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Amministratore di fatto: notifica atti e motivazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che un avviso di accertamento notificato a un amministratore di fatto è legittimo anche se motivato con riferimento a un processo verbale di constatazione (p.v.c.) notificato solo alla società. Secondo la Corte, l’amministratore di fatto, esercitando poteri gestori, ha l’obbligo, al pari dell’amministratore di diritto, di conoscere l’andamento dell’attività sociale, inclusi gli atti impositivi. Pertanto, non può eccepire la mancata conoscenza di documenti che avrebbe potuto e dovuto consultare, rendendo valida la motivazione per relationem.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di Fatto: La Conoscibilità degli Atti Societari Basta per la Notifica

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale nel diritto tributario e societario: la posizione e le responsabilità dell’amministratore di fatto. La Corte di Cassazione chiarisce che chi gestisce un’impresa senza un’investitura formale non può invocare la propria posizione per eludere le conseguenze fiscali, specialmente riguardo alla notifica degli atti impositivi. La decisione sottolinea come il dovere di diligenza e conoscenza prevalga sulla formalità della notifica personale.

I Fatti del Caso

L’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento a una persona fisica, ritenuta amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata. La pretesa fiscale si fondava sul mancato pagamento di ritenute IRPEF dei lavoratori dipendenti, come emerso da un processo verbale di constatazione (p.v.c.) redatto dalla Guardia di Finanza. Il contribuente impugnava l’atto, sostenendo che fosse privo di adeguata motivazione, poiché il p.v.c., documento fondamentale richiamato nell’avviso, era stato notificato unicamente al rappresentante legale della società e non a lui personalmente.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale accoglievano le ragioni del contribuente, annullando l’atto impositivo. I giudici di merito ritenevano che la mancata notifica del p.v.c. all’interessato rendesse la motivazione per relationem inefficace, non avendolo messo in condizione di conoscere pienamente le ragioni della pretesa fiscale. L’Agenzia delle Entrate ricorreva quindi in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. I giudici di legittimità hanno stabilito un importante principio di diritto, ribaltando la visione dei giudici di merito e rafforzando le responsabilità della figura dell’amministratore di fatto.

Le responsabilità dell’amministratore di fatto

Il cuore della decisione risiede nell’equiparazione, ai fini degli obblighi di conoscenza e gestori, tra l’amministratore di diritto e l’amministratore di fatto. Quest’ultimo, ingerendosi sistematicamente nella gestione della società ed esercitando i poteri tipici della carica, assume l’intera gamma dei doveri e delle responsabilità che gravano sull’amministratore formalmente nominato. Questo include l’obbligo di essere a conoscenza dell’andamento dell’intera attività sociale, compresi i rapporti con l’amministrazione finanziaria.

La validità della motivazione per relationem

La Corte ha chiarito che l’obbligo di motivazione di un atto impositivo, anche quando realizzato per relationem (cioè tramite rinvio a un altro documento), è soddisfatto se il contribuente è posto nelle condizioni di conoscere le ragioni della pretesa. Nel caso dell’amministratore di fatto, si presume che egli abbia la possibilità, e anzi il dovere, di accedere a tutta la documentazione societaria, incluso il p.v.c. notificato alla società. Non può, quindi, lamentare la mancata notifica personale di un atto che rientra nella sfera di conoscibilità legata al suo ruolo gestorio.

Le motivazioni

La Cassazione fonda il proprio ragionamento sul principio di presunzione di conoscenza. Analogamente a quanto accade per i soci di società a ristretta base partecipativa, anche per l’amministratore (di fatto o di diritto) si presume una vicinanza alle vicende societarie tale da rendere inverosimile l’ignoranza di eventi significativi come una verifica fiscale. Il potere-dovere di controllo sulla gestione implica che gli atti notificati alla società siano noti o, quantomeno, facilmente conoscibili da chi la amministra. La ratio della norma sulla motivazione degli atti (art. 7, L. 212/2000) non è un adempimento puramente formale, ma una garanzia sostanziale del diritto di difesa. Tale garanzia è assicurata quando il contribuente, per il ruolo che ricopre, ha accesso ai fatti e ai documenti che fondano la pretesa fiscale.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale volto a dare prevalenza alla sostanza sulla forma. La figura dell’amministratore di fatto viene gravata di tutte le responsabilità connesse alla gestione, impedendogli di sfruttare la mancanza di un’investitura formale come scudo protettivo. Per i professionisti e gli imprenditori, questa decisione rappresenta un monito: chiunque eserciti poteri gestionali è tenuto a un elevato grado di diligenza e informazione. La semplice notifica alla società di un atto presupposto è sufficiente per ritenere assolto l’obbligo di motivazione nei confronti di chi, di fatto, ne regge le sorti, il quale dovrà attivarsi per conoscere i documenti e, se del caso, impugnare gli atti impositivi ritenuti illegittimi.

Un avviso di accertamento notificato a un amministratore di fatto è valido se si basa su un p.v.c. notificato solo alla società?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di motivazione è soddisfatto in quanto l’amministratore di fatto, esercitando di fatto la gestione, ha l’obbligo di conoscere gli atti impositivi emessi nei confronti dell’ente e i relativi documenti giustificativi.

Perché l’amministratore di fatto non può lamentare la mancata notifica personale degli atti presupposti?
Perché, ingerendosi nella gestione societaria, egli ha il dovere, al pari di un amministratore di diritto, di conoscere l’andamento dell’attività sociale. Si presume quindi che fosse a conoscenza della vicenda o che avesse comunque la possibilità di conoscerla, garantendo così il suo diritto di difesa.

Qual è la differenza tra amministratore di fatto e di diritto ai fini della conoscenza degli atti fiscali secondo questa ordinanza?
Secondo la Corte, non vi è alcuna discriminazione. Entrambe le figure sono equiparate e gravate dall’intera gamma di doveri, inclusi gli obblighi amministrativi e gestori. Pertanto, l’obbligo di essere informato sugli atti fiscali che riguardano la società si applica a entrambi nello stesso modo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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