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Amministratore di fatto: quando risponde delle sanzioni?

La Corte di Cassazione ha chiarito i criteri per la responsabilità personale dell’amministratore di fatto per sanzioni fiscali societarie. La Corte ha annullato una decisione che richiedeva all’Amministrazione Finanziaria una “certezza matematica” per provare l’uso della società come schermo. È stato stabilito che sono sufficienti prove basate su presunzioni gravi, precise e concordanti, come le ammissioni del contribuente. Il caso è stato rinviato per una nuova valutazione basata su questo corretto standard probatorio.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di fatto e sanzioni: la Cassazione fissa i paletti sulla prova

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20707 del 2024, è intervenuta su un tema cruciale del diritto tributario: la responsabilità personale dell’amministratore di fatto per le sanzioni fiscali comminate a una società. La pronuncia chiarisce un aspetto fondamentale relativo all’onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria, stabilendo che non è necessaria una “certezza matematica” per dimostrare la natura fittizia dell’ente societario, ma sono sufficienti presunzioni gravi, precise e concordanti.

I Fatti di Causa: la controversia in primo e secondo grado

Il caso trae origine dall’impugnazione, da parte di un contribuente, di atti di irrogazione di sanzioni in materia di imposte dirette ed IVA. Le sanzioni erano state applicate alla persona fisica in qualità di amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata, le cui violazioni fiscali erano già state accertate con atti divenuti definitivi.
In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso del contribuente, sostenendo che, in base all’art. 7 del D.L. n. 269/2003, le sanzioni tributarie gravano esclusivamente sulla persona giuridica.
L’Amministrazione Finanziaria proponeva appello, argomentando che la società era stata creata ad hoc per soddisfare l’interesse esclusivo delle persone fisiche e che l’amministratore di fatto, avendone tratto un vantaggio personale, doveva rispondere delle sanzioni. La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, respingeva il gravame, ritenendo che l’Ufficio non avesse fornito prove dotate di “certezza matematica” della natura artificiosa della società, ma solo “sospetti” e affermazioni apodittiche.

La responsabilità dell’amministratore di fatto: la questione davanti alla Cassazione

L’Amministrazione Finanziaria ricorreva quindi per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, l’errata applicazione delle regole probatorie. Il punto centrale della controversia era stabilire quale standard di prova fosse richiesto per superare il principio generale della responsabilità esclusiva dell’ente e affermare la responsabilità personale dell’amministratore di fatto.

Il principio generale e l’eccezione della società-schermo

Di norma, l’art. 7 del D.L. n. 269/2003 stabilisce che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale di società con personalità giuridica sono “esclusivamente a carico della persona giuridica”. Questo principio, però, subisce un’eccezione quando la persona fisica, autrice della violazione, agisce nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente come uno schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari. In tali casi, viene meno la ratio della norma e si ripristina la disciplina generale che sanziona l’autore materiale della violazione.

le motivazioni della Suprema Corte sull’onere della prova

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso dell’Amministrazione Finanziaria relativo alla violazione delle regole probatorie. I giudici di legittimità hanno censurato la decisione della Commissione Regionale per aver richiesto un livello di prova eccessivamente rigoroso, la cosiddetta “certezza matematica”.

No alla “certezza matematica”, sì alle presunzioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato: nel processo tributario, la prova può essere fornita anche attraverso presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti (art. 2729 c.c.). Non è necessario un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale tra il fatto noto e quello ignoto; è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità.
Nel caso di specie, l’Amministrazione aveva prodotto elementi significativi, tra cui le dichiarazioni di natura confessoria rese dallo stesso contribuente in un interrogatorio penale, dove ammetteva di aver costituito “società cartiere”. La Cassazione ha ritenuto che la Corte di merito avesse errato nel declassare tali elementi a meri “sospetti”, incorrendo in una falsa applicazione delle norme sull’onere probatorio. Questi elementi, infatti, avrebbero dovuto essere valutati come gravi indizi idonei a fondare la prova presuntiva.

le conclusioni: cosa cambia per l’accertamento fiscale

La sentenza rappresenta un importante vademecum per gli operatori del diritto tributario. Accogliendo il ricorso dell’Agenzia e cassando con rinvio la sentenza impugnata, la Suprema Corte ha riaffermato che la lotta all’evasione fiscale condotta attraverso l’uso di società schermo non può essere ostacolata da richieste probatorie irragionevoli. La valutazione del giudice di merito deve basarsi su un’analisi complessiva degli elementi indiziari, senza pretendere prove assolute, ma applicando correttamente le regole della prova presuntiva. Per l’amministratore di fatto, ciò significa che non potrà fare scudo della personalità giuridica dell’ente quando emergano prove concrete, anche di natura indiziaria, che la società è stata un mero strumento per i suoi illeciti personali.

Quando un amministratore di fatto risponde personalmente delle sanzioni fiscali di una società?
Risponde personalmente non solo per il fatto di gestire la società, ma quando l’Amministrazione Finanziaria prova che la società è stata utilizzata come schermo o paravento per il perseguimento di fini personali illeciti, venendo meno la ratio della norma che attribuisce la responsabilità esclusiva all’ente.

Quale tipo di prova deve fornire l’Agenzia delle Entrate per dimostrare che una società è uno schermo fittizio?
L’Agenzia non deve fornire una prova che raggiunga la “certezza matematica”. È sufficiente basarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti, come previsto dall’art. 2729 c.c. Elementi come le dichiarazioni confessorie rese in sede penale dall’amministratore stesso costituiscono prove valide e non meri “sospetti”.

L’Agenzia delle Entrate può cambiare le ragioni della propria pretesa nel corso del giudizio d’appello?
No, l’Agenzia non può mutare la causa petendi (i fatti costitutivi della pretesa) in appello. Tuttavia, può presentare diverse prospettazioni giuridiche basate sullo stesso quadro fattuale, senza che ciò costituisca una domanda nuova e inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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