Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15597 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15597 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
Amministratore di fatto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2832/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’A vv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, N. 4269/2018 depositata l’11 ottobre 2018 ;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
sentiti Avv. dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle ent rate, e l’Avv. NOME COGNOME per il contribuente.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate , a seguito di controlli eseguiti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, riteneva che quest’ultima fosse coinvolta, in qualità di cartiera, in un giro di fatture false emesse dalla RAGIONE_SOCIALE Per l’effetto, notificava a NOME COGNOME sul presupposto che fosse l’amministratore di fatto di quest’ultima e che avesse partecipato al disegno criminoso volt o all’emissione di fat ture per operazioni inesistenti, due avvisi di accertamento, con i quali, per gli anni di imposta 2006 e 2007, lo chiamava a rispondere sia delle maggiori imposte che delle sanzioni accertate in capo a detta ultima società.
La CTP di Milano rigettava il ricorso riconoscendo il ruolo del COGNOME quale amministratore di fatto della società ed affermando la piena equiparazione dell’amministratore di fatto agli amministratori formalmente investiti, con conseguente responsabilità anche per le sanzioni inflitte.
La CTR, invece, accoglieva l’appello del COGNOME. In via preliminare, accoglieva l’eccezione dell’appellante , ritenuta assorbente rispetto ad ogni ulteriore questione, circa la sua estraneità alla pretesa azionata con l’a ccertamento notificatogli nell’indicata qualità di amministratore di fatto della società estinta. Precisava che non vi era alcun subentro automatico nei rapporti con il Fisco degli amministratori e liquidatori di una società estinta e che, pertanto, non poteva porsi a carico dell’amministratore di fatto , per quanto equiparato a quello effettivo,
un obbligo fiscale mai accertato nei confronti dell’ente . Aggiungeva che non sussistevano nemmeno i presupposti della responsabilità di cui all’art. 36 d.P.R. n . 600 del 1973, norma peraltro nemmeno menzionata nell’accertamento , in quanto nessun accertamento fiscale risultava previamente notificato alla società anteriormente alla sua cancellazione; che l’accertamento notificato al presunto amministratore di fatto non era stato motivato con riferimento alla responsabilità di cui all’art. 36 cit. , per la violazione delle norme civilistiche comuni di cui agli artt. 1176 e 1218 cod. civ. «in relazione agli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società e della distrazione di tali attività a fini diversi rispetto al pagamento delle imposte dovute»; che, invece, l’accertamento si fondava sull’erroneo presupposto della mera successione automatica dell’amministratore, anche di fatto, nell’obbligazione tributaria della cessata società.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione nei confronti NOME COGNOME che si difende a mezzo controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e dell’art. 7 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
Censura la sentenza «per aver escluso tout court la responsabilità dell’amministratore di fatto di una società d capitali per le sanzioni derivanti dalla violazione di norme tributarie, riconducibili alla persona giuridica» e ciò sebbene, in punto di fatto, la qualifica di amministratore di fatto fosse pacificamente rivestita dal ricorrente. Aggiunge che, ove sia dimostrato che la persona giuridica sia stata costituita
artificiosamente, a fini illeciti, le sanzioni amministrative tributarie possono essere irrogate nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate; che, infatti, in tale fattispecie, la persona fisica che agisce per conto della società riveste, nel contempo, la qualifica di trasgressore e contribuente, mentre la persona giuridica è una mera fictio creata nell’esclusivo interesse della prima. Evidenzia che i predetti principi sono pienamente applicabili alla fattispecie in esame, essendo emerso chiaramente che il COGNOME si era occupato della gestione della società RAGIONE_SOCIALE svolgendo un ruolo primario nella strategia decisionale ed amministrativa della stessa.
Preliminarmente va rigettata l’eccezione sollevata dal controricorrente di inammissibilità del ricorso per Cassazione in quanto tardivo.
2.1. L’eccezione si fonda sull’ erroneo assunto c he l’U fficio non possa beneficiare della sospensione dei termini per impugnare di cui all’art 6, comma 11, d.l. 119 del 2018 .
L’articolo 6 cit. consente di definire, a seguito di domanda del contribuente, le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria, aventi ad oggetto atti impositivi, in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione e anche a seguito di rinvio. Ai sensi del comma 11 dell’articolo 6, relativamente alle liti che possono essere definite, sono sospesi per un periodo di nove mesi, i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione che scadono dalla data di entrata in vigore del decreto, ovvero dal 23 ottobre 2018, ed il 30 luglio 2019.
2.2. Dal tenore letterale delle disposizioni emerge che per beneficiare della definizione ai sensi della legge agevolativa è necessaria la domanda del contribuente, trattandosi di sua scelta
insindacabile; tuttavia, la sospensione è automatica al fine rendere attuabile il dettato normativo. Pertanto, se la lite rientra tra quelle definibili, è automaticamente sospeso il termine per impugnare, in via principale o incidentale, le pronunce e quello per riassumere la causa a seguito di rinvio, purché spiranti nel periodo individuato dal legislatore.
La disposizione prevede la sospensione del termine per impugnare senza alcuna distinzione tra le parti del giudizio e senza alcuna discriminazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente (Cass. 02/09/2022, n. 25993. Nello stesso senso Cass. 22/07/2024, n. 20178, resa sull’analoga disposizione di cui all’art. 11 d.l. n. 50 del 2017, la quale ha pure escluso che la previsione di un termine simmetrico sia in violazione degli art. 3 e 97 Cost., ove solo si consideri, come già chiarito da questa Corte, che la ratio della normativa è proprio quella di favorire al massimo l’accesso all’istituto della definizione agevolata, evitando, in tale ottica, di contrarre i termini a difesa).
Inoltre, trattandosi di sospensione ope legis , la stessa non è legata alla proposizione della domanda di sospensione da parte del contribuente ma opera automaticamente. La sospensione dei termini processuali consegue, pertanto, alla astratta proponibilità della domanda di definizione agevolata (Cass. 21/08/2023, n. 24955).
Sempre in via preliminare, va rilevato che non appaiono pertinenti gli argomenti spesi dal controricorrente con riferimento all’Irap per la quale non potrebbe operare il c.d. raddoppio dei termini di accertamento; infatti, il ricorso spiegato dall’Agenzia delle entrate ha ad oggetto le sole statuizioni rese in ordine alle sanzioni.
Va disattesa, infine, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità sollevata dal controricorrente.
4.1. Le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo
comma, n. 6), cod. proc. civ. quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U. 18/03/2022, n. 8950).
4.2. Il ricorso contiene tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte. La ricorrente, inoltre, ha esplicitato quale sia, per la parte rilevante, il contenuto degli atti o dei documenti menzionati.
Il motivo, piuttosto, è inammissibile in quanto non si raffronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata.
5.1. L’Ufficio assume che la CTR avrebbe escluso tout court la responsabilità dell’amministratore di fatto di una società di capitali per le sanzioni derivanti dalla violazione di norme tributarie; che, al contrario, l’amministratore è chiamato a risponde in proprio delle sanzioni laddove la società di capitali sia stata costituita artificiosamente.
5.2. La CTR, tuttavia, ha risolto la questione controversa in ragione di un diverso ragionamento giuridico che non risulta attinto dal motivo. La sentenza, infatti, muove dal presupposto che gli amministratori ed i liquidatori non subentrano automaticamente nei rapporti con il Fisco e che l’avviso di accertamento impugnato si fondava, invece, «sull’errato presupposto della mera successione automatica
dell’amministratore, anche di fatto, nell’obbligazione tributaria della cessata società».
La CTR ha pure affermato che non poteva porsi a carico dell’amministratore di fatto un obbligo fiscale mai accertato nei confronti della società estinta e che l’atto impositivo non conteneva alcuna contestazione al Muller di una responsabilità propria ai sensi dell’art. 3 d.P.R. n. 602 del 1973.
5.3. A Ciò deve aggiungersi che nella sentenza impugnata non vi è alcun riferimento al fatto che la società amministrata dal COGNOME, ancorché di fatto, fosse una mera fictio.
Del resto, la stessa ricostruzione dell’atto impositivo contenuta nel ricorso dell’Ufficio non contiene alcun riferimento a detta circostanza, essendosi rilevato solo che la società era coinvolta in un meccanismo d frode finalizzato ad emettere fatture false e che l’amministratore formale della stessa, tale NOME COGNOME non aveva alcun ruolo decisionale. Trattasi, tuttavia, di circostanze del tutto diverse dalla fittizietà della società, che ricorre quando si ravvisa uno schermo societario dal quale trae vantaggio l’amministratore di fatto. E’ evidente, infatti, che anche una società esistente e vitale può porre in essere fatturazioni false ed avere come amministratore formale un prestanome.
Sul punto va rammentato che le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (convertito con modifiche nella legge n. 326 del 2003) sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto. Perché venga meno la ratio che giustifica l’applicazione del l’art. 7 cit. 7 d.l. n. 29 del 2003 e sia ripristinata la regola secondo cui la sanzione pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito è necessario acquisire riscontri probatori, anche presuntivi, valevoli ad
escludere la vitalità della società medesima, quand’anche gestita da un amministratore di fatto (Cass. 23/01/2023, n. 1946).
Detta specifica questione, come detto, non è trattata nella sentenza impugnata.
E’ noto, invece, che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità. Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito e di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto. (cfr. Cass. 24/01/2019, n. 2038).
6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità,
che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4.500,00 per compensi, oltre il 15 per cento a titolo di rimborso forfetario spese generali, iva e cap come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.