Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3753 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3753 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
Oggetto: II.DD. IVA – av- visi di accertamento – am- ministratore di fatto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18703/2016 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: avvEMAIL) ed elettivamente domiciliato in Roma al INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 152/6/2016 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia depositata il 22.1.2016, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Puglia rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari n. 1326/11/2014 con la quale erano stati riuniti e rigettati i ricorsi introduttivi proposti dal contribuente avverso avvisi di accertamento recanti riprese ad imposizione IRES, IRAP e IVA per gli anni di imposta 2005, 2006, 2007 e 2008 quale amministratore di fatto della associazione sportiva dilettantistica Camp 86.
Nella sentenza impugnata si legge che a fondamento delle riprese, basate su verifica fiscale all’esito della quale veniva adottato p.v.c., erano posti convergenti elementi di prova nel quadro di un accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), d.P.R. n.600/1973, consistenti tra l’altro in: a) mancata produzione delle scritture contabili da parte di NOME NOMECOGNOME quale rappresentante legale dell’ASD, b) delega di firma in favore del COGNOME per conto dell’associazione, c) gestione delle operazioni del conto corrente n. 10041 da parte di costui, con movimentazioni (dal 2004 al 2009) per complessivi euro 1.205.502,00.
Il giudice di appello confermava la decisione resa dal giudice di prime cure ritenendo superabili le questioni preliminari, tra cui la violazione del contraddittorio preventivo e degli obblighi motivazionali degli avvisi ex art.7. l. n.212/2000, il raddoppio dei termini di accertamento e, nel merito, riteneva fondate le riprese.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente, affidato a quattro motivi cui replica l’Agenzia con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., viene dedotta la nullità della sentenza per violazione degli artt.7, 10 e 12 della legge n.212/2000 e degli artt.24 e 97 Cost. da parte della sentenza di appello, per aver ritenuto insussistente l’obbligo del preventivo contraddittorio di cui il ricorrente aveva denunciato la mancata attivazione. Sarebbe immanente il principio del contraddittorio nel vigente ordinamento giuridico e necessario nel caso di specie nel quale al contribuente è stato contestato di essere amministratore di fatto della ASD, non ha partecipato alla verifica fiscale né gli era stato anticipatamente notificato il p.v.c. prima della notifica degli avvisi di accertamento.
Il motivo è infondato.
2.1. Anteriormente a ll’art. 6-bis della legge n. 212 del 2000 introdotto dal d.lgs. n. 219/2023 e non applicabile alla fattispecie ratione temporis in quanto in vigore dal 18 gennaio 2024, nell’ordinamento tributario italiano non vi era un principio immanente che imponesse il contraddittorio procedimentale antecedente alla notifica dell’atto impositivo essendo ciò previsto solo in caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività (Cass. Sez. Un., Sentenza 29 luglio 2013 n.18184).
Il ricorrente non tiene conto, dunque, del fatto che non ha in linea generale diritto al contraddittorio, e che la verifica è stata ritualmente svolta nei confronti dell’ASD, in persona del suo legale rappresentante formale, e a lui è stata unicamente contestata la qualità di amministratore di fatto.
Quanto poi all’imposta armonizzata, il principio del contraddittorio è previsto dall’ordinamento unionale, ma la violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. Sez. Un. 9 dicembre 2015, n. 24823).
La censura non impugna nemmeno l’affermazione del giudice di appello secondo cui il ricorrente in giudizio non «ha enunciato concretamente alcuna ragione pertinente che avrebbe potuto far valere nel contraddittorio eventualmente attivato, valida a determinare risultati impositivi diversi da quelli accertati» (v. p.5 sentenza).
Il secondo motivo addotto dal ricorrente, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt.7 della legge n.212/2000, 42 del d.P.R. n.600/73 e 2697 cod. civ., per aver il giudice di appello ritenuto assolto da parte dell’Agenzia sia l’onere della motivazione dell’atto accertativo sia quello della dimostrazione di elementi di prova e presunzioni, gravi precise e concordanti a sostegno delle riprese per cui è causa, tanto quanto al ruolo di gestore di fatto della ASD, quanto ai presupposti sostanziali delle riprese.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
4.1. Premesso che dalla prospettata violazione del paradigma de ll’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. non può discendere la nullità della sentenza, la sentenza ha accertato che le riprese si sono basate su verifica fiscale all’esito della quale è stato adottato p.v.c. nel quadro di un accertamento ex art.39, comma 2, lett. d), d.P.R. n.600/1973. Il motivo è allora mal calibrato, perché fa riferimento
alle categorie della gravità, precisione e concordanza degli indizi. In presenza di accertamento induttivo puro, operano le presunzioni cd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di una delle tassative condizioni previste dallo stesso art. 39, comma 2, il quale, inoltre, costituendo una facoltà per l’Amministrazione, può prescindere anche solo in parte dalle scritture contabili e dal bilancio e non richiede alcuna specifica motivazione per l’utilizzazione di dati indicati in contabilità o in dichiarazione o comunque provenienti dallo stesso contribuente, anche a fronte di un giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità, nel rispetto di una ricostruzione operata sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva.
4.2. Quanto alla parte della censura afferente alla presunta violazione dell’obbligo motivazionale degli avvisi di accertamento e alla presunta apparenza della motivazione della sentenza con riferimento alla questione (cfr. p33 ricorso), il Collegio osserva che si tratta di un profilo che doveva essere dedotto sotto un paradigma processuale diverso dal n.3 dell’art.360 primo comma cod. proc. civ.. Inoltre, la questione è anche manifestamente infondata, in quanto non risulta che la motivazione degli avvisi «difetta del tutto», come si legge a pag.32 del ricorso che riporta la parte rilevante del motivo di appello su cui il giudice si sarebbe pronunciato con motivazione apparente, dal momento che gli avvisi di accertamento sono allegati al ricorso e se ne può leggere la motivazione.
Con il terzo motivo di ricorso, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., si lamenta la nullità della sentenza per violazione del principio di non contestazione di cui a ll’ art.115, commi 1 e 2, cod. proc. civ., sotto un duplice profilo: sotto un primo aspetto per aver deciso prescindendo dagli elementi probatori addotti dal ricorrente a prova della inconsistenza delle contestazioni avanzate
dall’Agenzia. Sotto un secondo profilo, in quanto la CTR derogando al principio dispositivo e al contraddittorio, avrebbe deciso non in base alle prove fornite dalle parti, bensì alla scienza privata del giudice.
Il motivo è infondato.
6.1. Nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato (Cass. Sez. 5, sentenza n. 16984 del 14/06/2023).
Il principio di non contestazione opera anche nel processo tributario, nell’ambito del quale, tuttavia, deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione (Cass. Sez. 5, sentenza n. 7127 del 13/03/2019).
6.2. Orbene, la circostanza che il contribuente sia, negli anni di imposta oggetto di controversia, amministratore di fatto della ASD è il fatto fondante l’accertamento e la stessa notifica degli avvisi. L ‘Amministrazione non è tenuta a contestare deduzione per deduzione del ricorrente, come ad es. l ‘allegazione secondo cui «nel pvc il sig. COGNOME non veniva in alcun modo qualificato come amministratore di
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fatto» dell’ASD (cfr. p.36 ricorso), deduzione che peraltro non è chiaro quando sia stata introdotta nel processo e se riproposta in ciascun grado del giudizio.
Inoltre, il motivo è inammissibile anche perché in una commistione indistinguibile propone vere e proprie interpretazioni giuridiche, e non indica fatti oggetto della presunta non contestazione: ad es. si legge «se il sig. COGNOME fosse stato davvero l’amministratore di fatto dell’associazione, l’azione penale sarebbe stata obbligatoria anche nei suoi confronti (…) », p.36 ricorso).
6.3. Infine, non risulta che la decisione sia stata assunta sulla base della ‘ scienza privata ‘ del giudice, come deduce il ricorrente a pag.35 del ricorso, rectius di nozioni di comune esperienza (fatto notorio). Al contrario, la decisione nel caso in esame è stata assunta sulla base di convergenti elementi indiziari raccolti nel processo consistenti, fra l’altro, in: a) mancata produzione delle scritture contabili da parte di NOME NOMECOGNOME quale rappresentante legale dell’ASD, b) delega di firma in favore del COGNOME per conto dell’associazione, c) gestione delle operazioni del conto corrente n. 10041 da parte di costui, con movimentazioni (dal 2004 al 2009) per complessivi euro 1.205.502,00 (cfr. pp.2 e ss. sentenza).
6.4. Quanto alla valutazione della prova contraria, il Collegio osserva come, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti e, come sopra visto, nella fattispecie il fatto storico è indubbiamente stato considerato.
Con il quarto motivo di ricorso, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., si lamenta la nullità della sentenza per viola-
zione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dei criteri di distribuzione dell’onere della prova nel processo tributario e dell’art.53 Cost., in primo luogo per aver il giudice ritenuto assolto l’onere da parte dell’Agenzia sulla base di un solo indizio presuntivo, per giunta sfornito dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; in secondo luogo, per aver ritenuto le prove contrarie addotte dal ricorrente inidonee a superare le risultanze fattuali dell’accertamento.
La censura è infondata, per le ragioni già indicate ai punti 6.3. e 6.4 che precedono, da cui si evince che il giudice d’appello ha accertato che la prova non è basata su un solo indizio presuntivo, bensì su un compendio di elementi probatori e che il fatto è stato valutato dal giudice, con assenza di decisività di per sé di singoli mezzi istruttori non menzionati.
Non si configura inoltre alcuna motivazione generica e apodittica come affermato a pag. 43 del ricorso, perché il giudice d’appello , nel confermare il coinvolgimento del contribuente nella gestione della ASD, argomentatamente, dopo un’attenta ricostruzione delle contestazioni e degli elementi di prova, conferma la decisione di primo grado secondo cui le riprese ad imposizione poggiano su una pluralità di elementi consistenti, tra l’altro, nella mancata produzione delle scritture contabili da parte di NOME NOMECOGNOME quale rappresentante legale dell’ASD; nella delega di firma in favore del COGNOME per conto dell’associazione; nella gestione delle operazioni del conto corrente n. 10041 da parte di costui, con movimentazioni (dal 2004 al 2009) per complessivi euro 1.205.502,00.
10. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 8.200 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.12.2024