Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 352 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 352 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8878/2024 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso da ll’ avvocato NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso (PEC: EMAIL;
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia n. 4511/03/2022, depositata il 18.11.2022.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 7 novembre 2024.
RILEVATO CHE
Con la sentenza in epigrafe indicata la CGT di secondo grado della Lombardia accoglieva l’appello proposto da ll’Agenzia delle entrate contro la sentenza della CTP di Milano che aveva accolto il ricorso proposto da NOME avverso l’ avviso di accertamento, relativo
Oggetto:
Tributi
a ll’anno d’imposta 2012, per IRES, IRAP, IVA e altro, notificatogli quale socio occulto ed amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in quanto ideatore, autore e beneficiario della frode ivi descritta, unitamente a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Cesare e al liquidatore COGNOME Alex COGNOME e ha rigettato l’appello incidentale proposto dal predetto contribuente avverso la medesima sentenza;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
-l’ avviso di accertamento impugnato era stato emesso nei confronti del COGNOME per responsabilità personale dello stesso quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE per l’anno d’imposta 2012;
il primo giudice aveva annullato l’ avviso impugnato ritenendo che mancasse la prova della partecipazione del contribuente nella gestione della società;
contrariamente a quanto sostenuto dalla CTP, dagli elementi acquisiti e, in particolare, dal contenuto delle intercettazioni si evinceva che il COGNOME era coinvolto nella gestione della RAGIONE_SOCIALE, tanto che al medesimo era stato sequestrato del denaro;
COGNOME NOME, che si occupava del prelevamento delle somme di denaro dai conti esteri aveva inoltre dichiarato che la RAGIONE_SOCIALE era riconducibile al Merigo e che a quest’ultimo spettava una parte della somma prelevata;
-il primo motivo dell’appello incidentale era infondato, in quanto l’avviso di accertamento societario era stato notificato al Meri go, in quanto il medesimo era amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE
-il secondo motivo dell’appello incidentale, secondo il quale la cancellazione della società impedirebbe la notifica all’amministratore di fatto della medesima ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, era infondato, in quanto egli era l’effettivo possessore del reddito d’impresa ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, avendo
gestito ‘uti dominus’ la società e, comunque, gli amministratori di diritto non avevano impugnato l’atto impositivo, che era divenuto definitivo, e non avevano nominato un liquidatore, rendendo inapplicabile la norma richiamata;
-anche il terzo motivo dell’appello incidentale, secondo il quale il reddito accertato della società sarebbe incongruo, era infondato, in quanto fondato sui ricavi dichiarati dalla medesima società e non rettificati né dalla società né dal Merigo ai sensi dell’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972;
la censura in ordine alle sanzioni era pure infondata, in quanto nella specie non rilevava il rapporto fiscale della società, ma quello facente capo direttamente all’interponente, quale effettivo possessore del reddito d’impresa, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, per cui la fattispecie esulava dal disposto di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente ascritte dell’ente collettivo, andavano riferite all’attività dell’amministratore di fatto;
il contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., avendo la CGT di secondo grado fondato il riconoscimento del ruolo di amministratore di fatto del Merigo su indizi privi di gravità, precisione e concordanza; precisa che: tutte le intercettazioni riguardavano conversazioni avvenute negli anni 2014 e 2015, mancando la prova del ruolo svolto dal contribuente nell’anno di accertamento (2012); le dichiarazioni del Monti, relative sempre all’anno 2015, avrebbero richiesto ulteriori elementi di riscontro che non sussistevano; dal sequestro di denaro non poteva
desumersi il compimento di atti gestori da parte del COGNOME e il suo ruolo di amministratore di fatto;
il motivo è inammissibile;
il ricorrente deduce solo apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
nella specie, la CTR ha proceduto ad un dettagliato esame del compendio probatorio offerto dall’Ufficio, che non si fondava solo sulle dichiarazioni di terzi, ma anche su numerosi riscontri oggettivi, desumibili anche dal contenuto di intercettazioni disposte nell’ambito di un procedimento penale e da accertamenti bancari;
la censura si limita, quindi, a contestare la valutazione operata dal giudice di merito sulle risultanze di prova acquisite nel giudizio;
con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CGT di secondo grado ritenuto applicabile al caso in esame la fattispecie di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, non essendo stata provata la fittizietà delle società e non avendo l’Ufficio ritenuto che il COGNOME fosse l’unico beneficiari o delle violazioni commesse;
il motivo è infondato;
come si evince dalla sentenza impugnata, il reddito di cui risultava formalmente titolare la RAGIONE_SOCIALE è stato imputato al Merigo, nella sua qualità di amministratore di fatto della predetta società, sulla base
dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1972, essendo stato accertato che il contribuente ne aveva l’effettivo possesso ‘per interposta persona’;
– chiarita la base giuridica sulla quale poggia la responsabilità del Merigo , non specificatamente contestata nel ricorso, l’irrogazione delle sanzioni trova il suo diretto riferimento nella condotta dell’interponente, il quale è sanzionato in proprio, in relazione all’avvenuta traslazione del reddito e dei relativi tributi della società, con conseguente imputazione anche delle condotte evasive, sicchè la fattispecie non si colloca all’interno del perimetro di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, in quanto il rapporto fiscale che viene in considerazione non è quello previsto dalla citata norma, « proprio di società o enti con personalità giuridica », ma, in conseguenza della traslazione del reddito all’affettivo possessore ex art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1970, quello specifico e proprio dell’interponente; pertanto, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, le violazioni, pur fo rmalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività (Cass. n. 23231 del 25/07/2022);
– i giudici di appello hanno correttamente applicato i suindicati principi richiamando proprio il recente indirizzo giurisprudenziale sopra citato; – con il terzo motivo di ricorso, la contribuente deduce la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., con riferimento alla denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CGT di secondo grado omesso di pronunciarsi sul motivo proposto dal contribuente nel ricorso introduttivo e riproposto con le controdeduzioni depositate in appello , riguardante l’illegittimità dell’atto impositivo per violazione degli artt. 19 e 21 cit., in quanto nessuna sanzione poteva essere irrogata al contribuente, atteso il
principio di specialità per cui nessuna sanzione può eseguirsi nei confronti del ricorrente fino alla definizione dei procedimenti penali;
il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e specificità;
sebbene la CTR abbia omesso di pronunciarsi sul motivo di appello riguardante la asserita violazione delle norme suindicate, va premesso che, secondo l’indirizzo ormai costante di questa Corte, ‘Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto’ ( ex plurimis , Cass. 28.06.2017, n. 16171);
-ciò posto, l’art. 19 del d.lgs. n. 74 del 200, nella versione ratione temporis applicabile, stabilisce che: ‘1. Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. 2. Permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato.’;
-l’art. 21 del medesimo d.lgs. prevede che: ‘1. L’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato. 2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicali dall’articolo
19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In quest’ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all’ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi. 3. (….) ‘;
come ha condivisibilmente affermato questa Corte, ‘In tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, l’art. 19, comma 2, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 si limita ad enunciare l’applicabilità delle sanzioni nei confronti di coloro, diversi dalle persone fisiche, “nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione” e non introduce, pertanto, a favore di quest’ultimo, ove sia anche concorrente nel reato tributario, alcuna riserva d’impunità, che sarebbe irragionevole ed in contrasto con il principio di personalizzazione delle sanzioni tributarie, restando solo, in tale ipotesi, per ovvie esigenze di connessione con il reato, sospesa, sino all’esito del procedimento penale, l’esecuzione della sanzione amministrativa, ai sensi del succes sivo art. 21, comma 2, del citato d.lgs.’ (Cass. n. 16848 del 24/07/2014) ;
-l’art. 21 del d.lgs. n. 74 del 2000, quindi, autorizza l’Ufficio ad irrogare comunque nei confronti della persona fisica, autore della violazione, la sanzione amministrativa tributaria di cui è sospesa solo l’esecuzione; — la persona fisica che sia anche concorrente nel reato, pertanto, non può invocare, in via preventiva, alcuna immunità, in quanto solo l’esecuzione della sanzione resta sospesa sino alla definizione del procedimento penale, dovendosi accertare se la condotta contestata
integri pure un fatto penalmente rilevante;
nella specie, peraltro, il ricorrente non ha neppure indicato l’esito del procedimento penale nel quale sarebbe coinvolto, limitandosi a
richiamare gli estremi di alcuni procedimenti penali, a sua volta richiamati negli atti difensivi dell’Agenzia delle entrate;
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 10.000,00 , oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 7 novembre 2024.