Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8848 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8848 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25761/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
–COGNOME
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 1956/2016 depositata il 05/04/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
Secondo quanto si desume dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, l ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha emesso avviso di accertamento per l’anno 200 7 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, notificato anche a COGNOME NOME e COGNOME NOME quali amministratori di fatto, recante il recupero di materiale imponibile, con determinazione di maggiori IRES, IRAP e IVA e sanzioni, a seguito di una complessa indagine della Guardia di finanza, culminata in PVC del 15.2.2012, dalla quale era emerso che il COGNOME e il NOME, con la complicità di terzi soggetti, sotto lo schermo della RAGIONE_SOCIALE e di altre società, tutte amministrate da prestanomi, prive di beni strumentali e con sedi fittizie, avevano fornito manodopera ad imprese operanti nel settore edilizio realizzando sistematiche violazioni della normativa fiscale attraverso dichiarazioni fiscali infedeli riportanti costi e crediti IVA inesistenti, utilizzati questi ultimi in compensazione RAGIONE_SOCIALE ritenute IRPEF e dei contributi previdenziali e assistenziali per i dipendenti.
Il COGNOME e il COGNOME hanno proposto ricorso contestando di essere amministratori di fatto della società e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Milano ha rigettato i ricorsi riuniti.
Anche l’appello proposto dal COGNOME e COGNOME è stato rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Lombardia con la sentenza in epigrafe sulla base dei seguenti elementi: la società solo formalmente era amministrata da un ex operaio, nullatenente, e successivamente da due soggetti di nazionalità rumena risultati irreperibili; i committenti che avevano utilizzato le prestazioni rese dalla società, hanno riferito di aver interloquito esclusivamente con il COGNOME e COGNOME, concordando con loro le relative prestazioni; le informazioni rese dai dipendenti di RAGIONE_SOCIALE confermavano il coinvolgimento dei ricorrenti nella gestione. La CTR ha concluso affermando la legittimità dell’atto « in
quanto gli appellanti non hanno fornito la prova certa della loro estraneità all’evasione RAGIONE_SOCIALE imposte e RAGIONE_SOCIALE connesse sanzioni ».
Il COGNOME e il COGNOME hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su cinque motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 2729, 2639 e 2697 c.c., laddove la CTR aveva ritenuto gravità, precisione e concordanza degli elementi contenuti nel PVC, dai quali non risulta il compimento di atti di gestione da parte dei ricorrenti, come dimostrato dagli stralci RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rilasciate dai dipendenti della RAGIONE_SOCIALE riportati in ricorso per autosufficienza; inoltre il COGNOME era stato assolto in sede penale (sentenza del Tribunale di Milano n. 8413/15) da ogni addebito con riferimento ai medesimi fatti perché non vi erano «elementi sufficienti per affermare la sussistenza in capo all’imputato di concreti ed effettivi poteri gestori idonei a riconoscere il ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE ».
Il motivo è inammissibile poiché tende a rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal Giudice di merito, oltretutto in termini non coerenti con le regole in materia – fondate « sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza » (Cass. n. 18327 del 2023; Cass. n. 9054 del 2022) in quanto si adotta una prospettiva atomistica, esaminandosi soltanto una parte degli elementi a disposizione (che non si limitavano alle dichiarazioni dei dipendenti della società, aggiungendosi ad esse le dichiarazioni dei committenti e il ruolo meramente formale dei legali rappresentanti); invero, non si muovono specifiche e puntuali
censure, in punto di diritto, sul ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito e la critica si risolve, oltretutto attraverso un esame parziale degli elementi di prova, in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, ponendosi su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. sez. un. n. 1785 del 2018).
3.1. C ome si ricava dall’espositiva in fatto, la sentenza contiene la precisa, sebbene sintetica, indicazione degli elementi di prova, tra quelli dedotti dall’Ufficio, sui quali la CTR ha fondato il suo convincimento, che non è inficiato dalla sentenza che ha assolto il COGNOME in relazione ai medesimi fatti oggetto dell’accertamento tributario, di cui non è allegato il passaggio in giudicato, non potendo attribuirsi neppure alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione (Cass. n. 27814 del 2020; Cass. n. 28174 del 2017).
Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. laddove la CTR ha osservato che gli appellanti non avevano fornito « la prova certa della loro estraneità nell’evasione », così realizzando una errata inversione dell’onere della prova. Il motivo è infondato perché il rilievo relativo alla mancanza di prove contrarie da parte degli appellanti non ha rappresentato la ratio del giudizio, fondato invece sul l’efficacia probatoria riconosciuta agli elementi forniti dall’Amministrazione, ma ha costituito mero argomento di conferma dell’accertamento svolto .
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 11 d.lgs. n. 472/1997, avendo la CTR affermato la responsabilità in solido dei ricorrenti con la società dei ricorrenti con riguardo alle sanzioni,
sebbene l’atto impugnato avesse irrogato le sanzioni solo alla società e senza alcun riferimento all’art. 11 cit. e ad una loro responsabilità solidale.
4.1. Il motivo deve essere disatteso per più ragioni. In disparte la considerazione che secondo la giurisprudenza di questa Corte non è necessaria l’indicazione RAGIONE_SOCIALE « norme di riferimento », bastando che l’avviso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo (Cass. n. 9499 del 2017; Cass. n. 28968 del 2008; Cass. n. 3257 del 2002), la doglianza contraddice la precedente posizione dei ricorrenti che, sin dall’atto introduttivo, come riportato nel lo stesso ricorso per cassazione (v. pag. 2), « deducevano di non essere responsabili in solido per le sanzioni irrogate alla società stante il disposto dell’art. 7 del D.L: n. 269/03 », così riconoscendo una pretesa dell’Ufficio per le sanzioni e confrontandosi con essa; in ogni caso, ammesso che l’atto impositivo non affermi tale responsabilità, la questione risulta comunque priva di interesse per i ricorrenti, perché la sentenza del giudice tributario può confermare l’atto impugnato come del resto esplicitamente statuito in questo caso (« l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio è legittimo ») – ma non ampliarne il contenuto.
Con il quarto motivo (erroneamente indicato con il n. 3) si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto sin dall’atto introduttivo si era eccepita la nullità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e notificato alla stessa in persona dei geom. COGNOME e COGNOME, privi di legittimazione passiva, e sulla questione, riproposta come motivo d’appello, la CTR non si era pronunziata.
6.1. Il motivo è infondato in quanto la questione ha trovato decisione, sia pure implicita, in termini di rigetto e si tratta di una decisione che trova conferma ne ll’intestazione dell’avviso di accertamento impugnato, trascritto in ricorso, secondo cui l’atto
era indirizzato anche a « NOMEnella qualità di legale rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE ». Va sottolineato che l ‘atto è stato indirizzato ai due ricorrenti non in quanto legali rappresentanti della società bensì in proprio, come ‘amministratori di fatto’ della società ; è noto che questa figura assume rilievo soltanto ai fini di un’eventuale responsabilità per gli atti di gestione compiuti ma non incide sulla necessaria individuazione del rappresentante legale quale soggetto cui è formalmente affidata l’amministrazione della medesima società, ai fini della rappresentanza della società (Cass. n. 22957 del 2012). Quindi, i ricorrenti, in quanto amministratori di fatto, da un lato sono privi della legittimazione ad essere destinatari di un avviso di accertamento rivolto alla società di capitali -poiché gli artt. 145 c.p.c. e 60 d.P.R. n. 600 del 1973 prevedono che la notifica alle persone giuridiche avvenga mediante consegna alla persona che rappresenta l’ente (ovvero ad altri soggetti legittimati indicati dalla norma) (Cass. n. 36034 del 2021; Cass. n. 4823 del 2023) – e, d’altro lato, non sono legittimati ad impugnare l’avviso di accertamento rivolto alla società: infatti, la rappresentanza legale della stessa spetta esclusivamente agli amministratori nominati a norma di legge, risultanti da documentazioni pubbliche, quali il registro RAGIONE_SOCIALE imprese, e, ai sensi dell’art. 62 del d.P.R. n. 600 del 1973, la rappresentanza dei soggetti diversi dalle persone fisiche è attribuita, ai fini tributari, a coloro che ne hanno l’amministrazione di fatto solo ove non sia determinabile secondo la legge civile (Cass. n. 26702 del 2022).
Con il quinto motivo (erroneamente indicato con il n. 4) si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 7 d.l. n. 269/2003 conv. con l . n. 326/2003 in quanto i ricorrenti sono estranei alla società e non sono responsabili per le violazioni alla stessa contestate.
7.1. Il motivo è infondato. L’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, convertito poi in l. n. 326 del 2003, secondo cui « le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica », non opera qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società, anche di fatto, con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio; in questo caso, viene meno la ragione che giustifica l’applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (Cass. n. 1946 del 2023; Cass., 29038 del 2021; Cass. n. 12334 del 2019; Cass., n. 19716 del 2013; Cass. n. 5924 del 2017; Cass. n. 10975 del 2019).
8. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore debito;
del/la controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023.