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Amministratore di fatto: responsabilità fiscale

La Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità fiscale diretta di un contribuente, identificato come amministratore di fatto di una società “cartiera”. Secondo la Corte, quando una società è un mero schermo per attività illecite, l’amministratore di fatto è considerato l’effettivo possessore dei redditi e, di conseguenza, è tenuto a rispondere personalmente sia delle imposte evase sia delle relative sanzioni, in base al principio dell’interposizione fittizia.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di Fatto e Società Cartiera: La Responsabilità Fiscale è Diretta

La figura dell’amministratore di fatto assume contorni di cruciale importanza nel diritto tributario, specialmente quando si intreccia con fenomeni fraudolenti come l’utilizzo di società “cartiere”. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: chi gestisce un’impresa come vero dominus, pur nascondendosi dietro uno schermo societario fittizio, è direttamente responsabile per le obbligazioni fiscali e sanzionatorie. Questa decisione chiarisce come l’amministrazione finanziaria possa superare la personalità giuridica per colpire il reale beneficiario dell’evasione.

I Fatti del Caso: L’Accertamento Fiscale e il Ruolo del Dominus

Il caso esaminato trae origine da una serie di avvisi di accertamento notificati a un contribuente per gli anni d’imposta 2007, 2008 e 2009. L’Agenzia delle Entrate lo riteneva coobbligato in solido per i debiti tributari (Ires, Irap e Iva) di una S.r.l., risultata essere una “società cartiera” inserita in un meccanismo di frode carosello nel settore dell’elettronica.

Secondo la ricostruzione fiscale, il contribuente non era un semplice soggetto estraneo, ma il vero amministratore di fatto e dominus della società. Tale conclusione era supportata da prove presuntive, tra cui le dichiarazioni rese dall’amministratore di diritto (un mero prestanome) e da altri soggetti coinvolti, che indicavano il ricorrente come colui che impartiva le direttive e gestiva concretamente l’attività d’impresa. La Commissione Tributaria Regionale aveva confermato questa impostazione, ritenendo il contribuente responsabile. Quest’ultimo ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione delle prove e il fondamento giuridico della sua responsabilità.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del contribuente, confermando la sua responsabilità diretta. I giudici hanno ritenuto inammissibili molti dei motivi di ricorso, in quanto miravano a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Nel merito, la Corte ha validato l’impianto accusatorio e le conclusioni dei giudici di secondo grado, fornendo importanti chiarimenti sulla responsabilità dell’amministratore di fatto in contesti di frode fiscale.

La responsabilità dell’amministratore di fatto in caso di società schermo

Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 37 del D.P.R. 600/1973, che disciplina l’interposizione fittizia. La norma consente all’amministrazione finanziaria di imputare i redditi, formalmente intestati a un soggetto (in questo caso, la società cartiera), al soggetto che ne è l’effettivo possessore.

Secondo la Corte, quando una società è utilizzata come mero “schermo” o “paravento” per gli interessi esclusivi dell’amministratore di fatto, si verifica una traslazione della titolarità del reddito. L’amministratore di fatto non viene considerato responsabile in qualità di gestore della società, ma come il vero e proprio contribuente, colui che ha prodotto e posseduto i redditi. Di conseguenza, la sua responsabilità non si limita alle imposte, ma si estende anche alle sanzioni, in quanto autore diretto della condotta evasiva.

L’Utilizzo delle Prove Indiziarie

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi acquisite in fase di verifica. Il ricorrente lamentava che la sua responsabilità fosse stata fondata su testimonianze indirette. La Cassazione ha ribadito che, nel processo tributario, sebbene sia vietata la prova testimoniale, le dichiarazioni rese da terzi agli organi verificatori costituiscono elementi indiziari. Se tali indizi sono gravi, precisi e concordanti, e supportati da altri elementi, possono legittimamente fondare il convincimento del giudice e la pretesa fiscale, spostando sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

le motivazioni

La Corte ha motivato la propria decisione distinguendo nettamente la fattispecie in esame da quella prevista dall’art. 7 del D.L. n. 269/2003, che, in linea generale, canalizza la responsabilità sanzionatoria sulla persona giuridica. Tale norma, spiegano i giudici, si applica quando l’amministratore agisce nell’interesse della società. Nel caso di una società cartiera, invece, la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse dell’amministratore di fatto per schermare attività illecite e sottrarsi alle conseguenze fiscali. In questo scenario, viene meno la ratio della norma che tutela l’ente, e si ripristina la regola generale per cui la sanzione colpisce la persona fisica autrice dell’illecito. Il rapporto fiscale, quindi, si instaura direttamente con l’interponente (l’amministratore di fatto) e non con l’interposto (la società schermo).

le conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza pratica. Essa manda un messaggio chiaro: la personalità giuridica non offre uno scudo invalicabile a chi la utilizza per scopi fraudolenti. L’amministrazione finanziaria ha il potere di “guardare oltre il velo” societario per identificare il vero dominus dell’attività economica e attribuirgli direttamente la responsabilità per le imposte e le sanzioni. Per l’amministratore di fatto, ciò significa che non potrà invocare la separazione patrimoniale per sfuggire alle conseguenze di una gestione illecita, essendo considerato a tutti gli effetti il titolare del rapporto tributario.

Chi è l’amministratore di fatto e come viene identificata la sua figura?
L’amministratore di fatto è colui che, pur senza una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri di gestione di una società. La sua figura viene identificata attraverso prove presuntive (indizi), come dichiarazioni di terzi (es. dipendenti, fornitori, amministratori di diritto), la gestione dei conti bancari, la firma di documenti importanti e il compimento di atti decisionali per l’impresa.

Perché l’amministratore di fatto di una società “cartiera” risponde direttamente dei debiti fiscali e delle sanzioni?
Risponde direttamente perché, secondo la giurisprudenza, la società “cartiera” è considerata un mero schermo fittizio creato nel suo esclusivo interesse. In base all’art. 37 del D.P.R. 600/1973, i redditi formalmente intestati alla società vengono imputati a lui quale effettivo possessore. Di conseguenza, egli diventa il contribuente diretto, responsabile sia per le imposte evase sia per le relative sanzioni, in quanto autore materiale della violazione.

La prova del ruolo di amministratore di fatto può basarsi su dichiarazioni di terzi?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, nel processo tributario le dichiarazioni rese da terzi durante le verifiche fiscali, pur non essendo prove testimoniali in senso tecnico, costituiscono validi elementi indiziari. Se questi indizi sono gravi, precisi e concordanti, e magari supportati da altre risultanze, possono essere sufficienti a fondare la pretesa fiscale e a dimostrare il ruolo di amministratore di fatto, invertendo l’onere della prova a carico del contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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