Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5933 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5933 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
RANDONE SALVATORE
– intimato – avverso la sentenza della C.T.R. della Sicilia, n. 694/2021, depositata il 21.1.2021 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Oggetto: Avviso di accertamento – Motivazione per relationem – Amministratore di fatto – Conoscibilità del p.v.c. notificato alla società.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20061/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Catania, COGNOME Salvatore impugnava l ‘avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate , sulla base del p.v.c. redatto dalla Guardia di finanza all’esito di una verifica effettuata nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, gli aveva contestato, quale amministratore di fatto della predetta, il mancato pagamento di tributi.
In primo grado, la C.t.p. accoglieva l’impugnazione , ritenendo fondata l’unica doglianza sollevata dal contribuente ed afferente alla insufficiente di motivazione della pretesa tributaria, attesa la mancata allegazione del p.v.c. richiamato nell’accertamento, notificato al solo rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE
L’appello proposto da ll’Agenzia delle entrate veniva rigettato dalla C.t.r. che confermava la sentenza impugnata, ritenendo non sufficientemente motivato, neanche per relationem , l’avviso di accertamento, poiché la documentazione su cui si basava non era stata mai portata a conoscenza dell’appellato, non essendogli stati notificati né il p.v.c., né i documenti ad esso allegati.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate , sulla base di due motivi. Rimaneva intimato il contribuente.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME depositava requisitoria scritta, con cui chiedeva l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 7 della l. n. 212 del 2000, nonché degli artt. 2697 e ss. c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato
la C.t.r. nel ritenere insufficiente la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, omettendo del tutto la ricostruzione fattuale della vicenda e la valutazione dello status di amministratore di fatto del contribuente, equiparabile all’amministratore di diritto e, pertanto, nelle condizioni di poter conoscere gli atti presupposti richiamati nell’atto impositivo notificato, dei quali erano riportati il contenuto essenziale e gli elementi rilevanti per la loro individuazione.
Con il secondo motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nonché dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per essere la motivazione della sentenza impugnata omessa o, comunque, del tutto insufficiente.
Con i due motivi di doglianza, l’Agenzia delle entrate solleva due diverse contestazioni: la prima relativa alla violazione di norme sostanziali, afferente alla insufficiente motivazione dell’atto impositivo notificato al contribuente; la seconda relativa alla violazione di norme processuali, afferente alla insufficiente motivazione del provvedimento giurisdizionale impugnato.
Per motivi di ordine logico-sistematico, appare opportuno iniziare con l’esame del secondo motivo di doglianza, che risulta infondato.
Giova ricordare che, a seguito della riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella insanabile e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella insuperabile (cfr. Cass., Sez. Un, 28 ottobre 2022, n. 32000). A tal riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che è oggi denunciabile in sede di legittimità solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo
della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 27 dicembre 2023, n. 35947; Cass. 11 ottobre 2023, n. 28390; Cass. 18 settembre 2023, n. 26704; Cass. 13 gennaio 2023, n. 956 del 2023; Cass. 17 novembre 2022, n. 33961). Questa anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione o di sua contraddittorietà (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso anche le più recenti e già menzionate Cass. nn. 28930 del 2023 e 33961 del 2022).
Orbene, la sentenza impugnata, seppur sinteticamente, contiene una espressa valutazione del l’asserito difetto di motivazione dell’atto impositivo impugnato, il quale è stato ritenuto fondato in conseguenza della mancata notificazione del presupposto p.v.c..
Una siffatta motivazione consente di individuare l’iter argomentativo seguito dai giudici di merito e, per tale ragione, essa si sottrae alla censura articolata, collocandosi al livello del minimo costituzionale, richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127).
Per contro, è fondato il primo motivo , relativo alla sufficiente motivazione dell’atto impositivo.
La Suprema Corte ha, anche recentemente, affermato che, in tema di avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, non ha l’obbligo di allegare all’atto impositivo i documenti richiamati, potendo limitarsi a riprodurne il contenuto essenziale (Cass. n. 34906/2024, Rv. 673153-01). Inoltre, è stato più volte ribadito che l’avviso di
accertamento, nell’ipotesi di doppia motivazione per relationem , è legittimo ove il processo verbale di constatazione richiamato nello stesso, a propria volta, faccia riferimento a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente (Cass. n. 32127/2018, Rv. 651783-01, nello stesso senso Cass. n. 28060/2017, Rv. 646225-01, secondo cui, in tema di motivazione dell’atto d’imposizione tributaria, l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente di conoscere le ragioni della pretesa deve ritenersi assolto, con doppia motivazione per relationem , qualora il richiamato processo verbale di constatazione faccia a sua volta riferimento a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente).
4.1. Ciò posto, con riferimento alla posizione del socio di una società di capitali avente ristretta base partecipativa, la giurisprudenza di legittimità ha, in più occasioni, affermato che l’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci, come disciplinato dall ‘art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dal l’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, è soddisfatto anche mediante rinvio per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2476 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi (Cass. n. 21126/2020, Rv. 659467-01).
Ed infatti, l’ avviso di accertamento emesso nei confronti del socio (sia esso socio di una società di capitali, sia esso socio di una società di persone), per redditi provenienti da utili non dichiarati della società anzidetta a ristretta base partecipativa, non può ritenersi separato ed autonomo rispetto all’accertamento svolto nei confronti della società. Esso, pertanto, è legittimamente emesso ed adeguatamente motivato, seppur contenente un mero rinvio per relationem ai redditi della società, in quanto i soci, ai sensi degli artt. 2261 e 2476 c.c. (dettati rispettivamente per le società di persone e
per le società a responsabilità limitata), hanno il potere di consultare la documentazione della società; di prendere visione degli atti accertativi emessi nei confronti di quest’ultima e degli eventuali documenti giustificativi in possesso della medesima; di prendere parte attiva agli accertamenti esperiti nei confronti della società, al fine di contrastarli. Di conseguenza, i soci, una volta divenuti destinatari di accertamenti emessi nei loro confronti per redditi partecipativi ipotizzati nei loro confronti, non possono dolersi della circostanza che l’accertamento emesso nei confronti della società sia divenuto definitivo e non possono riproporre doglianze allo stesso riferibili (così, in motivazione, Cass. n. 3980/2020, Rv. 657304-01).
In questa prospettiva, come pure recentemente ribadito (Cass. n. 2288/2025, in motivazione), la presunzione di conoscenza da parte del socio si regge sulla massima esperienziale, secondo cui nella società costituita da un ristretto gruppo di persone non è verosimile che esse non abbiano conto di quanto accade – o comunque possano ignorarlo – proprio a causa della vicinanza alle vicende societarie, agli altri soci ed alla gestione della società. Sicché, il potere di controllo del socio conduce a ritenere che gli atti sottesi all’avviso di accertamento nei confronti della società siano noti al contribuente, o comunque facilmente conoscibili, ciò rendendo inutile l’allegazione degli atti in questione, atteso che la ratio dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000 non è di assolvere un dovere formale, ma di portare a conoscenza del contribuente i fatti fondanti l’accertamento nei suoi confronti che egli non conosca o non sia in grado di conoscere, al fine di assicurare la garanzia del diritto di difesa.
4.2. Se i principi ora esposti valgono con riferimento al socio di una società (anche di capitali, quale la società a responsabilità limitata) a ristretta base partecipativa, a fortiori , essi devono valere anche in relazione all’amministratore (anche di fatto) di quella stessa tipologia di società.
Ed, infatti, se il socio ha la (semplice) facoltà di prendere visione degli atti emessi nei confronti della società e dei relativi documenti giustificativi, l’amministratore ha un vero e proprio obbligo, derivante dalla sua posizione, di conoscere l’andamento dell’intera attività sociale, di valutare quei documenti giustificativi e, in presenza dei relativi presupposti, di reagire, mediante l’impugnazione, ad atti impositivi illegittimi emessi nei confronti dell’ente. D’altra parte, la medesima massima espe rienziale suesposta nei confronti del socio ben può essere trasposta anche al soggetto preposto alla gestione della società, che non solo può (come avviene per il socio), ma, anzi, deve avere conoscenza delle vicende societarie, ivi compresi i rapporti con i soggetti impositori.
4.3. Né può discriminarsi tra la posizione dell’amministratore di diritto e quella dell’amministratore di fatto.
Sul punto, infatti, merita di essere ricordato che la figura dell’amministratore di fatto ricorre allorquando un soggetto, pur non essendo formalmente investito della carica di amministratore, si ingerisce nell’amministrazione, esercitando (di fatto) i poteri propri inerenti alla gestione della società, essendo così equiparato all’amministratore di diritto, anche ai fini della responsabilità civile e penale. Conseguentemente, il soggetto che assume la qualifica di amministratore di fatto di una società è gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto dovendo quindi assolvere ad i medesimi obblighi, amministrativi e gestori.
Proprio per tale ragione, in giurisprudenza si è affermato, con particolare riferimento alla figura dell’amministratore di fatto (ancorché di una società di persone), che questi non è legittimato a ricevere la notificazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, perché l’atto impositivo deve essere consegnato alla persona che rappresenta l’ente secondo la legge, ai sensi dell’art. 145, comma 1, c.p.c.; peraltro, l’amministratore di fatto non può lamentare la lesione del proprio diritto di difesa per
non aver ricevuto personalmente, da parte dell’ente impositore, la notificazione di un atto idoneo all’istaurazione del contraddittorio preventivo, in quanto si deve ritenere che fosse comunque a conoscenza di ogni vicenda riguardante la società (così, la già citata Cass. n. 4823/2023).
La C.t.r., laddove ha ritenuto nullo l’avviso di accertamento solo sulla base della mancata notifica al contribuente del p.v.c. emesso nei confronti della società, non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto suesposti, omettendo qualsivoglia valutazione della concreta posizione ricoperta da NOME COGNOME Egli, infatti, non era un soggetto completamente estraneo all’ente sottoposto ad attività di verifica dalla Guardia di finanza, ma ne era l’amministratore di fatto e tale qualifica no n risulta essere mai stata da egli stesso contestata. Del resto, l’accertamento fiscale traeva origine dall’indagine penale avviata nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2639 c.c., norma che estende la punibilità per i reati societari anche all’amministrat ore di fatto.
Era, pertanto, necessario valutare se il p.v.c., posto alla base dell’avviso di accertamento impugnato ed i documenti ad esso allegati, fossero conosciuti, o quantomeno conoscibili dal contribuente, alla luce dei principi ricavabili dalla giurisprudenza sopra citata, dal contribuente, tenuto conto del suo ruolo di amministratore di fatto della società e tenuto conto delle indicazioni contenute nella motivazione dell’atto impositivo. Ed infatti, attesi gli incontestati poteri gestori di fatto del contribuente, si doveva ritenere che lo stesso fosse a conoscenza di ogni vicenda riguardante la società, ovvero che avesse comunque la possibilità di conoscerla.
Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo che, in diversa composizione, dovrà riesaminare l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate alla luce del seguente principio di diritto: ‘In tema di accertamento, l’obbligo di
motivazione degli atti impositivi, come disciplinato dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, notificati all’amministratore di fatto, è soddisfatto mediante rinvio per relationem al p.v.c. riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché egli, ingerendosi nell’amministrazione ed esercitando i poteri propri inerenti alla gestione societaria, pur in difetto di una formale investitura, ha l’obbligo , al pari dell’amministratore di diritto, di conoscere l’andamento dell’intera attività sociale , ivi compresi gli atti impositivi emessi nei confronti dell’ente ed i relativi documenti giustificativi, al fine di reagire mediante impugnazione, ove ritenuti illegittimi’ .
Il giudice a quo dovrà anche provvedere al regolamento delle spese di lite del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, per l’ ulteriore esame dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione