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Amministratore di fatto: responsabilità e sanzioni

Una società petrolifera, a seguito di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali, subiva un accertamento induttivo. La Corte di Cassazione, in questa ordinanza interlocutoria, non decide nel merito ma rinvia la causa per un vizio di notifica al curatore fallimentare. Emerge la figura dell’amministratore di fatto, ritenuto il vero responsabile delle violazioni tributarie, a dispetto di un amministratore di diritto considerato una mera ‘testa di legno’.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di fatto: chi paga per le violazioni fiscali?

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto tributario e societario, poiché la legge attribuisce la responsabilità gestionale a chi effettivamente esercita il potere decisionale, indipendentemente dalla carica formale. Un’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione ci offre lo spunto per analizzare le conseguenze fiscali che derivano da una gestione aziendale non trasparente, dove l’amministratore di diritto è solo una ‘testa di legno’.

I fatti di causa

Una società operante nel settore petrolifero riceveva tre avvisi di accertamento a seguito di una verifica fiscale. Le contestazioni riguardavano principalmente l’omessa tenuta e conservazione dei libri contabili e la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali per tre anni consecutivi. Per uno degli anni, veniva inoltre contestata la mancata dichiarazione di una plusvalenza derivante dalla cessione di un ramo d’azienda. Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate procedeva con un accertamento induttivo per rideterminare il reddito d’impresa e le imposte dovute.

La società contribuente si opponeva, sostenendo che i suoi unici ricavi derivassero da un contratto di subaffitto di ramo d’azienda e che la titolarità effettiva dei ricavi contestati appartenesse a un’altra società. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano i ricorsi, confermando la legittimità dell’operato dell’Ufficio.

La responsabilità dell’amministratore di fatto secondo i giudici di merito

Un punto cruciale della controversia è stata l’individuazione del soggetto responsabile. Le indagini della Guardia di Finanza avevano rivelato che l’amministratore unico formale della società era, in realtà, un semplice dipendente con mansioni di addetto al rifornimento. Il vero gestore, colui che rappresentava la società verso terzi e prendeva tutte le decisioni, era un altro soggetto, qualificato come amministratore di fatto.

I giudici di merito hanno ritenuto corretta questa ricostruzione, applicando il principio consolidato secondo cui la responsabilità per le infrazioni tributarie ricade su chi assume di fatto la gestione dell’impresa, a prescindere dall’investitura formale. Questa interpretazione è supportata anche dalla normativa penale-tributaria (D.Lgs. 74/2000), che identifica come responsabile chi agisce concretamente come amministratore.

I motivi del ricorso e la decisione della Cassazione

La società presentava ricorso in Cassazione basato su quattro motivi, contestando principalmente la violazione delle norme sulla ripartizione dell’onere della prova, l’errata applicazione della normativa sull’accertamento e sulle presunzioni, nonché l’illegittima attribuzione della rappresentanza di fatto e la conseguente irrogazione delle sanzioni.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, non è entrata nel merito delle questioni sollevate. Ha invece rilevato un vizio procedurale: la notifica del decreto di fissazione dell’udienza al curatore della società, nel frattempo fallita, non era stata perfezionata nel termine di legge (erano intercorsi 59 giorni anziché i 60 richiesti). Questo difetto ha impedito la corretta instaurazione del contraddittorio. Di conseguenza, la Corte ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, previa rinnovazione della notifica.

Le motivazioni

Sebbene la Corte non si sia pronunciata nel merito, l’ordinanza riporta ampiamente le motivazioni della sentenza di secondo grado, che restano un punto di riferimento importante. La Commissione Tributaria Regionale aveva stabilito che l’omessa presentazione della dichiarazione annuale legittima l’Amministrazione Finanziaria a ricorrere all’accertamento induttivo. In tale scenario, l’onere di dimostrare fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa fiscale si sposta interamente sul contribuente. Poiché la società non aveva fornito alcuna documentazione a sostegno delle proprie tesi né in primo né in secondo grado (come il libro inventari, il registro IVA, le fatture), i giudici hanno ritenuto che l’Ufficio avesse legittimamente ricostruito il reddito sulla base degli elementi a sua disposizione, come il bilancio di verifica di un anno precedente.

Conclusioni

L’ordinanza, pur essendo di natura processuale, conferma alcuni principi fondamentali in materia fiscale. Innanzitutto, la forma non prevale sulla sostanza: la responsabilità per le violazioni tributarie ricade sull’amministratore di fatto, ovvero su colui che esercita effettivamente il potere gestorio. In secondo luogo, l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali inverte l’onere della prova, ponendo il contribuente nella difficile posizione di dover dimostrare l’infondatezza della pretesa erariale senza il supporto della documentazione contabile. Infine, il caso sottolinea l’importanza del rispetto rigoroso delle norme procedurali, la cui violazione può causare ritardi significativi nella definizione del giudizio.

Chi è responsabile per le infrazioni fiscali se l’amministratore legale è solo un prestanome?
Secondo la giurisprudenza citata nel provvedimento, la responsabilità ricade su chi assume di fatto la veste di amministratore, ovvero colui che concretamente gestisce la società, a prescindere dall’investitura formale. A questa figura, definita ‘amministratore di fatto’, vengono attribuite le responsabilità anche tributarie.

In quali casi l’Agenzia delle Entrate può procedere con un accertamento induttivo?
L’accertamento induttivo è legittimo in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e quando mancano o non vengono esibiti i libri contabili e la documentazione necessaria a ricostruire il reddito d’impresa. In queste situazioni, l’onere di provare la correttezza della propria posizione fiscale ricade sul contribuente.

Perché la Corte di Cassazione ha rinviato la causa senza decidere nel merito?
La Corte ha rinviato la causa perché ha riscontrato un vizio procedurale. La notifica dell’avviso di udienza al curatore della società, nel frattempo dichiarata fallita, non è stata effettuata rispettando il termine di legge di 60 giorni. Questo ha impedito la corretta instaurazione del contraddittorio, rendendo necessario il rinvio per rinnovare la notifica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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