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Amministratore di fatto: responsabilità e sanzioni

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8853/2024, ha confermato la responsabilità solidale dell’amministratore di fatto per le violazioni fiscali commesse da una società. Il caso riguardava due soggetti che, pur non avendo cariche formali, gestivano sistematicamente un’impresa edile utilizzata come schermo per una complessa frode fiscale. La Corte ha rigettato il loro ricorso, stabilendo che l’ingerenza continuativa e sistematica nella gestione aziendale è sufficiente a qualificare la figura dell’amministratore di fatto e a fondare la sua responsabilità personale, escludendo le limitazioni di responsabilità quando l’ente è usato come mero paravento per interessi personali.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di fatto: quando la gestione reale conta più della carica formale

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto tributario e societario, rappresentando chi, pur senza un’investitura ufficiale, gestisce un’impresa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i criteri per identificarlo e le conseguenti responsabilità per le violazioni fiscali. Questa decisione sottolinea il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, un caposaldo per combattere l’evasione fiscale attuata tramite società di comodo e prestanome.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società a responsabilità limitata operante nel settore edile e, in solido, di due persone fisiche. A seguito di una complessa indagine della Guardia di Finanza, era emerso che la società, insieme ad altre, era utilizzata come uno schermo. Queste entità, amministrate da prestanome e prive di beni strumentali e sedi reali, fornivano manodopera a imprese edili, realizzando sistematiche violazioni della normativa tributaria. Le frodi includevano dichiarazioni infedeli, costi inesistenti e crediti IVA fittizi, usati per compensare indebitamente ritenute IRPEF e contributi previdenziali.

L’Amministrazione Finanziaria ha identificato i due soggetti come amministratori di fatto, ovvero i reali gestori dell’attività illecita. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno confermato l’accertamento, ritenendo provata l’ingerenza dei due ricorrenti nella gestione della società. Le prove si basavano su dichiarazioni di committenti e dipendenti, i quali avevano riferito di interloquire costantemente con loro per trattative, esecuzione dei lavori, direttive di cantiere e pagamenti. I giudici di merito hanno evidenziato come i poteri decisionali dei due prevalessero completamente su quelli degli amministratori di diritto.

I Motivi del Ricorso e la figura dell’amministratore di fatto

I due presunti amministratori di fatto hanno proposto ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:

1. Vizio di notifica: Sostenevano che l’atto fosse stato notificato in modo errato.
2. Mancanza di prova: Contestavano l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, sostenendo che le prove raccolte (dichiarazioni di terzi) non fossero sufficienti a dimostrare un’attività di gestione riconducibile a quella di un amministratore di diritto, ma solo compiti tecnici.
3. Inapplicabilità delle sanzioni: Lamentavano l’omesso esame del fatto che non era stato dimostrato un loro vantaggio, lucro o beneficio diretto dalle violazioni, elemento che a loro dire avrebbe dovuto escludere la responsabilità per le sanzioni ai sensi della normativa vigente.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e infondato, rigettando tutte le censure e fornendo importanti chiarimenti sulla figura dell’amministratore di fatto.

In primo luogo, la Corte ha liquidato il motivo sulla notifica come infondato, precisando che l’atto era stato correttamente notificato sia alla società, in persona del suo legale rappresentante, sia ai due soggetti in proprio, quali amministratori di fatto.

Sul punto centrale, ovvero la prova della qualità di amministratore di fatto, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’accertamento di tale status è una quaestio facti, una valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata. I ricorrenti, secondo la Corte, stavano tentando di ottenere un riesame delle prove, cosa non consentita in Cassazione. La Corte ha colto l’occasione per definire i contorni della figura: è amministratore di fatto colui che si inserisce nella gestione della società impartendo direttive, condizionandone le scelte operative in modo sistematico e continuativo. L’ingerenza non deve essere meramente occasionale, ma rivelare caratteri di sistematicità e completezza. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente concluso per l’esistenza di tale figura, data la piena autonomia decisionale dei ricorrenti rispetto agli amministratori formali.

Infine, riguardo alla responsabilità per le sanzioni, la Corte ha spiegato che l’accertamento della qualità di amministratore di fatto che utilizza la società come schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio fa venir meno le ragioni che giustificano la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 7 del d.l. n. 269/2003. Quando si agisce nel proprio esclusivo interesse attraverso un ente con personalità giuridica, si risponde personalmente delle conseguenze.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida l’orientamento giurisprudenziale volto a colpire chi si nasconde dietro schermi societari per commettere illeciti fiscali. La decisione chiarisce che per essere considerati responsabili non è necessaria una carica formale, ma è sufficiente esercitare di fatto e in modo continuativo il potere gestorio. Il messaggio è chiaro: il diritto tributario guarda alla realtà effettiva dei rapporti economici. Chiunque gestisca un’impresa, anche senza un titolo, ne assume le responsabilità, soprattutto quando la struttura societaria è palesemente utilizzata come strumento per un vantaggio personale illecito.

Chi è l’amministratore di fatto secondo la giurisprudenza?
È la persona che, pur senza una nomina formale, si inserisce nella gestione della società impartendo direttive e condizionandone le scelte operative. L’ingerenza deve avere caratteri di sistematicità e completezza, non essendo sufficiente il compimento di atti occasionali.

Come si dimostra in un processo la qualità di amministratore di fatto?
La prova può essere fornita attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, come le dichiarazioni di dipendenti, fornitori o clienti che indicano il soggetto come colui che impartiva ordini, gestiva i rapporti commerciali, decideva i prezzi e le strategie aziendali, prevalendo sull’amministratore di diritto.

L’amministratore di fatto risponde personalmente delle sanzioni fiscali della società?
Sì, risponde personalmente, soprattutto quando viene accertato che ha utilizzato la società come uno schermo o paravento per agire nel proprio esclusivo interesse e trarre un vantaggio personale dagli illeciti tributari commessi. In questi casi, non si applicano le limitazioni di responsabilità previste per i rappresentanti legali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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