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Amministratore di fatto: responsabilità fiscale

La Corte di Cassazione conferma la responsabilità fiscale personale di un individuo ritenuto amministratore di fatto di un consorzio di cooperative, create come meri schermi per evadere il versamento delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente. La sentenza stabilisce che, in presenza di una società ‘cartiera’, spetta all’amministratore di fatto l’onere di provare di non aver incamerato i proventi dell’evasione, confermando così l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di Fatto: Responsabilità Fiscale in Caso di Società Schermo

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia fiscale: la responsabilità personale dell’amministratore di fatto per i debiti tributari di una società utilizzata come mero schermo per scopi evasivi. Questa pronuncia chiarisce come l’amministrazione finanziaria possa superare le apparenze formali per individuare il reale responsabile della gestione societaria e dell’evasione fiscale. Il caso analizzato riguarda l’omesso versamento di ritenute per lavoro dipendente da parte di un consorzio di cooperative, la cui gestione era interamente riconducibile a un unico soggetto, ritenuto il vero dominus dell’intera operazione.

I Fatti di Causa

L’indagine della Guardia di Finanza, conclusasi nel 2016, aveva portato alla luce un complesso schema societario. Un consorzio di cooperative, operanti nel settore dei trasporti, era stato accusato di gravi inadempimenti fiscali, in particolare l’omesso versamento delle ritenute operate sugli stipendi corrisposti ai soci-lavoratori. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, le cooperative erano semplici “società schermo”, create al solo scopo di interporsi fittiziamente tra il vero datore di lavoro e i lavoratori.

L’Agenzia delle Entrate, sulla base del Processo Verbale di Constatazione (PVC), notificava un avviso di accertamento non solo a una delle cooperative (per l’anno 2014), ma anche personalmente all’individuo ritenuto il vero gestore dell’intero gruppo. Quest’ultimo, secondo l’accusa, era l’amministratore di fatto e liquidatore occulto, l’unico beneficiario delle attività svolte dalle cooperative e, in definitiva, il vero datore di lavoro. Il contribuente impugnava l’atto impositivo, sostenendo la sua estraneità e l’assenza di prove sul suo ruolo. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale confermavano la validità dell’accertamento, spingendo il caso fino alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e la Responsabilità dell’Amministratore di Fatto

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando la sua responsabilità personale. I giudici hanno smontato le argomentazioni difensive, incentrate principalmente sulla presunta violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). Il ricorrente sosteneva che l’Agenzia delle Entrate non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare la sua qualifica di “datore di lavoro di fatto”.

La Corte ha ritenuto tale motivo inammissibile e infondato, evidenziando come il contribuente si fosse limitato a riproporre le proprie tesi senza confrontarsi specificamente con le motivazioni della sentenza d’appello. I giudici di secondo grado, infatti, avevano ampiamente giustificato la loro decisione, basandosi sugli elementi probatori raccolti nel PVC.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito che, in materia di accertamento tributario, la giurisprudenza consolidata permette di presumere, secondo l’ id quod plerumque accidit (ciò che accade di solito), che l’amministratore di fatto di una “società cartiera” abbia direttamente incamerato i proventi derivanti dall’evasione fiscale. Di conseguenza, si verifica un’inversione dell’onere della prova: spetta all’amministratore stesso dimostrare il contrario.

Nel caso specifico, le prove raccolte erano schiaccianti: testimonianze dei lavoratori che lo indicavano come colui che pagava gli stipendi, la sua totale ingerenza nella gestione operativa e il fatto che gli stessi soci delle cooperative fossero all’oscuro del loro status. Tutti questi elementi, richiamati dalla Corte Regionale, dimostravano che le cooperative erano uno schermo fittizio e che l’unica mente direttiva era il ricorrente. La Corte ha concluso che il ricorrente non ha confutato il solido impianto probatorio, limitandosi a una generica contestazione.

Le Conclusioni

La sentenza rafforza un principio cruciale nella lotta all’evasione fiscale: la prevalenza della sostanza sulla forma. La figura dell’amministratore di fatto viene colpita direttamente, rendendolo personalmente responsabile per i debiti tributari della società che di fatto gestisce. Per il Fisco, è sufficiente dimostrare, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, l’esistenza di una struttura societaria fittizia e il ruolo dominante di un soggetto. A quel punto, sarà quest’ultimo a dover fornire la prova contraria per liberarsi dalla responsabilità fiscale. Questa decisione rappresenta un importante monito per chi crede di potersi nascondere dietro schermi societari per eludere gli obblighi fiscali.

Chi è l’amministratore di fatto e perché è fiscalmente responsabile?
L’amministratore di fatto è colui che, pur senza una nomina formale, gestisce in concreto una società. Secondo la sentenza, è fiscalmente responsabile perché, in caso di società utilizzate come ‘schermo’ per l’evasione, si presume che sia lui a incamerare i proventi illeciti, rendendolo direttamente responsabile per i debiti tributari dell’ente.

In caso di società schermo, su chi ricade l’onere di provare l’estraneità all’evasione fiscale?
La sentenza stabilisce che l’onere della prova si inverte. Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha dimostrato l’esistenza di una società ‘cartiera’ e il ruolo di gestione di un soggetto, spetta a quest’ultimo (l’amministratore di fatto) fornire la prova contraria, ovvero dimostrare di non aver beneficiato dell’evasione.

Quale valore probatorio ha il Processo Verbale di Constatazione (PVC) in un giudizio tributario?
Il PVC redatto dalla Guardia di Finanza ha un forte valore probatorio. Come emerge dalla decisione, gli elementi raccolti nel verbale (come testimonianze, documenti e ricostruzioni dei fatti) costituiscono una base solida e sufficiente per fondare un avviso di accertamento e per dimostrare in giudizio la responsabilità del contribuente, se non vengono specificamente e validamente contestati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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