Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23159 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23159 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6360/2017 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA n. 7771/2016 depositata il 09/06/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Campania ( hinc: CTR), con la sentenza n. 7771/2016 depositata in data 09/09/2016, ha respinto l’appello proposto dal sig. COGNOME COGNOME contro la sentenza n. 25597/2014, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva, a sua volta, rigettato il ricorso del contribuente contro l’atto di contestazione e irrogazione delle sanzioni relativo all’anno d’imposta 20 10.
1.1. La CTR ha ritenuto congruamente motivato l’accertamento del giudice di primo grado -che aveva ritenuto il sig. COGNOME amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società cartiera coinvolta in una frode carosello, attuata nell’ambito di operazi oni simulate di importazione di merce -in ragione del riferimento, per relationem, al p.v.c. della Guardia di Finanza pienamente conosciuto dal contribuente, a sua volta ascoltato e posto in condizioni di esplicare le sue difese. Ha quindi richiamato l’in dagine penale condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nel procedimento R.G. 32066/08 RGNR, rilevando che non era emerso che il sig. COGNOME non fosse persona informata sui fatti meritevole di fede e che non era stato allegato dal ricorrente di essere rimasto estraneo all’indagine o di essere stato prosciolto.
Contro la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso in cassazione con otto motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.l. 30/09/20 03, n. 269 convertito dalla legge 24/11/2003, n. 326, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. Il ricorrente -richiamato il contenuto dell’art. 7 cit. e le ragioni sottese all’introduzione della norma, funzionale a punire proprio i soggetti che traevano effettivo vantaggio dall’illecito ha evidenziato che le sanzioni amministrative sono a carico esclusivamente della persona giuridica, senza che possano concorrere nell’illecito amministratori, dirigenti o dipendenti. Rileva come gli amministratori possano rispondere solamente per le sanzioni irrogate prima del 02/10/2003, data di entrata in vigore del d.l. n. 269 del 2003, mentre nel caso di specie l’att o di contestazione è stato notificato il 10/02/2014.
1.2. Il motivo è infondato.
In via preliminare occorre rilevare che l’amministratore di fatto deve essere individuato nella persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, nella misura in cui tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza (Cass. 01/03/2016, n. 4045).
L’art. 7 d.l. 30/09/20 03, n. 269 convertito dalla legge 24/11/2003, n. 326 prevede che: « Le sanzioni amministrative
relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. »
Questa Corte ha precisato che, in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’amministratore di fatto di una società alla quale sia riferibile il rapporto fiscale ne risponde direttamente qualora le violazioni siano contestate o le sanzioni irrogate antecedentemente alla data di entrata in vigore del d.l. n. 269 del 2003, conv., con modif., dalla l. n. 326 del 2003, stante la disposizione di diritto transitorio di cui all’art. 7, comma 2, del menzionato decreto e la disciplina precedentemente vigente dettata dagli artt. 3, comma 2, e 11 del d.lgs. n. 472 del 1997 (Cass., 12/12/2019, n. 32594).
Nel caso di specie è pacifico che le violazioni da cui è scaturito l’atto di contestazione e irrogazione delle sanzioni oggetto del presente giudizio è scaturito sono collocate nell’anno d’imposta 20 10, cioè successivamente all’entrata in vigore dell’art. 7 legge n. 269 del 2003. Questa Corte ha, tuttavia, precisato che, in tema di applicazione di sanzioni amministrative tributarie, il principio secondo cui l’amministratore di fatto di una società, alla quale sia riferibile il rapporto fiscale, ne risponde direttamente solo qualora le violazioni siano contestate, o le sanzioni irrogate, antecedentemente alla data di entrata in vigore del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla l. n. 326 del 2003, incontra un limite nelle ipotesi in cui, come conseguenza dell’artificiosa costituzione ai fini illeciti della società, la persona fisica che ha agito per conto di essa diviene al contempo trasgressore e contribuente, potendo, in tal caso, irrogarsi le sanzioni senza alcun limite nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni tributarie contestate (Cass., 01/04/2022, n. 10651).
In sostanza, secondo la giurisprudenza di questa Corte l’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 non opera nell’ipotesi in cui la persona fisica che ha
agito per conto della società sia, al contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica sia una mera fictio , creata nell’esclusivo interesse della persona fisica. Tale norma intende, infatti, regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima (Cass. 8/3/2017, n. 5924 che richiama Cass. n. 19716 del 28/8/2013).
1.3. La giurisprudenza di questa Corte si ricollega, quindi, al riallineamento operato dal d.l. n. 269 del 2003 cit. tra il soggetto che beneficia dei vantaggi economici conseguenti alla violazione della norma tributaria e soggetto destinatario della sanzione. Di conseguenza, se è vero che tale regola -sottesa all’introduzione dell’art. 7 d.l. n. 269 cit. -prescinde dall’investitura formale dell’amministratore e, a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa, trova applicazione anche nell’ipotesi di amministratore di fatto, è altrettanto vero che la rottura dello schema tra beneficiario degli effetti della violazione della norma tributaria e soggetto destinatario della sanzione comporta un limite di operatività all’applicazione dell’art. 7 cit. (Cass., 26/08/2024, n. 23126).
In sostanza, nell’ipotesi in cui l’assenza di investitura formale si ricolleghi non solo a un’ingerenza gestoria di un soggetto formalmente distinto sul cui patrimonio si ripercuotono positivamente gli effetti della violazione della norma tributaria, ma implichi che il soggetto che ha materialmente posto in essere tale violazione sia anche quello che effettivamente benefici dei vantaggi fiscali ed economici, si fuoriesce dalla dicotomia soggettiva presupposta dall’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 cit. , in ragione della
concentrazione in capo a un unico soggetto del compimento dell’azione violativa e dei suoi benefici (Cass. 17/01/2023, n. 1358).
1.4. Corollario di quanto sin qui evidenziato è l’orientamento secondo il quale, in presenza di una società cartiera costituita al solo scopo di evadere il fisco, l’art. 7 del D.L. n. 269 del 2003, che esclude la responsabilità sanzionatoria dell’amministratore, anche di fatto, trova un limite, in quanto la società è una mera fictio utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari. In tali casi, le sanzioni vanno riferite direttamente all’amministratore di fatto che ha beneficiato materialmente della frode (Cass., 04/07/2024, n.18341).
Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata, quale violazione ex art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.), l’omessa pronuncia in ordine all’eccepito difetto di motivazione dell’accertamento, con particolare riferimento all’omessa indicazione della disposizione legislativa in base alla quale viene richiesto all’Esposito nell’ipotetica qualità di amministratore di fatto -il pagamento delle sanzioni.
2.1. Il ricorrente evidenzia di aver denunciato, sin dal primo grado di giudizio, l’illegittimità della pretesa avanzata nei suoi riguardi sotto un duplice profilo:
-difetto di motivazione dell’atto di contestazione per omessa indicazione delle ragioni giuridiche e di fatto che determinano l’irrogazione della sanzione;
-assenza nell’ordinamento tributario di disposizioni relative alla responsabilità dell’amministratore di fatto o di diritto della società di capitali.
2.2. Rileva, quindi, che la CTR ha ribadito, in maniera ripetitiva, che l’obbligo della motivazione dell’atto di contestazione incentrato sulla qualifica di amministratore del ricorrente -risulterebbe
soddisfatto dalla lettura congiunta dell’atto impugnato e del pvc. In nessuno dei due documenti, tuttavia, è presente l’indicazione del titolo giuridico in base al quale la sanzione sarebbe irrogabile.
2.3. Il motivo è infondato: dalla sentenza impugnata si evince che la CTR ha espressamente rigettato l’eccezione di insufficiente motivazione per relationem dell’avviso impugnato affermando che « l’accertamento è congruamente motivato, con riferimento per relationem al p.v.c. della G. di F. pienamente conosciuto dal contribuente …»
Per l’ipotesi in cui questa Corte ritenesse che la CTR avesse rigettato, implicitamente, le domande rimaste prive di risposta, sono stati proposte ulteriori censure, a partire dal terzo motivo di ricorso, con il quale è stata denunciata, in relazione al l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56, comma 5, d.P.R. n. 63 del 1972 per difetto di motivazione dell’atto impugnato in ordine all’irrogazione di sanzioni a carico dell’Esposito, o comunque, in ordine al preteso pagamento di sanzioni, sul presupposto ipotetico che egli fosse amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE
3.1. Il ricorrente evidenzia che la motivazione dell’atto di contestazione contiene solamente l’indicazione delle violazioni commesse dalla RAGIONE_SOCIALE, ma non dice niente in ordine al titolo giuridico per il quale le sanzioni dovrebbero essere pagate dall’COGNOME, ove fosse mai stato amministratore di fatto della società. A tal fine non è sufficiente neppure il rinvio per relationem al PVC della Guardia di Finanza: quest’ultimo contiene solo circostanze fattuali riferite da terzi, intese ad attribuire al ricorrente l’improbabile qualifica di amministratore di fatto, senza spiegare perché un amministratore (di fatto o di diritto) sarebbe obbligato al pagamento dei tributi e delle sanzioni imputabili al soggetto passivo
di imposta. Su tale punto non vi è mai stata contestazione ad opera della controparte e, di conseguenza, la circostanza deve essere ritenuta pacifica ai sensi dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ. Richiama, a tal fine, l’atto di contestazione, parzialmente riprodotto a pag. 13 del ricorso in cassazione, per evidenziare che il compito di indicare il titolo giuridico della pretesa fiscale appartiene esclusivamente all’Ufficio e non agli organi che svo lgono attività istruttoria. Il titolo non solo non è stato indicato nell’atto impugnato -circostanza che ne comporta la nullità -ma neppure nei successivi atti difensivi.
3.2. Il motivo è infondato. Secondo questa Corte il requisito motivazionale dell’accertamento, ai sensi dell’art. 42, secondo comma del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio d’impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., 21/11/2001, n. 14700; Cass. 11/11/2011, n. 23615; Cass. 02/03/2020, n. 5645).
Quanto alla questione relativa alla motivazione dell’avviso di accertamento per relationem è, ormai, consolidato l’indirizzo di questa Corte, secondo il quale è sufficiente che l’amministrazione metta il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur”, sicché lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato,
senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (Cass. 30/10/2019, n. 27800).
Con il quarto motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. per motivazione in parte inesistente, in parte meramente apparente e, in parte, errata/incongruente.
4.1. Con tale motivo il ricorrente censura che gli avvisi redatti, nel recepire passivamente gli atti istruttori, sono viziati perché manca la fase di garanzia della valutazione da parte dell’organo di accertamento che se ne deve assumere la piena responsabilità. Ad avviso di parte ricorrente nessuno si è pronunciato sull’usurpazione della polizia tributaria o sulla corrispondente abdicazione dell’ufficio ai propri poteri. La sentenza impugnata si è, tuttavia, limitata ad affermare che l’accertamento è cong ruamente motivato, con riferimento per relationem al pvc della Guardia di Finanza, eludendo totalmente, il problema. Ha poi rilevato che la vicenda era inserita in una complessa indagine penale e che non vi erano elementi per non ritenere che il COGNOME -cioè chi esprime qualche sospetto sulla qual ifica di amministratore di fatto in capo all’odierno ricorrente non fosse persona informata meritevole di fede, né tanto meno l’COGNOME ha allegato di essere rimasto estraneo all’indagine o di esserne stato prosciolto.
4.2. Il motivo è infondato: nel caso di specie la parte ricorrente censura la sentenza impugnata, per non aver esplicitato le ragioni sulla motivazione per relationem dell’avviso di accertamento al pvc, in relazione all’assenza di vaglio critico da parte dell’Agenzia in ordine al contenuto del pvc.
4.3. Questa Corte -con orientamento ormai consolidato -ha precisato che, alla luce delle modifiche apportate dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato di legittimità sulla motivazione è stato ristretto al “minimo costituzionale”. È pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
4.4. Nel caso di specie la sentenza è conforme al minimo costituzionale, perché si evince sia il ruolo dell’COGNOME come amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, sia il carattere meramente fittizio di quest’ultima, come emerge nella parte in cui la CTR richiama le motivazioni del primo giudice (« il primo giudice ha ritenuto che la qualificazione de ll’ ‘COGNOME come amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE, società cartiera coinvolta in una c.d. “frode carosello” secondo i notori meccanismi truffaldini ed elusivi degli obblighi fiscali nell’ambito di operazioni simulate di importazione di merce, fosse dimostrata dalle indagini compiute dalla Guardia di Finanza, trasfuse per relationem nell’accertamento, ed in particolare dalle dichiarazioni rese dal rag. NOME COGNOME»), specificando poi che « la vicenda è inserita in una complessa indagine penale relativa a truffe ed evasione fiscale…. »
Dopo avere evidenziato l ‘ affidabilità delle dichiarazioni di COGNOME, la CTR afferma che le stesse non solo non sono smentite da alcun elemento, ma sono corroborate dal contesto complessivo. Una simile motivazione, al più può, essere considerata insufficiente, ma non apparente. Di conseguenza, considerato che il sindacato di legittimità è ammissibile solo in quest’ultima ipotesi e non nella prima, il motivo è da ritenere infondato.
Per l’ipotesi in cui la motivazione della decisione non fosse ritenuta carente è stata denunciata, con il quinto motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. (da non confondere con la disciplina contenuta negli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e 55 d.P.R. n. 633 del 1972), nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
5.1. Il ricorrente rileva che l’avviso di accertamento – da cui è scaturita la notificazione del l’atto di contestazione e irrogazione delle sanzioni impugnato in questa sede – è stato emesso sulla base del metodo induttivo ex art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973. La responsabilità è stata, poi, riversata sul sig. COGNOME sulla base di un ulteriore ragionamento presuntivo. Tuttavia, la prova del coinvolgimento del ricorrente sulle presunte violazioni deve essere ricostruita sulla base dei canoni logico-probatori previsti dal codice civile e non dalle disposizioni speciali sulle presunzioni fiscali che riguardano la ricostruzione del reddito. Il metodo argomentativo usato dall’amministrazione finanziaria e recepito dalla CTR è, pertanto, errato, in quanto fondato su una doppia presunzione.
5.2. In ogni caso la sentenza impugnata è illegittima, in quanto assunta in violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., sia in ragione dell’oggettiva inesistenza di validi elementi indiziari, sia per l’inidoneità degli elementi acquisiti a dimostrare che il r icorrente sarebbe stato amministratore di fatto. In particolare, mancano i
requisiti di gravità, precisione e concordanza che devono caratterizzare il fatto noto posto alla base del ragionamento presuntivo. L’unico elemento è costituito dalle dichiarazioni del Di NOME che si è limitato a dire che la società sarebbe stata gestita, di fatto, dall’odierno ricorrente.
5.3. Il motivo è inammissibile, in quanto la censura relativa alla violazione di legge sottende, una richiesta di rivalutazione delle prove. È stato, infatti, precisato che, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri che individuano la presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta; nondimeno, per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità (criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione), vizio valutabile, ove del caso, nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., 30/06/2021, n. 18611).
5.4. Con riferimento alle censure relative alla cd. doppia presunzione questa Corte ha, poi, precisato che nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione
idonea -in quanto a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass., 01/08/2019, n. 20748).
Con il sesto motivo di ricorso è stata denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la carenza di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, nonché la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento nella parte in cui attribuisce all’Esposito la qualifica di amministratore di fatto e la viola zione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
6.1. Il ricorrente rileva come l’amministrazione finanziaria non abbia provato, in alcun modo, la presunta ingerenza dell’COGNOME nell’attività della società. A fronte di tale contestazione la CTR si è limitata a dire che quanto dichiarato dal sig. COGNOME non è smentito da alcun elemento ed è, anzi, corroborato dal contesto complessivo.
6.2. Il motivo è infondato in relazione alla denunciata carenza di motivazione (dal momento che la sentenza impugnata non viola il cd. minimo costituzionale, v. supra, sub 4.3.) ed è inammissibile in relazione alla censura di violazione di legge (dal momento che, attraverso quest’ultima, viene veicolata una richiesta di rivalutazione dei fatti). Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, precisato che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34476).
Con il settimo motivo è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione del ne bis
in idem ai sensi dell’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU, così come interpretato dalla Corte EDU (sentenza 04/03/2014, COGNOME v. Italia ), in relazione all’art. 117 Cost.
7.1. Il ricorrente rileva di essere già stato sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti e non è ammesso, pertanto, un nuovo giudizio nei suoi confronti per applicare un altro tipo di sanzione.
7.2. Il motivo è inammissibile, in quanto – a prescindere dalla novità della questione -difetta del requisito di specificità. La parte ricorrente nell’illustrazione del motivo richiama, infatti, una parte del PVC in cui si afferma che la società è inserita in un vasto giro di società riconducibili a soggetti con precedenti specifici in materia di truffe ed evasione fiscale di cui al procedimento penale n. 32066/08 presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e che la Polizia Tributaria ha inviato a quest’ultima copia del PVC. La ricorrente afferma, quindi, che: « In tal modo ha fornito all’Autorità giudiziaria, una precisa notizia di reato, corredata dalle risultanze delle indagini svolte, cui consegue, per obbligo costituzionale (art. 12 Cost.) l’esercizio dell’azione penale .» In sostanza, la parte non precisa se e quali imputazioni siano state formulate in esito alle indagini, se sia stata esercitata l’azione penale e quale sia stato l’eventuale esito di tale procedimento, non consentendo, pertanto, l’esame del merito della censura formulata con il motivo di ricorso in esame.
Con l’ottavo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 12 d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. È stata chiesta l’applicazione dello ius superveniens in materia di sanzioni e la rideterminazione di queste ultime, secondo il nuovo regime meno gravoso, anche in relazione al periodo d’imposta 2010.
8.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato: secondo questa Corte, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015 non operano in maniera generalizzata in ‘favor rei’, rendendo la sanzione irrogata illegale, sicché deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno ‘ius superveniens’ più favorevole, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non solo in ragione della necessaria specificità dei motivi di ricorso ma, soprattutto, per il principio costituzionale di ragionevole durata del processo (Cass., 12/04/2017, n. 9505).
8.3. Con riferimento all’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 5 d.lgs. n. 87 del 2024 formulata nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. occorre richiamare quanto recentemente rilevato da questa Corte e cioè che una riforma del sistema sanzionatorio in ambito tributario -dove la previsione di un minor carico sanzionatorio si relaziona ad una modifica radicale del rapporto tra il fisco e il contribuente – giustifica ampiamente una irretroattività della nuova disciplina sanzionatoria, senza con ciò poter essere tacciata di violazione dei diritti presidiati dagli artt. 3 e 53 Cost. E d’altronde, che la deroga sia ‘pensata’ con estrema ponderazione lo si rinviene nella constatazione che l’irretroattività non è coincidente con il momento di entrata in vigore della legge, ma con una data ulteriormente successiva, a comprova della necessità che anche l’attenuazione delle sanzioni necessita di una ‘tempo’ per l’attuazione dell’intero ripensamento dell’impianto sanzionatorio (Cass., 19/01/2025, n. 1274).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della parte controricorrente, liquidate in Euro 8.200 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo uni ficato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/06/2025.