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Amministratore di fatto: non può impugnare atti fiscali

La Corte di Cassazione stabilisce che l’amministratore di fatto di una società non possiede la legittimazione processuale per impugnare un avviso di accertamento fiscale emesso nei confronti della società stessa. Tale potere spetta unicamente all’amministratore legalmente nominato. La sentenza chiarisce che la figura dell’amministratore di fatto rileva ai fini dell’attribuzione della rappresentanza solo in assenza di un amministratore di diritto, condizione non verificatasi nel caso di specie.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di Fatto: La Cassazione Nega la Legittimità a Impugnare Atti Fiscali

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nel diritto tributario e societario: la legittimazione dell’amministratore di fatto a impugnare un avviso di accertamento fiscale destinato alla società. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha stabilito che tale potere spetta esclusivamente all’amministratore di diritto, ovvero colui che è legalmente nominato e risulta dagli atti ufficiali. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un’indagine penale che aveva fatto emergere una complessa serie di operazioni societarie, svoltesi tra il 2008 e il 2009. Tali operazioni, tra cui la trasformazione di una S.p.A. in S.r.l., cessioni di quote a società estere (localizzate in Delaware) e conferimenti di patrimoni immobiliari, erano state ritenute dall’Agenzia delle Entrate finalizzate a schermare la reale titolarità delle quote societarie e a sottrarre beni alla pretesa fiscale.

Al centro della controversia vi era un soggetto, ritenuto dall’amministrazione finanziaria l’amministratore di fatto della società, nonostante fosse formalmente uscito dalla compagine sociale. Sulla base di questa ricostruzione, l’Agenzia notificava un avviso di accertamento alla società, indirizzandolo sia all’amministratore di diritto che a quello di fatto. Quest’ultimo decideva di impugnare l’atto impositivo.

Il Percorso Giudiziario

Il giudizio di primo grado si concludeva con un esito parzialmente favorevole al contribuente. La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) respingeva il ricorso per l’annualità 2008, riconoscendo il ruolo di amministratore di fatto, ma lo accoglieva per il 2009, non ravvisando prove del suo coinvolgimento nella gestione.

Entrambe le parti proponevano appello. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) riformava la decisione, accogliendo l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate e respingendo quello incidentale del contribuente. Di conseguenza, il presunto amministratore di fatto ricorreva in Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazione di legge.

Il Principio della Legittimazione Processuale dell’Amministratore di Fatto

La Corte di Cassazione, prima di esaminare i motivi del ricorso, ha sollevato d’ufficio una questione preliminare e dirimente: quella della legitimatio ad causam, ovvero la legittimazione del ricorrente ad agire in giudizio.

Il punto focale della decisione risiede nella distinzione tra la figura dell’amministratore di fatto ai fini della responsabilità tributaria e la sua capacità di rappresentare legalmente la società in un processo. La Corte ha ribadito un principio consolidato: nel contenzioso tributario societario, l’amministratore di fatto non è legittimato a impugnare un avviso di accertamento rivolto alla società.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha chiarito che la rappresentanza legale di una società spetta esclusivamente agli amministratori nominati secondo le norme di legge e iscritti nel registro delle imprese. La figura dell’amministratore di fatto acquista rilevanza ai fini della rappresentanza tributaria, ai sensi dell’art. 62 del d.P.R. n. 600/1973, solo in via sussidiaria, cioè quando la rappresentanza legale non sia determinabile secondo la legge civile. Nel caso in esame, la società aveva un amministratore di diritto regolarmente nominato, il che escludeva automaticamente la possibilità per l’amministratore di fatto di assumerne la rappresentanza processuale.

Questa interpretazione si fonda sul principio generale sancito dall’art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può far valere in giudizio un diritto altrui in nome proprio, se non nei casi espressamente previsti dalla legge. Impugnando l’atto fiscale, l’amministratore di fatto stava tentando di esercitare un diritto (quello alla difesa processuale) che apparteneva alla società, e che solo il suo legale rappresentante poteva esercitare. Il difetto di legittimazione attiva, essendo una questione attinente al corretto instaurarsi del contraddittorio, può essere rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il difetto di legittimazione ad agire del ricorrente. Di conseguenza, ha cassato la sentenza impugnata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, c.p.c. Questa decisione significa che l’intero processo, fin dal primo grado, è stato invalidato da un vizio insanabile. La pronuncia ribadisce con forza la netta separazione tra la gestione di fatto di una società, che può generare responsabilità, e la rappresentanza legale della stessa in giudizio, che rimane un’esclusiva prerogativa degli organi formalmente nominati.

Chi può legalmente impugnare un avviso di accertamento fiscale emesso nei confronti di una società?
Secondo la sentenza, la legittimazione a impugnare un avviso di accertamento spetta esclusivamente all’amministratore legalmente nominato (amministratore di diritto), risultante da documentazione pubblica come il registro delle imprese.

In quali casi l’amministratore di fatto può rappresentare la società a fini tributari?
L’amministratore di fatto può rappresentare la società ai fini tributari solo in via eccezionale e sussidiaria, ovvero quando non sia possibile determinare chi sia il legale rappresentante secondo le norme del codice civile. Se esiste un amministratore di diritto, questa possibilità è esclusa.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza senza rinvio a un altro giudice?
La Corte ha cassato la sentenza senza rinvio perché ha rilevato un difetto di ‘legitimatio ad causam’ (mancanza di legittimazione ad agire) del ricorrente. Trattandosi di un vizio procedurale fondamentale che invalida l’intero giudizio fin dall’origine, non erano necessari ulteriori accertamenti di fatto, permettendo alla Corte di chiudere definitivamente la causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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