Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16356 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16356 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 25305-2018, proposto da:
COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dal quale, unitamente all’AVV_NOTAIO, sono rappresentati e difesi –
Ricorrenti
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 635/21/2018 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 23.01.2018;
udita la relazione della causa svolta dal AVV_NOTAIO nell’ adunanza camerale del 20 dicembre 2023;
Rilevato che
Dalla sentenza e dagli atti difensivi emerge che i ricorrenti proposero impugnazione a vverso l’avviso d’accertamento con cui l’RAGIONE_SOCIALE, sulla premessa del ruolo di soci occulti e di amministratori di fatto
Violazioni tributarie Sanzioni – Responsabilità dell’ Amministratore di fatto – Configurabilità
Configurabilità
rivestito da COGNOME NOME e COGNOME NOME nella società RAGIONE_SOCIALE, rideterminò l’imponibile relativo all’anno 2010 ai fini Ires, Irap ed Iva, richiedendo maggiori imposte ed irrogando ai ricorrenti sanzioni dell’importo di € 685.567,00 ai sensi dell’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269.
Il ricorso avverso l’atto impositivo, con il quale i contribuenti avevano contestato tanto il ruolo di soci occulti, quanto quello di amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE, asserendo che erano solo meri referenti tecnici della società nei confronti della clientela, esitò dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli nella sentenza n. 19731/08/2016, con cui furono rigettate le loro ragioni.
Con la sentenza ora al vaglio della Corte la Commissione tributaria regionale della Campania ha respinto l’appello. Il giudice regionale, dopo aver superato le questioni inerenti la denunciata nullità della notifica, ha rilevato che dalle indagini eseguite dalla GdF, fatte proprie dall’amministrazione finanziaria nell’atto impositivo, era emerso un quadro probatorio inequivoco sulla gestione della società, sul piano decisionale, gestorio, operativo e finanziario da parte dei ricorrenti, con la tenuta di condotte che avevano portato anche alla denuncia penale nei loro confronti. Ha inoltre evidenziato che ulteriore riscontro agli addebiti dell’ufficio era stato desunto dal fatto che il ruolo di amministratore della società era ricoperto da un soggetto straniero, risultato del tutto irreperibile. A fronte dei riscontri suddetti, nessuna controprova significativa era stata prodotta dalle parti, se non documentazione del tutto priva di attendibilità, perché proveniente dai medesimi COGNOME e COGNOME, o dalla società, di cui essi ne erano dominus .
Per la cassazione della sentenza i ricorrenti hanno proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
A ll’esito dell’adunanza camerale del 20 dicembre 2023 la causa è stata riservata e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo i contribuenti hanno lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 60, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 145 cod. proc.
civ., e 2, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472
, in relazione all’art.
RGN 25305/2018
360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. L’avviso d’accertamento sarebbe stato erroneamente notificato a ciascuno dei ricorrenti presso le rispettive residenze, nella qualità di ‘socio occulto ed amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE‘, laddov e, secondo la prospettazione difensiva, l’atto impositivo e le sanzioni erano dovute dalla RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è privo di pregio. A parte l’irreperibilità del legale rappresentante della società, società formalmente costituita con unico socio, con l’avviso d’accertamento, per come costruito e per le contestazioni elevate, pur indirizzato alla società, era rivolto proprio ai due ricorrenti, per la qualità di amministratori di fatto -e di soci occultiche l’ufficio ha inteso riconoscere in capo ai medesimi. Sotto questo profilo, per quanto sarà appresso chiarito, il COGNOME e il COGNOME erano proprio i soggetti ai quali l’amministrazione finanziaria ha inteso ricondurre gli addebiti RAGIONE_SOCIALE attività illegittime poste in essere, costituendo la società un mero paravento degli interessi economici perseguiti dai due ricorrenti mediante lo strumento collettivo. Pertanto l’indirizzo della notifica era corretto, proprio in attuazione RAGIONE_SOCIALE garanzie difensive sostanziali, sia con riguardo ai debiti fiscali, sia soprattutto con riferimento alle sanzioni irrogate.
Con il secondo motivo hanno denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 1 e 3, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La commissione regionale erroneamente avrebbe riconosciuto la responsabilità dei ricorrenti, senza tener conto che, al contrario, RAGIONE_SOCIALE sanzioni avrebbe dovuto rispondere in via esclusiva la società, quando dotata di personalità giuridica, per espressa disposizione legislativa.
La difesa dei ricorrenti sostiene che con l’introduzione dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 il legislatore ha inteso porre esclusivamente a carico dell’ente o della società dotata di personalità giuridica le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario, escludendo per l’effetto qualunque concorso dell’amministratore di fatto, così come era invece dispo sto dall’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997. I ricorrenti criticano pertanto la decisione impugnata, che al contrario ha ritenuto corretta l’appli cazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni alla persona fisica che amministra di fatto la società, laddove tali conclusioni non hanno un sostrato giuridico positivo.
Il motivo è infondato per quanto appresso chiarito.
C on l’introduzione dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, convertito poi in l. 326 del 2003, secondo cui «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica», è emersa la questione se la suddetta disciplina, nell’innovare le regole dettate dal d.lgs. n. 472 del 1997, ed in particolare dall’art. 11 -che prima della modifica prevedeva l’obbligo solidale del pagamento della sanzione tra l’ente, la società o l’associazione, nel cui interesse l’autore della violazione aveva agito, e l’autore medesimo – avesse definitivamente escluso l’esigibilità della sanzione dalla persona fisica, identificando esclusivamente nella compagine sociale l’unico soggetto passivo, quando dotato di personalità giuridica. Il comma 3 del citato art. 7 prevede che «nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili».
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario, proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica, anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto, non opera nell’ipotesi di società “cartiera”, atteso che, in tal caso, la società è una mera fictio , utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la ratio che giustifica l’applicazione del suddetto art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (Cass., 20 ottobre 2021, n. 29038; 22 novembre 2021, n. 36003; cfr. anche 25 luglio 2022, n. 23231).
Nello specifico si è avvertito che «questa Corte (Cass. civ., 9 maggio 2019, n. 12334), ha precisato che l’applicazione della norma eccezionale introdotta dall’art. 7, decreto-legge n. 269/2003, presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo
beneficiario RAGIONE_SOCIALE violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore; viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito» (Cass., 29038 del 2021, cit.).
Le argomentazioni e le conclusioni cui perviene la giurisprudenza di legittimità sono il punto di arrivo di una esegesi della disciplina, che era pur partita da contrastanti letture, alcune più favorevoli all’abbandono di ogni prospettiva non aderente all’apparente semplicità del testo dell’art. 7 cit. (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25284; 13 novembre 2018, n. 29116; indirettamente, 23 aprile 2014, n. 9122), altre che invece ritenevano coerente con il sistema RAGIONE_SOCIALE regole sulla responsabilità, ed imprescindibile nell’interpretazione dello stesso art. 7 cit., distinguere le ipotesi in cui l’amministratore, anche di fatto, avesse operato nell’interesse della società, da quelle in cui la società fosse solo una finzione, costituita da una persona fisica quale paravento RAGIONE_SOCIALE proprie condotte, illecitamente incidenti sugli obblighi fiscali (Cass., 28 agosto 2013, n. 19716; 8 marzo 2017, n. 5924; 18 aprile 2019, n. 10975).
Per questo secondo orientamento, che il collegio ritiene più corretto, il distinguo dunque si pone nella ‘decodificazione’ della società, se essa , cioè, sia vera e se abbia vita e finalità economiche distinte da quelle del suo amministratore, o si riveli lo strumento artificioso, cui una persona fisica ricorre proprio per sottrarsi alle sanzioni. Il che, è ben comprensibile, non rappresenta alcuna forzatura del dato letterale dell’art. 7 cit., trovando anzi all’interno della norma medesima la sua ratio .
Sotto i profili appena esaminati le ragioni del motivo del ricorso non pertanto trovano condivisione, potendo ben essere formalmente costituita una società, che tuttavia è solo un paravento dietro cui si nasconde un soggetto, che di essa non solo ne abbia il totale controllo, ma che mediante
la sua costituzione ed il suo totale condizionamento persegue esclusivamente interessi personali.
In tali ipotesi l’art. 7 cit. non trova applicazione perché è la fattispecie concretamente realizzata ad essere estranea alla sua disciplina.
Con il terzo motivo i ricorrenti si sono doluti della violazione e falsa applicazione dell’art. 2639 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione regionale, nell’attribuire loro la qualità di amministratore di fatto per la continua e sistematica attività decisionale in seno alla società, avrebbe errato e mal applicato l’art. 2639 cod. civ., non emergendo dalla segnalazione della GdF quelle funzioni che la disciplina civilistica richiede per lo svolgimento di tale r uolo all’interno della compagine sociale.
Con il quarto motivo lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2247 e 2462 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Erroneamente il giudice d’appello avrebbe attribuito ai ricorrenti la qualità di soci occulti, essendo insufficiente il contesto probatorio valorizzato in sede processuale per tale qualificazione.
Con il quinto motivo hanno denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La commissione regionale avrebbe fatto malgoverno RAGIONE_SOCIALE regole sulle prove presuntive, con riguardo alla valutazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese ai militari verificatori da terzi.
I motivi, che possono essere trattati unitariamente perché connessi, sono infondati.
Nel caso ora controverso il giudice regionale, ben consapevole dell’interpretazione resa dalla giurisprudenza di legittimità in tema, ha fatto mostra di apprezzare gli elementi su cui l’ufficio accertatore ha fondato le sue contestazioni, individuate negli esiti della verifica operata dalla guardia di finanza (dalla quale, anche per quanto desumibile dall’accertamento riportato nell’atto introduttivo del presente processo, era emersa la messa in atto di un sistema finalizzato a frodare il fisco, con società unipersonali, come la RAGIONE_SOCIALE, la cui rappresentanza legale era affidata a soggetti stranieri e nullatenenti, con sedi legali formali, a volte corrispondenti a meri domicili postali, con operatività limitata a pochi mesi e continue sostituzioni nelle cariche sociali).
In particolare, si è rilevata la continua e costante attività decisionale dei due ricorrenti, formalmente riconducibile alla società, di cui in realtà ne erano i dominus, in grado di condizionare totalmente le scelte della società, ‘di cui gestivano gli aspetti economici, operativi e finanziari nei rapporti con clienti e dipendenti’. Sono state apprezzate le dichiarazioni assunte dai soggetti che operavano con la RAGIONE_SOCIALE, nonché dai dipendenti di questa.
Il quadro che ne emerge è inequivocabilmente quello di una società paravento RAGIONE_SOCIALE operazioni illecite poste in essere dal COGNOME e dal COGNOME, a loro esclusivo interesse.
A fronte della valutazione in fatto operata dalla commissione regionale, le difese articolate nei tre motivi di ricorso, laddove pretendono di criticare la pronuncia in punto di errore giuridico nell’applicazione o nella interpretazione RAGIONE_SOCIALE norme richiamate, in realtà sottendono una sollecitazione alla rivalutazione dell’impianto probatorio. Le critiche , infatti, soffermandosi sul contenuto e sugli esiti degli accertamenti riportati nell’atto impugnato, o sulle dichiarazioni rese dai terzi sentiti dai militari verificatori, oppure, ancora, sulle condotte e sul ruolo dei ricorrenti, impingono nel merito, così richiedendo al giudice di legittimità un intervento inammissibile in questa sede, perché appartenente al solo giudice di merito.
Né la motivazione della sentenza può essere denunciata per vizi logici o errori materiali, soli vizi per i quali il giudice di legittimità ha potere d’intervento per sanzionarne la non rispondenza ai parametri di valutazione degli elementi probatori che sono richiesti al giudice di merito nel sindacato sui fatti.
I motivi vanno dunque tutti rigettati.
All’esito del processo le spese seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 8.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, nella misura pari a quella prevista per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il giorno 20 dicembre 2023