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Amministratore di fatto: responsabilità e sanzioni

La Corte di Cassazione conferma la responsabilità solidale dell’amministratore di fatto per i debiti tributari e le sanzioni di una società ‘cartiera’ utilizzata in una frode carosello. L’ordinanza chiarisce che quando la società è un mero schermo per gli interessi personali dell’amministratore, il reddito e le relative passività vengono imputati direttamente a quest’ultimo, in quanto effettivo possessore, superando la personalità giuridica dell’ente. Viene quindi rigettato il ricorso del contribuente, ritenuto il vero dominus dell’attività illecita.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di Fatto: Quando la Responsabilità Supera la Forma

L’ordinamento giuridico italiano riconosce la figura dell’amministratore di fatto, ovvero colui che, pur senza un’investitura ufficiale, si ingerisce sistematicamente nella gestione di una società, esercitando poteri decisionali tipici di un amministratore di diritto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio cruciale: questa gestione di fatto non solo è rilevante per il diritto, ma può comportare una responsabilità personale e diretta per i debiti tributari e le sanzioni della società, specialmente quando questa è un mero schermo per attività illecite.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un avviso di accertamento notificato a un contribuente, ritenuto l’amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata. Le indagini della Guardia di Finanza avevano svelato che la società era una cosiddetta ‘cartiera’, inserita in un vasto sistema di frode carosello nel settore dei prodotti elettronici. La società era priva di una reale struttura operativa: non aveva una sede effettiva, non presentava le dichiarazioni fiscali e non teneva le scritture contabili obbligatorie. L’Agenzia delle Entrate, sulla base delle risultanze investigative e delle dichiarazioni di terzi, aveva imputato al soggetto non solo la gestione della società, ma anche la responsabilità solidale per le imposte evase (Ires, Irap e Iva) e le relative sanzioni.

Il contribuente aveva impugnato l’atto, contestando sia il difetto di motivazione dell’avviso, sia la mancanza di prove concrete del suo ruolo di gestore e, soprattutto, l’assenza di una norma che potesse giustificare la traslazione su di lui delle obbligazioni fiscali di una società di capitali, per definizione dotata di autonomia patrimoniale perfetta.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la piena legittimità dell’operato dell’amministrazione finanziaria e la condanna del contribuente. I giudici hanno stabilito che, di fronte a una società utilizzata come mero schermo per scopi fraudolenti personali, la responsabilità per le obbligazioni tributarie e sanzionatorie non si ferma alla persona giuridica, ma si estende a chi l’ha effettivamente e illecitamente governata.

Le Motivazioni: La Responsabilità dell’Amministratore di Fatto

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 37, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973. Questa norma consente di imputare i redditi, formalmente intestati a un soggetto interposto (in questo caso, la società ‘cartiera’), al soggetto che ne è l’effettivo possessore (l’amministratore di fatto). La Corte ha chiarito che questo meccanismo non è limitato ai soli redditi, ma si estende logicamente anche alle relative imposte e sanzioni.

La Suprema Corte ha delineato i seguenti punti cardine:

1. La Società come Fictio Giuridica: Quando è provato che una società è stata creata e utilizzata esclusivamente come ‘schermo’ o ‘paravento’ per sottrarsi alle conseguenze di illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, la persona giuridica diventa una mera fictio. L’attività, i redditi e i proventi non appartengono realmente all’ente, ma a chi lo manovra uti dominus (come se fosse il proprietario).

2. Traslazione della Responsabilità: Di conseguenza, si verifica una traslazione del reddito d’impresa e delle relative imposte dalla società interposta all’amministratore di fatto, che ne è l’effettivo beneficiario. Egli non risponde come coobbligato della società, ma in proprio, come titolare del rapporto fiscale.

3. Inapplicabilità delle Tutele Ordinarie: Il principio generale (sancito dall’art. 7 del D.L. 269/2003) secondo cui delle sanzioni risponde solo la società con il suo patrimonio, non si applica. Tale norma presuppone che l’amministratore agisca nell’interesse dell’ente. Quando, invece, l’ente è uno strumento per l’illecito personale dell’amministratore, viene meno la ratio della norma e la sanzione colpisce direttamente la persona fisica autrice della violazione.

4. Valore delle Prove Indiziarie: Per dimostrare il ruolo di amministratore di fatto, la Corte ha confermato la validità delle dichiarazioni rese da terzi agli organi di polizia giudiziaria. Sebbene non siano prove testimoniali in senso tecnico, costituiscono elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che, unitamente ad altri dati (come le risultanze delle indagini finanziarie e l’assenza di una struttura societaria reale), possono fondare il convincimento del giudice.

Le Motivazioni: La questione del Favor Rei

Infine, la Corte ha affrontato e respinto l’istanza del ricorrente di applicare un nuovo e più favorevole regime sanzionatorio introdotto con il D.Lgs. n. 87/2024. I giudici hanno chiarito che la deroga al principio del favor rei prevista dalla nuova normativa, che limita l’applicazione delle sanzioni più miti alle violazioni commesse dopo il 1° settembre 2024, non è incostituzionale. Tale scelta del legislatore è giustificata dalla necessità di bilanciare la garanzia individuale con altri interessi di rango costituzionale, inserendosi in una riforma complessiva del sistema sanzionatorio volta a ridefinire il rapporto tra Fisco e contribuente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento lancia un messaggio inequivocabile: lo schermo della personalità giuridica non offre protezione a chi abusa di tale strumento per fini fraudolenti. L’amministratore di fatto di una società ‘cartiera’ non può nascondersi dietro l’autonomia patrimoniale dell’ente, perché l’ordinamento tributario è in grado di ‘guardare oltre’ la forma per colpire la sostanza. Chi gestisce una società come cosa propria, specialmente per commettere illeciti fiscali, sarà considerato il vero e unico titolare non solo dei profitti, ma anche dei debiti e delle sanzioni che ne derivano. Questa decisione rafforza gli strumenti di contrasto all’evasione fiscale e ribadisce che la responsabilità, in ultima analisi, ricade su chi detiene il potere effettivo.

Quando un amministratore di fatto risponde personalmente dei debiti fiscali di una società?
Risponde personalmente quando viene dimostrato che la società è una ‘cartiera’, ovvero un mero schermo utilizzato per l’esclusivo interesse personale dell’amministratore, e che quest’ultimo ha agito come effettivo possessore dei redditi e dominus dell’attività illecita.

Le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Guardia di Finanza possono essere usate come prova del ruolo di amministratore di fatto?
Sì, la Corte di Cassazione afferma che tali dichiarazioni, pur non essendo prove testimoniali formali, costituiscono validi elementi indiziari che, se gravi, precisi e concordanti e uniti ad altri elementi, possono legittimamente fondare il convincimento del giudice.

In caso di società ‘cartiera’ utilizzata per una frode, la responsabilità per le sanzioni ricade sulla società o sull’amministratore di fatto?
La responsabilità per le sanzioni ricade direttamente sull’amministratore di fatto. La Corte chiarisce che il principio per cui le sanzioni colpiscono la persona giuridica non si applica quando l’ente è una mera finzione creata per l’illecito vantaggio personale di chi lo gestisce, il quale è considerato sia trasgressore sia contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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