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Amministratore di fatto: responsabilità e sanzioni

La Corte di Cassazione interviene sul tema della responsabilità fiscale dell’amministratore di fatto. Con l’ordinanza n. 34932/2024, ha annullato una sentenza di secondo grado per insufficiente motivazione, sottolineando la necessità di distinguere nettamente tra la figura dell’amministratore di fatto, che agisce per conto della società, e quella del gestore ‘uti dominus’, che utilizza la società come mero schermo per i propri affari. Questa distinzione è cruciale per determinare l’imputazione di redditi, imposte e sanzioni. Il caso riguardava un contribuente ritenuto responsabile dei debiti IRES di una S.r.l. La Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, evidenziando come i giudici di merito non avessero fornito prove concrete né per l’una né per l’altra qualifica, e ha rinviato il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di fatto: responsabilità fiscale e sanzioni secondo la Cassazione

La figura dell’amministratore di fatto è spesso al centro di contenziosi tributari, poiché l’Amministrazione Finanziaria tende ad attribuirgli la responsabilità per i debiti fiscali della società gestita. Con la recente ordinanza n. 34932/2024, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante lezione ai giudici di merito, ribadendo la necessità di una motivazione rigorosa e della corretta distinzione tra chi amministra di fatto una società e chi, invece, la usa come un mero schermo personale (uti dominus).

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente, ritenuto l’amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata. L’atto impositivo contestava il mancato versamento di IRES, IRAP, IVA e relative sanzioni per l’anno d’imposta 2014.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) ribaltava parzialmente la decisione. I giudici d’appello riconoscevano la qualifica di amministratore di fatto e lo ritenevano responsabile per le imposte dirette (IRES) e le sanzioni, ma non per IRAP e IVA. Insoddisfatti, sia il contribuente che l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso principale del contribuente e parzialmente quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, cassando con rinvio la sentenza della CTR. Il cuore della decisione risiede nel grave difetto di motivazione della sentenza impugnata, la quale non ha chiarito in base a quali criteri avesse attribuito al contribuente la duplice e distinta qualifica di amministratore di fatto e di gestore uti dominus.

Le Motivazioni: La Distinzione Cruciale tra Amministratore di Fatto e Gestore Uti Dominus

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire una distinzione fondamentale con profonde implicazioni fiscali. Un conto è essere un amministratore di fatto, un’altra cosa è gestire la società uti dominus.

* L’amministratore di fatto è colui che, pur senza investitura formale, si inserisce nella gestione della società, impartisce direttive e ne condiziona le scelte operative in modo sistematico e continuativo. Agisce nell’interesse (anche se illecito) della società.
Il gestore uti dominus è, invece, colui che utilizza la società come un’interposta, una mera fictio* giuridica. In questo scenario, egli è il reale possessore del reddito d’impresa, che viene a lui direttamente imputato ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973. La società è solo uno schermo per la sua attività personale.

Questa distinzione è dirimente. Nel primo caso, la responsabilità per le imposte è della società, e l’amministratore può essere chiamato a rispondere in solido in casi specifici (es. per le sanzioni). Nel secondo caso, il reddito è considerato come prodotto direttamente dal gestore uti dominus, e a lui vengono imputate sia le imposte che le sanzioni, come se la società non esistesse.

Le Motivazioni: Il Difetto di Motivazione della Sentenza d’Appello

I giudici di legittimità hanno censurato la CTR per aver sovrapposto le due figure senza fornire alcuna prova concreta. La sentenza d’appello si limitava a citare elementi indiziari (come la compagine sociale a base familiare o dichiarazioni di terzi) senza però indicare quali specifici atti gestori, compiuti in nome e per conto della società, qualificassero il contribuente come amministratore di fatto. Allo stesso modo, non spiegava perché lo ritenesse il reale dominus, ovvero il vero titolare dell’attività d’impresa. Questa carenza motivazionale ha reso la decisione nulla.

Inoltre, la Corte ha accolto anche il motivo di ricorso dell’Agenzia relativo alla contraddittorietà della sentenza nel calcolo dell’IRES dovuta, avendo escluso una parte dei ricavi accertati senza alcuna giustificazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza è un monito per le Commissioni Tributarie: non è sufficiente affermare che un soggetto è amministratore di fatto per renderlo responsabile dei debiti fiscali di una società. È necessario un percorso logico-giuridico rigoroso, basato su prove concrete, che chiarisca:

1. Se il soggetto ha agito come gestore di fatto, compiendo atti di gestione sistematici nell’interesse della società.
2. Oppure, se il soggetto ha agito come dominus, utilizzando la società come un mero schermo per un’attività a lui personalmente riconducibile.

La scelta tra queste due qualifiche determina conseguenze fiscali radicalmente diverse. La decisione della Cassazione rafforza le garanzie del contribuente, imponendo all’Amministrazione Finanziaria un onere probatorio più stringente e ai giudici un obbligo di motivazione più dettagliato e non apparente. Chiunque si trovi a gestire informalmente un’azienda deve essere consapevole dei rischi, ma ha anche il diritto di essere giudicato sulla base di fatti provati e di una corretta qualificazione giuridica del suo ruolo.

Qual è la differenza tra amministratore di fatto e gestore ‘uti dominus’?
Secondo la Corte, l’amministratore di fatto è colui che, pur senza nomina formale, si inserisce nella gestione della società e ne condiziona le scelte in modo sistematico. Il gestore ‘uti dominus’, invece, è colui che tratta la società come una mera interposta, cioè uno schermo per la propria attività personale, risultando l’effettivo possessore del reddito d’impresa.

L’amministratore di fatto risponde dei debiti per IRAP e IVA della società?
No. La Corte di Cassazione, confermando la decisione dei giudici di merito su questo punto, ha ribadito che la responsabilità solidale prevista dall’art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 riguarda unicamente le imposte dirette (come l’IRES) e non si estende a IRAP e IVA.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza precedente?
La Corte ha annullato la sentenza perché i giudici di secondo grado non hanno adeguatamente motivato la loro decisione. In particolare, non hanno chiarito sulla base di quali elementi concreti avessero attribuito al contribuente la qualifica di amministratore di fatto e, allo stesso tempo, quella di gestore ‘uti dominus’, confondendo due figure giuridiche con conseguenze fiscali molto diverse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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