano stretti accordi prudentemente formalizzati con chi rivestiva la carica di legale rappresentante, peraltro svuotata da poteri decisionali: si considerino, in particolare, le dichiarazioni di COGNOME NOME, socio della soc. RAGIONE_SOCIALE, secondo cui la sua società si era « avvalsa di manodopera edile fornita da società terze come segue: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE tutte con sede legale in Milano. Per quanto riguarda i rapporti personali, preciso che sono entrato in contatto qualche anno fa con il sig. COGNOME NOME di Verona quando mi serviva della manodopera specializzata (…). Qualcuno (…) mi presentò il sig. COGNOME e con lui, dopo aver visionato il cantiere e le opere da eseguire, ho stabilito i prezzi e la
tempistica RAGIONE_SOCIALE opere da eseguire (…). A seguire, dopo qualche mese, per altri cantieri dove la RAGIONE_SOCIALE aveva bisogno di manodopera specializzata, il sig. COGNOME mi ha presentato un suo collega che lavorava con lui gestendo però altre zone territoriali; il sig. COGNOME NOME di Bergamo. Con quest’ultimo ho quindi avviato altre trattative commerciali concludendo formalmente più interventi (il primo nella zona cremasca) che, poi, sono stati sempre siglati contrattualmente da mio fratello con l’amministratore unico del tempo (…) Ricordo poi che i rapporti sono proseguiti in maniera identica con i predetti sig. COGNOME e COGNOME con altri cantieri (…)» . Alle dichiarazioni dei terzi, poi, si aggiungono precisi dati oggettivi che depongono nel senso di una gestione uti dominus della società e il suo asservimento agli scopi degli amministratori di fatto, in quanto gli amministratori di diritto erano nullatenenti o irreperibili, i beni strumentali erano assenti, la sede legale era meramente formale.
6.3. Nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass., n. 13807 del 2019; Cass. n. 4168 del 2018; Cass. n. 17833 del 2017; Cass. n. 25129 del 2016); in questo caso non si muovono precise censure, in punto di diritto, sul ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito e la critica si risolve in un diverso apprezzamento della quaestio facti e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, ponendosi su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. sez. un. n. 1785 del 2018).
6.4. Quanto all’asserita violazione del divieto di ‘doppia presunzione’ ( praesumptio de praesumpto ), va osservato che nel
nostro ordinamento non esiste un simile divieto, che non si rinviene né negli artt. 2729 e 2697 c.c. né in qualsiasi altra norma, per cui nulla osta a che il fatto noto, accertato in via presuntiva, possa costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 37819 del 2022; Cass. n. 27982 del 2020; Cass. n. 23860 del 2020; Cass. n. 20748 del 2019; Cass. n. 15003 del 2017).
Il secondo motivo, invece, è inammissibile perché non si coglie la ratio decidendi della decisione: da un lato, il rapporto sociale ‘occulto’ non riguarda la società (avente « natura artificiosa e ingannevole ») e il COGNOME ma va riferito alle persone fisiche (tra cui il COGNOME) che agivano, quali « veri imprenditori e soci occulti », dietro lo schermo e il paravento della società di capitali, gestita uti dominus da costoro in funzione dei loro interessi personali; d’altro lato, la figura del socio occulto ha una funzione meramente descrittiva della vicenda, dovendo ricondursi la fattispecie accertata alla previsione di cui all’art. 37 comma 3 cit., come del resto intuito dallo stesso ricorrente con il terzo motivo di ricorso.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro. 5.000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023.