Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1711 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1711 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. 5667/2015 depositata il 29 dicembre 2015.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza dell’undici dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità o rigetto del ricorso.
Dato altresì atto che l’Avvocatura generale ha concluso per l’inammissibilità e comunque per il rigetto del ricorso.
Dato atto che il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Notifica amm fatto
RILEVATO CHE
1.A seguito di indagine penale era emerso che alcuni soggetti tra cui l’odierno ricorrente fino al 3.10.2008 avevano continuato di fatto ad amministrare la società RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE
Sempre in base alle indagini ed alla ricostruzione proposta dall’Agenzia, vennero poste in essere una serie di operazioni svoltesi negli anni 2008-2009 (trasformazione della RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE; cessione delle relative quote alla RAGIONE_SOCIALE, sedente in Delaware, conferimento degli immobili in RAGIONE_SOCIALE e da questa poi a RAGIONE_SOCIALE), con la finalità di escludere la riconducibilità della titolarità delle quote della RAGIONE_SOCIALE in capo ai soci tra cui NOME COGNOME (prima di chiamarsi RAGIONE_SOCIALE, l’immobiliare era denominata RAGIONE_SOCIALE.
In particolare il p.v.c. veniva notificato il 9 luglio 2008, e il 3 ottobre successivo i COGNOME e il socio COGNOME uscivano dalla compagine sociale; il 7 maggio 2009 le quote della società RAGIONE_SOCIALE erano poi cedute alla suddetta RAGIONE_SOCIALE dai nuovi ‘soci’ COGNOME e COGNOME; il successivo 8 luglio 2009 il patrimonio immobiliare della RAGIONE_SOCIALE era conferito nella RAGIONE_SOCIALE, amministrata da tale COGNOME (asseritamente tramite dei COGNOME) e dal 17 luglio era controllata interamente da RAGIONE_SOCIALE tramite RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE
Tali società erano riconducibili formalmente a tale NOME COGNOME professionista che con il citato COGNOME ed altri coadiuvava la vecchia compagine sociale, e la società controllante delle stesse risultava essere sedente anch’essa in Delaware, allo stesso indirizzo presso cui era trasferita la RAGIONE_SOCIALE
Parte del patrimonio immobiliare veniva poi trasferito ulteriormente da RAGIONE_SOCIALE a CIERRE, controllata interamente da RAGIONE_SOCIALE, anch’essa sedente in Delaware.
Veniva quindi effettuato un p.v.c. notificato a carico della RAGIONE_SOCIALE a mani dell’amministratore di fatto NOME COGNOME.
La CTP respingeva il ricorso del contribuente relativamente all’anno d’imposta 2008, in cui il ricorrente sarebbe rimasto in carica quale amministratore di fatto, e invece accoglieva lo stesso con riferimento al 2009 in assenza di atti che ne dimostrassero il coinvolgimento nella gestione sociale. Entrambe le parti proponevano appello, e la CTR accoglieva l’appello principale dell’Agenzia respingendo quello incidentale del contribuente.
Ricorre quindi in cassazione il contribuente affidandosi a cinque motivi, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso.
Successivamente il contribuente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce «Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 7, comma 1 e 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212 (vizio di motivazione degli atti impositivi e violazione delle norme sul contraddittorio anticipato), in quanto gli avvisi di accertamento omettono radicalmente di considerare le deduzioni difensive. Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. (Omessa pronuncia sulla domanda di annullamento degli atti impositivi per l’omessa motivazione in ordine alle deduzioni difensive al p.v.c.)».
In particolare la sentenza impugnata non sarebbe condivisibile nella parte in cui ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate riguardo all’accertamento Ires 2009 e ha respinto l’appello incidentale del contribuente riguardo agli avvisi di accertamento Ires e IVA 2008, in quanto: a) la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto annullare gli avvisi di accertamento impugnati per difetto di motivazione, per non avere l’ufficio ivi compiutamente esaminato e confutato le argomentazioni svolte dal contribuente nella memoria al p.v.c. per dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati alla società verificata; b) la Commissione Tributaria Regionale si sarebbe dovuta pronunciare sulla relativa questione,
essendo stata la stessa posta a fondamento di uno specifico motivo di appello incidentale.
2.Con il secondo motivo di ricorso si deduce «Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360. n. 3, c.p.c., dell’art. 2697 cod. civ. (sull’onere della prova gravante sull’ufficio finanziario in ordine alla qualificazione di ‘amministratore di fatto’ del ricorrente dopo la sua uscita dalla compagine sociale). Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, n. 5, c.p.c. (per omesso esame sugli argomenti e documenti illustrati nelle difese del ricorrente al fine di dimostrare l’inconsistenza probatoria degli elementi indiziari forniti dalla Guardia di Finanza a sostegno della tesi della ‘amministrazione di fatto’)’.
Con ciò il ricorrente sostiene che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione dell’art. 2697 cod. civ., per avere erroneamente ritenuto che l’Amministrazione Finanziaria avesse assolto l’onere di provare che l’esponente fosse l’amministratore di fatto della società contribuente, e che la stessa ha omesso di valutare il contenuto delle proprie deduzioni difensive e dei documenti e degli elementi indiziari ivi richiamati.
3. Va preliminarmente osservato come sia pacifico dall’esame dell’avviso di accertamento che lo stesso venne formato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; indirizzato sia all’amministratore di diritto da COGNOME che all’amministratore di fatto COGNOME cui è poi conseguita una notifica all’amministratore di fatto. Ma prima di esaminare non solo il motivo inerente alla motivazione ma anche quelli inerenti alla notifica all’amministratore di fatto ed alla identificazione della sede, si deve esaminare se, a fronte della pacifica formazione dell’atto impositivo nei confronti della società, l’amministratore di fatto avesse o meno la legittimazione attiva a proporre il relativo ricorso giurisdizionale.
Orbene nella specie è pacifico che il COGNOME non era più l’amministratore di diritto, soltanto disputandosi nel giudizio se fosse amministratore di fatto.
Ebbene in proposito deve ricordarsi che
In tema di contenzioso tributario in materia societaria, l’amministratore di fatto non è legittimato ad impugnare l’avviso di accertamento rivolto alla società, poiché la rappresentanza legale della stessa spetta esclusivamente agli amministratori nominati a norma di legge, risultanti da documentazioni pubbliche, quali il registro delle imprese, e tenuto conto che, ai sensi dell’art. 62 del d.P.R. n. 600 del 1973, la rappresentanza dei soggetti diversi dalle persone fisiche è attribuita, ai fini tributari, a coloro che ne hanno l’amministrazione di fatto solo ove non sia determinabile secondo la legge civile
(Cass. 26702/22).
Né ricorrono nella specie, né sono stati prospettati, i presupposti per ritenere la mera fittizietà e dunque la simulazione sia della sede legale che della rappresentanza, non essendo neppure stata tentata una notificazione presso la sede legale né risultando aliunde la circostanza.
E’ dunque evidente che nella specie il difetto di legittimazione attiva doveva essere rilevato fin dal primo grado di giudizio e d’ufficio, al che provvede questa Corte.
La “legitimatio ad causam” si ricollega al principio dettato dall’art. 81 c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e, trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza “inutiliter data”, comporta la verifica, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (col solo limite della formazione del giudicato interno), in via preliminare al merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti
che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta. (Cass.29505/20).
Trattandosi di questione processuale non occorre procedere ai sensi dell’art. 384, terzo comma, cod. proc. civ.
Tanto però determina la cassazione della sentenza senza rinvio ai sensi dell’art. 382, terzo comma, secondo periodo cod. proc. civ.
Le spese di lite meritano integrale compensazione essendo la stessa definita sulla base di questione rilevata d’ufficio.
P. Q. M.
La Corte, rilevato il difetto di legittimazione ad agire del ricorrente, visto l’art. 382, terzo comma, secondo periodo, cod. proc. civ., cassa senza rinvio la sentenza impugnata.
Dichiara le spese di lite integralmente compensate fra le parti.
Così deciso in Roma, l’undici dicembre 2024