Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10887 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10887 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35634/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 5433/11/18 depositata il 01/08/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 5433/11/18 del 01/08/2018, la Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito CTR)
accoglieva l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti della sentenza n. 19617/49/16 della Commissione tributaria provinciale di Roma (di seguito CTP), che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento concernente IVA e sanzioni relative all’anno d’imposta 2009.
1.1. Come evincibile dalla sentenza impugnata, l’Amministrazione finanziaria contestava al contribuente, nella sua qualità di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, la responsabilità relativa al mancato versamento dell’IVA da parte di quest’ultima e delle sanzioni comminate alla società.
1.2. La CTR accoglieva l’appello proposto da NOME COGNOME evidenziando che: a) l’avviso di accertamento non era motivato con riferimento alle ragioni per le quali l’amministratore di fatto doveva rispondere del debito IVA della società; b) il COGNOME non veniva indicato come unico beneficiario della violazione formalmente imputabile alla società, essendo l’avviso rivolto anche ad altri due amministratori di fatto; c) l’appellante non doveva rispondere nemmeno delle sanzioni in applicazione dell’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modif. nella l. 24 novembre 2003, n. 326.
Avverso la sentenza di appello l’Agenzia dell’entrate (di seguito AE) proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
NOME COGNOME resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso AE deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. l. 27 luglio 2000, n. 212, dell’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e dell’art. 11 del d.lgs. 18 dicembre
1997, n. 472, per avere la CTR erroneamente ritenuto il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento .
1.1. In buona sostanza, la difesa erariale evidenzia che: a) l’avviso di accertamento sarebbe stato notificato a NOME COGNOME come responsabile della violazione e, dunque, con esclusivo riferimento alle sanzioni, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR; b) in ogni caso, l’avviso di accertamento sarebbe stato debitamente motivato in ordine alla configurabilità della responsabilità dell’odierno controricorrente, con l’indicazione dei presupposti di fatto di tale responsabilità; c) tale responsabilità non sarebbe esclusa dalla previsione dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, essendo COGNOME uno dei promotori e, dunque, il beneficiario -sia pure non esclusivo -dell’attività della società RAGIONE_SOCIALE
Il motivo, ammissibile diversamente da quanto sostenuto dal controricorrente, è peraltro infondato.
2.1. Va prima di tutto evidenziato, con riferimento all’accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono); ove, poi, ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai
sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2, cod. civ. (Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010).
2.2. Deve poi precisarsi che « in tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’IVA, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali si determina, ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta; inoltre, in tale ipotesi, tra i due soggetti si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore uti dominus e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a IVA, pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta è soggetto all’IVA; a tali fini incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto » (Cass. n. 23231 del 25/07/2022; Cass. n. 1358 del 17/01/2023).
2.2.1. Sotto il profilo sanzionatorio, poi, la stessa giurisprudenza evidenzia che « nell’interposizione del gestore uti dominus alla società di capitali interposta ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha rilievo il rapporto fiscale proprio di quest’ultima ma quello che fa capo direttamente all’interponente in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività ».
2.2.2. Tale ultima conclusione può dirsi ormai consolidata, essendo stato affermato che « Il principio secondo cui le sanzioni
amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, conv., con modif., in l. n. 326 del 2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto non opera nell’ipotesi di società “cartiera”, atteso che, in tal caso, la società è una mera “fictio”, utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la “ratio” che giustifica l’applicazione del suddetto art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito » (Cass. n. 10975 del 18/04/2019; Cass. n. 29038 del 20/10/2021; Cass. n. 10651 del 01/04/2022).
2.3. Ciò premesso, deve evidenziarsi che la CTR si sia pienamente conformata ai superiori principi di diritto. In particolare, il giudice di appello ha ritenuto, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, che l’avviso di accertamento non avrebbe individuato gli elementi costitutivi della responsabilità di NOME COGNOME quale amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, in presenza della previsione dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, che esclude la responsabilità del legale rappresentante per le sanzioni comminate alla società e della mancata ricostruzione della fattispecie nei termini indicati dall’ orientamento giurisprudenziale evidenziato.
2.4. In buona sostanza, nella ricostruzione del giudice di appello, l’avviso di accertamento attribuisce al sig. COGNOME la responsabilità per le imposte e le sanzioni a carico di RAGIONE_SOCIALE unicamente in ragione della sua qualità di amministratore di fatto di quest’ultima , senza indicare gli elementi presuntivi dai quali si ricaverebbe
l’utilizzazione della società quale schermo illecitamente costituito per mascherare l’attività commerciale svolta unitamente ad altri soggetti.
2.5. La insussistenza -per come legittimamente valutata dalla sentenza impugnata -di validi elementi presuntivi, costitutivi della responsabilità del controricorrente, esonera la CTR dall’esame della prova contraria offerta dal sig. COGNOME e implica la nullità dell’atto impositivo, non fondato su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.
2.5.1. In altri termini, gli elementi di fatto indicati dall’Amministrazione finanziaria nel contesto dell’avviso di accertamento, pur riprodotti in ricorso ai fini dell’autosufficienza dello stesso, sono inidonei, secondo la legittima e corretta valutazione della CTR, a connotare la responsabilità dell’amministratore di fatto per le imposte e per il versamento delle sanzioni, in quanto inidonei a riprodurre, sia pure presuntivamente, lo schema indicato dalla giurisprudenza di questa Corte (risultando del tutto ininfluente il pur erroneo riferimento del giudice di appello alla necessità che il contribuente sia l’unico beneficiario dell’attività della società).
In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite superiore ad euro 520.000,00.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente procedimento, liquidate in euro 10.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, ad euro 200,00 per spese borsuali e agli accessori di legge. Così deciso in Roma, il 07/11/2024.