Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15599 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15599 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
Comunicazione di presa in carico – Impugnazione – Amministratore di fatto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14786/2020 R.G. proposto da: NOME COGNOME e
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dagli ‘Avv. NOME COGNOME
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore,
-resistente – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. PUGLIA, SEZIONE STACCATA FOGGIA N. 118/2020, depositata il 27/01/2020;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso ; NOME sentiti l’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente e l’ Avv. dello Stato COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. In data 24 novembre 2015, l’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOMEnella qualità di autore della violazione» tre avvisi di accertamento (nn. TVK031103720/2015, TVK031103723/2015 e TVK031103731/2015) con i quali, per gli anni di imposta 2011, 2012 e 2013, recuperava a tassazione, ai fini Ires, Irap e Iva, un maggiore imponibile realizzato dalla RAGIONE_SOCIALE della quale era stato rappresentante legale sino al 14 giugno 2013. Con detti atti impositivi l’Ufficio avvisava il Lops oltre che la società ed il rappresentante legale, NOME COGNOMEche, a seguito del controllo della posizione fiscale della società, aveva rilevato violazioni formali e sostanziali per le quali procedeva al recupero delle imposte applicando le seguenti sanzioni. Nell’atto impositivo si precisava che si ritenevano autori materiali delle violazioni e responsabili in solido delle stesse il Lops ed Chieti. Infine, detti ultimi venivano individuati quali soggetti coobbligati e responsabili in solido delle somme dovute in base al titolo esecutivo nella misura e nelle forme previste dalla normativa civilistica e tributaria.
In data 24 agosto 2016 venivano notificati al Lops tre atti denominati «avviso di presa in carico» con i quali l’E RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE lo avvertiva che l’Agenzia delle Entrate aveva dato l’incarico di riscuotere coattivamente nei suoi confronti tutte le somme (imposte, interessi e sanzioni) che risultavano dai citati avvisi di accertamento.
Il contribuente proponeva tre distinti ricorsi con i quali impugnava sia gli avvisi di presa in carico che i propedeutici avvisi di accertamento.
La CTP, previa riunione, rigettava i ricorsi con sentenza confermata in appello.
La CTR, con la sentenza in epigrafe, affermava che gli avvisi di presa in carico erano atti impugnabili per vizi propri; che i prodromici avvisi di accertamento e l’avviso di contestazione erano stati ritualmente notificati nelle mani del Lops, nella qualità di autore delle violazioni, in relazione alla attività di amministratore della società, in solido con il rappresentante legale; che tutti i motivi relativi agli atti presupposti -quindi quelli attinenti alla legittimazione ed alla responsabilità, alle imposte ed alle sanzioni irrogate -avrebbero dovuto essere proposti avverso gli avvisi di accertamento, i quali, in mancanza di impugnazione, erano divenuti definitivi; che il ricorrente avrebbe dovuto proporre i vizi inerenti alla notifica degli avvisi di accertamento impugnando detti ultimi e che il medesimo aveva avanzato in data 8 gennaio 2016 istanza per la definizione in adesione dell’accertamento notificato. Di seguito la CTR motivava nel merito in ordine alla legittimità degli atti impositivi.
Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione . L’Agenzia delle entrate, invece, ha depositato nota, intestata «atto di costituzione» a i soli fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale. non avendo proposto tempestivo controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 21, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e dell’ art. 100 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibili perché tardivi «i motivi di ricorso, attinenti la non debenza delle imposte e sanzioni collegati ai maggiori tributi accertati in capo alla RAGIONE_SOCIALE», sul presupposto che gli stessi avrebbero dovuto essere proposti nel termine di sessanta giorni dalla notifica degli avvisi di accertamento, avvenuta il 24 novembre 2015, e non con l’impugnazione delle comunicazioni di presa in carico.
Osserva che il giudice di appello ha erroneamente sussunto la fattispecie concreta in quella astratta in quanto i tre avvisi di accertamento erano stati elevati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e a lui notificati nella qualità di autore della violazione; che, pertanto, era evidente che con gli stessi non gli era stata richiesta alcuna delle maggiori imposte (e relativi interessi), accertate esclusivamente in capo alla società, sicché non vi era interesse ad impugnarli; che, viceversa, l’ interesse era sorto (almeno con riferimento alle maggiori imposte ed interessi) nel momento della notifica delle comunicazioni di presa in carico con le quali si era preteso nei suoi confronti il pagamento anche delle imposte ed interessi accertati esclusivamente in capo alla società. Conclude, pertanto, rilevando che la sentenza non ha tenuto conto del fatto che il primo atto con il quale era stata avanzata la pretesa relativa alle imposte ed agli interessi era proprio la comunicazione di presa in carico.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., un vizio di omessa pronuncia.
Assume che il giudice di appello era chiamato a spiegare come si potessero richiedere al contribuente con le comunicazioni di presa in carico le maggiori imposte accertate in capo alla società di cui era stato legale rappresentante, sebbene gli avvisi di accertamento gli fossero stati notificati esclusivamente nella qualità di autore della violazione. Evidenzia che, ammesso che gli avvisi di accertamento contenessero
una pretesa diretta nei propri confronti, la stessa era limitata all’aspetto sanzionatorio e certamente non alle imposte accertate nei confronti della società la quale, unica, ne doveva rispondere; che, pertanto, gli stessi non potevano rappresentare il presupposto dell’ iscrizione a ruolo anche delle maggiori imposte accertate in capo alla società.
Aggiunge che, stabilito che con gli avvisi di accertamento elevati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non era stato richiesto al Lops anche il pagamento delle maggiori imposte, ed atteso che l’Agenzia aveva iscritto a ruolo anche dette ultime, era onere del giudice di appello pronunciarsi sulla legittimità di tale pretesa.
Evidenzia che nei tre ricorsi introduttivi aveva eccepito che non poteva essere ritenuto in alcun modo destinatario di un avviso di accertamento riferito alla società e che non potevano essergli richieste somme relative a quest’ultima che aveva rappresentato precedentemente. Aggiunge che la questione era stata riproposta anche in appello.
Con il terzo motivo, in via gradata rispetto al secondo motivo, denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., l’ omessa motivazione e la violazione dell’art . 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Per l’ipotesi in cui questa Corte dovesse ritenere che il giudice di appello abbia implicitamente rigettato la questione della legittimità della richiesta di pagare anche le maggiori imposte accertate in capo alla società, rileva che la sentenza è priva di ogni motivazione.
Con il quarto motivo denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2463 cod. civ.
Assume che il giudice di appello -nel confermare la pretesa dell’Agenzia (avanzata per la prima volta con le comunicazioni di presa
in carico) di pagamento delle maggiori imposte accertate in capo alla società -ha violato la previsione dell’art. 2462, primo comma, cod. civ. la quale prevede che nelle società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.
Con il quinto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui a ll’art. 16 d.lgs . 18 dicembre 1997 n. 472 e all’ art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione alle sanzioni.
Afferma che gli avvisi di accertamento notificati il 24 novembre 2015 assolvevano alla sola funzione di notiziarlo del fatto che era stato ritenuto autore materiale della violazione e responsabile del pagamento delle sanzioni e che, pertanto, andavano qualificati come «atti di contestazione de lla violazione» ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 472 del 1997 in quanto non accertavano alcun tributo nei suoi confronti. Deduce, per l’effetto, che i ricorsi erano certamente tempestivi , in quanto in data 8 gennaio 2016, cioè entro sessanta giorni dalla notifica dei tre atti, avvenuta il 24 novembre 2015, aveva presentato deduzioni difensive (erroneamente qualificate dalla CTR come istanza per la definizione in adesione dell’accertamento) ; che tali memorie, ai sensi dell’art. 16, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997 , avevano prodotto l’effetto di impedire l’impugnazione immediata dei tre atti, in attesa dell’esame da parte dell’A mministrazione e della comunicazione, nel termine decadenziale di un anno, delle proprie determinazioni; che l ‘Agenzia , tuttavia, non aveva comunicato alcunché, limitandosi (illegittimamente) a procedere alla immediata iscrizione a ruolo delle sanzioni insieme alle imposte ed agli interessi.
Conclude, per l’effetto, evidenziando che: 1) avendo presentato nei sessanta giorni le deduzioni difensive, non avrebbe potuto proporre alcun ricorso in quanto l’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, in caso di presentazione di deduzioni difensive, dispone che
l”impugnazione immediata non è ammessa e, se proposta, diviene improcedibile; 2) nel momento in cui era venuto a conoscenza dell’avvenuta iscrizione a ruolo (effettuata in spregio della procedura dell’art. 16 cit.), era legittimato ad adire il giudice tributario per chiedere la verifica giudiziale dei presupposti dell’azione esecutiva intrapresa nei propri confronti; 3) i ricorsi, pertanto, anche in relazione alle sanzioni, erano tempestivi.
Con il sesto motivo denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione art. 7 d.l. 30 settembre 2003 n. 269.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’applicazione dell’art. 7 cit. laddove prevede che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.
Assume che il giudice di appello ha erroneamente preteso, al fine di escludere la propria responsabilità personale quale amministratore della società, un ‘ incomprensibile e sconosciuta prova contraria, tra l’altro in una situazione in cui era pacifico che aveva sempre agito nell’interesse della società, tant’è che con i tre avvisi di accertamento erano state accertate le maggiori imposte solo ed esclusivamente nei confronti d i quest’ultima che, quindi, era stata pacificamente riconosciuta come entità effettivamente esistente.
7. In via pregiudiziale, occorre rilevare che il ricorrente ha illustrato i motivi di ricorso mediante la formulazione dei quesiti di diritto, ai sensi dell’abrogato art. 366bis cod. proc. civ., seppur non richiesti dalla norma processuale applicabile ratione temporis , secondo la disciplina transitoria dettata dall’art. 58, quinto comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69, per essere stata la sentenza impugnata pubblicata successivamente all’entrata in vigore di tale legge. Ciononostante, tale
articolazione dei motivi non è, di per sé, ragione di inammissibilità, in quanto, esclusa qualsivoglia invalidità espressa, anche la nullità a rilevanza variabile, prevista dall’art. 156, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione al difetto dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, non è configurabile nel caso in cui l’atto, munito del contenuto prescritto dalla legge, contenga altresì elementi sovrabbondanti, ma privi di riflesso negativo su quelli essenziali (Cass. 17/05/2024, n. 13832).
8. Il secondo ed il terzo motivo vanno esaminati in via preliminare in quanto con i medesimi il ricorrente prospetta errores in procedendo , rispettivamente per omessa pronuncia e per omessa motivazione, che, ove sussistenti, determinerebbero la nullità della sentenza.
I motivi sono infondati.
8.1. Il ricorrente muove dal presupposto che con i tre avvisi di accertamento, impugnati contestualmente alla comunicazione di presa in carico, l’Ufficio aveva recuperato le imposte e gli interessi nei confronti della sola società, irrogando nei suoi confronti le sole sanzioni, quale amministratore di fatto ed autore materiale delle violazioni. Per l’effetto, assume che la C TR non si è pronunciata o, in via subordinata, non ha motivato, sulla questione controversa, relativa alla possibilità di richiedere con la comunicazione di presa in carico il pagamento delle maggiori imposte dovute dalla società.
8.2. Deve muoversi dal rilievo che la CTR, nella parte espositiva della sentenza, precisava che i tre avvisi di accertamento -relativi ad Ires, Irap, Iva e sanzioni -erano stati emessi nei confronti sia della società che del Chieti (rappresentante legale della stessa) che, infine del Lops. Si legge testualmente nella sentenza impugnata: «conseguiva, pertanto, che i rilievi evidenziati con la verifica fiscale e le conclusioni di cui al p.v.c. hanno indotto l’Ufficio ad emettere gli avvisi di accertamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e nei confronti dei
sigg. COGNOME e COGNOME . La CTR, per altro, nell’affrontare il merito della questione, ribadiva la piena responsabilità del Lops per le violazioni contestate nell’accertamento.
La sentenza, pertanto, muove da un dato opposto rispetto a quanto affermato dal ricorrente , ovvero che il Lops era destinatario dell’intera pretesa tributaria azionata con l’atto impositivo , e non delle sole sanzioni.
In ragione di tale premessa in fatto, la CTR ha rilevato che gli avvisi di accertamento, notificati a mani proprie del Lops, erano divenuti definitivi per omessa impugnazione e che la successiva comunicazione di presa in carico era impugnabile, pur non rientrando tra gli atti di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, ma solo per vizi propri. Ha aggiunto che, di conseguenza, tutte le doglianze circa il suo ruolo nella società avrebbero dovuto farsi valere impugnando gli atti presupposti e che ciò valeva anche per le questioni relative alla legittimazione ed alla responsabilità del ricorrente per le imposte e per le sanzioni. Ha concluso, quindi, affermando che i vizi denunciati con il ricorso avrebbero dovuto farsi valer impugnando gli avvisi di accertamento e non attraverso l’impugnazione dell’atto di presa in carico .
8.3. Ciò posto, deve rammentarsi che il vizio di omessa pronuncia ricorre, per giurisprudenza costante di questa Corte, in caso di totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità, pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. ex plurim is Cass. 29/01/2021, n. 2151; Cass. 02/04/2020, n. 7662; Cass. 30/01/2020, n. 2153).
Il vizio di omessa motivazione, invece, ricorre ove l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé,
purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»; è esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).
8.4. La CTR non è incorsa in nessuno dei vizi contestati.
La sentenza, infatti, dopo aver chiaramente esplicitato che i rilievi evidenziati con la verifica fiscale e le conclusioni di cui al p.v.c. avevano indotto l’Ufficio ad emettere gli avvisi di accertamento nei confronti della Jcar, del Chieti e del Lops, ha ritenuto che tutti i motivi inerenti gli atti presupposti -e quindi quelli relativi alla legittimazione e responsabilità del ricorrente, alle imposte pagate ed alle sanzioni irrogate -erano inammissibili. Stessa statuizione ha reso con riferimento alla notifica degli atti impositivi. Pertanto, il giudice del secondo grado, non solo si è espressamente pronunciato sul punto controverso, ma ha anche adeguatamente esplicitato le ragioni del decisum.
Il primo motivo è complessivamente infondato.
9.1. Anche con il motivo in esame il ricorrente muove dal l’assunto che gli atti impositivi accertassero nei suoi confronti le sole sanzioni. In ragione di tale premessa, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibili i motivi con i quali aveva contestato la pretesa di pagamento delle imposte, manifestata per la prima volta nei suoi confronti con la comunicazione di presa in carco.
9.2. Come già rilevato, il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che muove dal diverso presupposto che gli avvisi di accertamento notificati in mani proprie avessero ad oggetto la
pretesa di pagamento sia delle imposte che delle sanzioni. Pe altro, va rilevato che il diverso assunto del contribuente torva smentita anche negli avvisi di accertamento versati in atti che non contenevano alcun distinguo tra sanzioni ed imposte quanto al soggetto tenuto al pagamento quale obbligato solidale.
Inoltre, il ricorrente non ha nemmeno censurato l’erronea interpretazione del contenuto dell ‘ atto impositivo da parte della CTR limitandosi a ravvisare l’errore di diritto che questa avrebbe commesso nel considerare tardive le proprie eccezioni sul merito della pretesa fiscale sebbene quest’ultima fosse stata avanzata solo con la comunicazione di presa in carico. La CTR, invece, ha ritenuto tardive le contestazioni sul presupposto che la pretesa fosse stata già portata a conoscenza del contribuente con la notifica dell’avviso di accertamento.
9.3. Per il resto, il motivo è infondato.
Deve ribadirsi che possono essere oggetto di ricorso gli atti iscritti nell’elenco di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, e tutti gli atti amministrativi aventi natura provvedimentale, capaci di incidere autoritativamente sulle situazioni giuridiche soggettive dei contribuenti modificandole unilateralmente sotto il profilo sostanziale (oppositivo o pretensivo) o processuale, inerenti o conseguenti a rapporti tributari, creditori o debitori. Viceversa, non possono essere oggetto di ricorso gli atti privi di natura provvedimentale come sopra descritta, ancorché promananti dall’Amministrazione finanziaria, da incaricati per la riscossione od organismi a questi ancillari, salvo che costituiscano la prima comunicazione con cui si palesi esistente un atto tributario di natura provvedimentale, espresso, tacito o presupposto, di cui il contribuente dimostri, anche in via presuntiva, non aver avuto notizia.
Quanto all’avviso di presa in carico, in questa ottica si è già precisato che lo stesso non ha capacità di incisione unilaterale sui profili sostanziali, nè involge lesioni agli aspetti processuali, comportando
limitazioni all’azione. Esso è pertanto estraneo alla categoria degli atti autonomamente impugnabili, per cui consentirne la ricorribilità significherebbe avvallare la «retrodatazione» dell’interesse ad agire che da attuale diverrebbe eventuale. Differente, tuttavia, è l’ipotesi in cui l’avviso di presa in carico sia il primo atto con cui si manifesta un precedente provvedimento lesivo, che potrebbe essere espresso, tacito o anche presupposto (Cass. 19/07/2023, n. 21254). Tale, però, come detto non è il caso in esame, ove gli atti precedenti all’avviso di presa in carico, secondo la ricostruzione della CTR, erano stati emessi anche nei confronti del ricorrente ed a lui notificati.
In ragione del rigetto del primo motivo, restano assorbiti il quarto ed il sesto motivo con i quali il ricorrente fa valere vizi propri dei prodromici avvisi di accertamento non impugnati.
Sebbene la CTR abbia motivato anche sul merito delle questioni trattate con i motivi, va rammentato che qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare, con la conseguenza che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata(Cass. Sez. U. 20/02/2007, n. 3840 ribadita, tra le altre, di recente da Cass. 29/01/2024, n. 2722).
Il quinto motivo è infondato.
10.1. Il ricorrente muove, ugualmente, dal presupposto, smentito dalla CTR, che gli avvisi di accertamento contenevano, nei propri confronti, la mera contestazione della violazione e che, avendo
proposto memorie difensive, restava impedita la loro impugnazione ai sensi dell’art. 16, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997.
10.2. La procedura di irrogazione delle sanzioni, contemplata con riferimento a tutti i tributi dall’art. 16 d.lgs. n. 472 del 1997, prevede la notifica al trasgressore ed agli eventuali coobbligati, dell’atto di contestazione, da parte dell’ufficio o dell’ente competente, laddove la sanzione non sia irrogata contestualmente all’avviso di accertamento, come, invece, previsto dall’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 e come accaduto, come accertato dalla CTR, nella fattispecie in esame.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese di legittimità, relative all’attività difensiva svolta dalla resistente Agenzia in udienza, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.600,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.